I DIARI DI SUSAN SONTAG - UNA GRANDE SAGGISTA, UN GRAN TITOLO: “COME LA COSCIENZA È GOVERNATA DALLA CARNE” - AMARE E NON ESSERE RIAMATI È UNA TRAGEDIA? ECCO LA SUA MEDICINA: SE NON SI PUÒ ESSERE AMATI, SI PUÒ ESSERE INTELLIGENTI - IRONICA: “DA DOVE VIENE L'AUTORITÀ DI UN GRANDE SCRITTORE? DAL FATTO CHE VIVE CIÒ CHE ESALTA? MACCHÉ: ‘’D.H. LAWRENCE ERA UN OMETTO SCROFOLOSO CON UNA VOCE STRIDULA CHE FACEVA FATICA AD AVERE UN'EREZIONE”…

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Livia Manera per il "Corriere della Sera"

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Perché leggiamo i diari degli scrittori? Non tanto perché ci aiutino a comprendere meglio le loro opere, perché «spesso non è così», come scrive Susan Sontag nel secondo volume dei suoi diari, As Consciousness is Harnessed to Flesh («Come la coscienza è governata dalla carne»), appena pubblicati negli Stati Uniti da Farrar, Straus and Giroux. Li leggiamo, dice giustamente lei, per «illuminare l'io dietro la maschera dell'io nel lavoro di un autore».

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Si potrebbe dire che sappiamo già tutto sull'io di questa scrittrice intellettualmente formidabile che negli anni Sessanta ha dato un forte impulso alla vita culturale di New York aprendola alle influenze della sua patria adottiva, l'Europa: la sua alterità, la sua intelligenza, le sue certezze spesso indisponenti; la sua ambizione a coltivare e diffondere nuove idee; la brillantezza dei suoi saggi come Sulla fotografia, accompagnata dall'incapacità di produrre romanzi interessanti (Death kit e L'amante del vulcano, sono prove singolarmente modeste); e anche il suo impegno politico a Sarajevo come ad Hanoi.

Eppure questo secondo volume dei diari della Sontag, che coprono gli anni dal 1964 al 1980, contengono una sorpresa: un «io dietro la maschera dell'io» particolarmente vulnerabile, l'insicurezza di una persona tormentata dalla frustrazione amorosa, che coltiva l'intelligenza come disciplina ma anche come rimedio alle sconfitte della vita privata.

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Forse ha ragione il curatore di questi diari David Rieff - il figlio che Susan Sontag ha avuto giovanissima dal suo professore all'università di Chicago Philip Rieff - quando dice che queste pagine intime possono dare una falsa impressione, «nel senso che (la Sontag) tendeva a scrivere di più quando era infelice, e ancora di più quando era terribilmente infelice, e meno quando le cose andavano bene».

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E tuttavia non c'è dubbio che i diari rivelino come «l'infelicità amorosa facesse parte di lei, tanto quanto il senso di appagamento che le dava scrivere, e la passione che metteva nell'interpretare il ruolo della lettrice ideale di grande letteratura, e spettatrice ideale di grande arte, teatro, cinema e musica».

Amare e non essere riamati è una tragedia banale, ma nel caso di Susan Sontag è anche una costante. Quando «I.» (la commediografa Irene Fornés), la lascia dopo quattro anni di relazione, scrive: «Se non avessi avuto David (suo figlio) mi sarei uccisa». Ma se «I.» fosse tornata, per contro, «avrei vissuto nel terrore mortale che mi trovasse stupida, egoista, sessualmente inadeguata».

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Un altro grande amore tormentato, la napoletana Carlotta del Pezzo, la inquieta. «Devo essere forte, permissiva, capace di gioia e incapace di rimproveri... non posso assolutamente svelarle la mia debolezza».

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Una debolezza che appare senza fondo, eppure circoscritta alla sfera amorosa. La malattia, per esempio: quando a metà di questi diari, nel 1975, viene diagnosticato a Susan Sontag un tumore al seno al quarto stadio, scrive soltanto che i medici «vivono storie d'amore con la loro energia + speranza». E poi prende quell'esperienza, la purifica da ogni pietà di sé, e la usa in un saggio memorabile, Malattia come metafora.

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Ecco la medicina di Susan Sontag: se non si può essere amati, si può essere intelligenti. Forse ha ragione, ma manca qualcosa. Ed è lei a ricordarcelo quando a un certo punto si chiede: «Da dove viene l'autorità di un grande scrittore? Dal fatto che vive ciò che esalta?». E risponde con una risata: ma quando mai. Guardate D.H. Lawrence: «Era un ometto scrofoloso con una voce stridula che faceva fatica ad avere un'erezione».
Ricordandoci senza volerlo che un po' d'ironia l'avrebbe resa meno vulnerabile e ancora più intelligente.

 

 

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