Sandro Cappelletto per “la Stampa”
È stato un grande bluff. Ma per bluffare così bene bisogna essere giocatori molto esperti. Il Teatro dell’Opera ritira il licenziamento dei 182 componenti dell’orchestra e del coro annunciato a ottobre; dopo nove estenuanti incontri, i sette sindacati firmano tutti insieme le sei pagine di un accordo dettagliato e innovativo.
All’Opera dunque scoppia la pace. I licenziamenti collettivi - un provvedimento senza precedenti nella storia dei nostri teatri d’opera e di difficile attuazione normativa - sarebbero scattati dall’1 gennaio, ma il tempo a disposizione era più breve: bisognava concludere prima del 7 dicembre, per evitare pericolosi cortocircuiti in occasione della prima della Scala.
«È il segno di una grande assunzione di responsabilità da parte dei lavoratori e di tutte le sigle sindacali. L’accordo permette alla Fondazione di superare i gravi problemi economici e organizzativi attuali e getta le basi per una maggiore produttività», dice il sovrintendente Carlo Fuortes, che ha sempre tenuto il punto: o sottoscriviamo nuove regole, o il teatro affonda.
L’accordo consente un risparmio sul costo di orchestra e coro di tre milioni di euro; sospende il premio di produzione e lo lega in futuro al raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, regola la disciplina degli straordinari, riduce indennità e retribuzioni aggiuntive, consente una maggiore flessibilità permettendo - finalmente! - di aumentare la produttività. Era questo il punto centrale: non tanto l’ammontare degli stipendi, ma la selva di regole che rendeva impossibile lavorare senza che scattassero aggravi di spesa.
Parole pesanti sono quelle scritte a pagina 2 dell’accordo: «Nel rispetto del piano di risanamento approvato, anche gli esercizi 2015 e 2016 dovranno essere in pareggio... La presente intesa è finalizzata alla tutela dei livelli occupazionali e a garantire la stabilità economica di bilancio». Vince il teatro, vincono i lavoratori e magari vincerà anche il pubblico, spesso penalizzato da scioperi annunciati all’ultimo momento, proclamati da una minoranza. Le Organizzazioni Sindacali, inoltre, «si impegnano a non ricorrere ad alcuna azione di conflittualità sui punti stabiliti dall’accordo».
Fonti vicine alla Cgil sottolineano che «questo impegno, frutto di un lavoro di concertazione» è stato voluto dagli stessi lavoratori. Non sfuggirà, in tempi di forte contrapposizione tra la Cgil e il governo Renzi, il significato politico dell’intesa, che presenta aspetti innovativi per tutto il comparto dei cinquemila lavoratori della fondazioni lirico-sinfoniche.
Recentemente, il ministro Franceschini ha dichiarato che «quattordici teatri d’opera in Italia sono troppi», senza specificare quale fosse il numero sostenibile. Questo accordo può aprire una strada nuova, che responsabilizza tutte le parti in gioco, facendo uscire i nostri teatri dalla condizione di perenni deficit e conflittualità che li governa da mezzo secolo. Ieri all’Opera, mentre il regista Denis Krief provava «Rusalka», che la settimana prossima inaugurerà la nuova stagione del teatro, si respirava un’aria di normalità. Incredibile.