JOAN BAEZ: “OGGI L'UNICA COSA CHE SEMBRA INTERESSARE È LA FAMA. MI CHIEDONO: MA SI RENDE CONTO CHE LEI È L'UNICA CHE HA VISTO BOB DYLAN E STEVE JOBS NUDI? E ALLORA? SÌ HO AVUTO DUE RELAZIONI CON LORO, E ALLORA SONO UNA CELEBRITÀ?” – “JOBS AVEVA UN BRUTTO CARATTERE. MA NON HA FUNZIONATO PERCHÉ VOLEVA UNA MOGLIE CHE LO ACCUDISSE, QUALCUNO CHE CUCINASSE PER LUI’’
Emanuela Audisio per La Repubblica
«We shall live in peace, we shall all be free, some day». Già, un giorno. Quella che ha invitato il mondo a superare le differenze, quella che anche oggi continua a ripetere che la vendetta non serve, che ci vogliono far tornare al Far West dove vince chi spara per primo. Joan Baez, che come tutte le grandi voci che vengono dal passato, ha una modernità antica. Perché condividere una speranza non passa mai di moda.
«Vorrei che tornassimo a tenerci per mano. A non avere terrore dell' altro. Vorrei non cedessimo al sospetto, a chi ci vuole impauriti, ridotti a bestie che ringhiano. Vorrei che non perdessimo la memoria della nostra storia, della nostra lotta contro la guerra, ci sono altre modi per risolvere i conflitti, vorrei che non fossero gli altri a prendersi gioco delle nostre vite, ma essere noi capaci di metterle in gioco per i nostri ideali, per la nostra terra, che non è mia o tua, ma di tutti».
Una canzone che si è mischiata, che ha viaggiato e viaggia nel mondo: per cui, non a caso, c' è una richiesta di abolizione di copyright. Anche perché la melodia sembra sia tratta da un canto di pescatori siciliani del diciassettesimo secolo, trasportata in Germania dove diventò un inno protestante, e da lì alle congregazioni bianche degli Stati Uniti. Per poi diventare canto gospel dei neri e inno sindacale dei lavoratori del tabacco in sciopero nella Carolina del Sud nel '46 e finire attraverso due donne all' attenzione di Pete Seeger che ne fece un' Internazionale della Pace.
Joan ci mise corpo, personalità e credibilità. La Signora della Libertà. La sua America, ma anche quella di oggi. La sua voce, ma anche quella di chi non la trova. I suoi anni Sessanta, che hanno alzato la testa. Ma anche gli anni Duemila, che la testa la voltano, per paura o indifferenza. Joan Baez non canta più scalza. Ha i capelli bianchi, corti, ma la memoria è lunga. È sempre la Signora della Libertà. Una vita a senso unico, andando sempre contro. Sì: è nel mito. Ha cantato per protesta tutte le proteste. È stata un' onda lunga: dal Cile al Sud Africa, dall' Irlanda alla Bosnia, dall' Egitto ad Haiti, dalla Cecoslovacchia all' Iran, passando per Hanoi sotto le bombe. Non si è risparmiata niente, nemmeno la prigione. E in più ora le tocca anche Trump.
BOB DYLAN E JOAN BAEZ ALL AEROPORTO DI NEWARK
«Ovunque mi chiedono: ma dove l' avete trovate uno così? Sarà mica serio. E io non so dare risposte. Anzi sì, sta nella vendetta, vogliono vendicare l' idea di avere avuto un presidente nero. È la reazione viscerale e violenta ad Obama. C' è un' America che non l' ha mai accettato, che se ne vergogna, che non sopporta il fatto che ci sia un nero alla Casa Bianca e che non faccia il lavapiatti.
Ma non lo può dire. Non so se è l' America sudista, quella agricola, che lavora i campi, non voglio generalizzare, o se è quella della provincia, della classe media, impoverita, che ha perso la casa e i guadagni, che dorme nelle roulotte, e che vuole vendetta sull' uomo nero che sta al governo. So che noi abbiamo esibito al mondo un presidente nuovo di cui molti volevano disfarsi. E Trump ora incarna questa stupida reazione ancestrale proprio come i Tea Party, come se fossimo tornati indietro nel tempo, ai bagni per bianchi e neri, a Birmingham nel '64.
Non c' entra il terrorismo islamico, l' attacco alle Torri Gemelle, certo questi fatti non sono stati d' aiuto, c' entra l' ignoranza, la bestialità, la paura. C' entra la strumentalizzazione di questi sentimenti umani, c' entra che ora Trump si sente legittimato a dire le sue idiozie contro gli immigrati, mentre dieci anni fa gli avrebbero indicato l' ospedale psichiatrico».
Se è per questo è cambiata anche l' Italia, anche se lei è tra le rare star internazionali che canta canzoni italiane nella lingua originale, come la famosa C' era un ragazzo (che come me amava i Beatles e i Rolling Stones) di Gianni Morandi (che ha fatto conoscere in tutto il mondo). Tanto che anche in questa tournée che tocca domani Roma e martedì si chiude a Milano, il concerto si apre con Un mondo d' amore e continua con Bella Ciao.
Joan Baez e Martin Luther King
«A me piace il vostro paese. Qui da sempre mi sento a casa. È la lingua, credo. È la sua dolcezza colta. Il francese è troppo pomposo e l' olandese troppo duro. In più la mia è stata un' iniziazione sentimentale, è stato il mio legame con Furio Colombo che mi ha introdotto in Italia, da lì sono nate altre collaborazioni, ma soprattutto un lavoro e una scelta sulle parole. L' affetto è un passe-partout importante, anche culturale, e non delude mai. La vostra atmosfera è morbida. E se anche siete cambiati non girate armati per strada.
JOE ALPER Bob Dylan Joan Baez JA x
Sull' ultimo atto di violenza, negli Stati Uniti, quello del cecchino che spara ai poliziotti, solo il sindaco di Dallas, mi pare abbia sottolineato il fatto che siamo una nazione armata, Obama a parte. Lo so quello che dicono, che i fucili fanno parte della nostra tradizione, quando si andava nel West, a cercare terra, quando si difendevano le carovane di donne e bambini, ma né è passato di tempo da allora. O vogliamo restare a chi è la pistola più fumante della contea?».
Prima di Madonna, di Beyoncé, di Lady Gaga, di Taylor Swift c' è stata lei, "the mother of us all" ad essere presa sul serio nello show-business, e ad uscire dal ruolo femminile. Ma cosa canta oggi Joan, che non sia suo e che le piace? «Ascolto The Promise di Sturgill Simpson. No, non è uno della mia generazione, ma un musicista country del Kentucky di trentotto anni, abbastanza conosciuto. Lo trovo interessante, nella scia di Kris Kristofferson.
Certo mi sembra bizzarro che la gente che va ai concerti di Beyoncé mi dica: noi la conosciamo e siamo stati suoi fans. Qualcosa non torna, cosa c' entro io con quel tipo di musica? E sotto la doccia, non canto più, la voce è un dono prezioso, ma non dura in eterno, io la proteggo e non voglio abusarne. Anche se tutti mi incoraggiano: Joan tu devi cantare per sempre. Non ci penso proprio, ragazzi.
La mia non è "bubble gum music", né sono le grida indistinte di chi si mette ad urlare con l' amplificazione. Credo di essere vicina al ritiro, non so quando, ma inizio a pensare di smettere. Pete Seeger si è esibito fino a quasi novant' anni, alla fine la sua voce era orribile, ma a nessuno importava, visto che scriveva cose importanti e andava bene così. Io però, anche se mia madre è morta centenaria, non mi ci vedo sul palcoscenico fino alla fine. Mi piacciono i tour, sto bene con la mia band, che è ormai la mia famiglia, posso togliermi le scarpe senza imbarazzi, giriamo in bus, tutti insieme, alla vecchia maniera».
Le marce di Washington e di Selma sono una vecchia maniera o possono convivere con internet e con i nuovi strumenti di comunicazione? «La tecnologia è eccezionale. Io ho cantato in farsi una strofa di We Shall Overcome che è finita in Iran, si raccolgono in fretta migliaia di firme per le peti- zioni, anche io uso lo smartphone. Certo non come la mia giovane nipote che ha sempre la testa e pure gli occhi bassi, ma alla fine mi chiedo: non è meglio guardarsi in faccia e tenersi per mano?
Mi sembra ci sia una mistificazione: stare in contatto non significa conoscere la realtà, né conoscersi. Può starci un mondo nel telefonino?
Un vero mondo, fatto di carne, di esperienze personali? E poi cosa rischi così? Noi siamo scesi in strada, abbiamo subito gli interventi della polizia, siamo finiti in prigione. Per il Vietnam, anzi contro la guerra, per i diritti civili, contro il razzismo. Ci siamo messi in gioco. E capisco le difficoltà di chi oggi non vede un faro o forse ne vede troppi, ma nessuno che illumini una strada maestra. Per cosa vale la pena battersi oggi? Per tutto. Ci sono tante cause, soprattutto la difesa dell' ambiente, il riscaldamento globale. Per questo è importante mobilitarsi. Io mi sono impegnata perché ci credevo, non per diventare un simbolo.
Oggi l'unica cosa che sembra interessare è la fama. Mi chiedono: ma si rende conto che lei è l' unica che ha visto Bob Dylan e Steve Jobs nudi? E allora? Sì ho avuto due relazioni con loro, e allora sono una celebrità?».
No, ma c' è chi ha avuto fidanzati peggiori e anche più anonimi. «Jobs aveva un brutto carattere, non credo di svelare nulla. Ma nascondeva anche molte dolcezze, non era uomo da carezze, ma sapeva stare vicino. Era assurdo: si era costruito una villa splendida, quasi un castello, e poi mi ha chiamata perché voleva buttarla giù. Il motivo? Nessuno, solo perché poteva farlo. Non ha funzionato perché voleva una moglie che lo accudisse, qualcuno che cucinasse per lui.
Un giorno mi ha chiamata perché aveva acquistato un pianoforte Bösendorfer e voleva che io gli insegnassi a suonarlo. Come fare scuola guida a un principiante su una Ferrari. Con molta calma gli ho detto: metti il dito qui, ecco vedi, questa è una nota. Ma non credo che Steve abbia mai imparato. Insisteva che avrebbe ideato un computer geniale, che avrebbe fatto molto di più che duplicare le Sonate di Beethoven, e io che sono diventata buddista gli chiedevo: ci metti dentro anche la spiritualità? Litigavamo su tutto, la pensavamo in maniera opposta anche sul cibo, spesso sceglievamo l' indiano, pure se lui non mangiava niente».
bill clinton hillary e donald trump
Joan alle presidenziali americane tifava per Bernie Sanders. «Me lo ha fatto conoscere mio figlio che ha quarantasei anni e che mi ha rigirato tutti i suoi discorsi. Io sono sempre stata pessimista, anzi realista, non credo nell' andare al potere. Credo che alla fine sia sempre il potere che prende te. Guardate Obama, sì l' ho votato, ma ne sono delusa, dice quello che deve dire, tipo "non siamo così divisi come sembra", ma è imprigionato in un compromesso eterno. Se Sanders e Obama invece avessero lavorato insieme nel movimento, fuori dai partiti, nella strada, la loro forza avrebbe pesato di più, non avrebbe perso originalità».
Cosa fa una pasionaria di settantacinque anni a casa? «Mi arrampico sugli alberi e li abbraccio. Vivo nella California del nord, ho un cane. Dipingo, passeggio, leggo un po' meno. E mi costringo a non fare niente. A non riempirmi di cose e di pensieri. So che le cose e la musica cambiano. E così il sapore. Ho concluso un concerto a Rio nel 2014 con il senatore Suplicy (un famoso politico progressista, ndr) intonando la Ballata di Sacco e Vanzetti. Mi aspettavo calore, invece c' erano gelo, freddezza e silenzio. Non capivo: che avevo fatto di male? Poi mi hanno spiegato: quel pezzo era stato scelto dall' esercito per invitare i giovani ad arruolarsi».
Inutile chiederle se a guardare indietro si pente di qualcosa. «Con l' età non sono diventata conservatrice, non credo mi capiterà, è un rischio che non corro. Ma sì, una cosa c' è: ero in un parcheggio all' uscita di un supermercato dove avevano allestito un grande barbecue, e mentre andavo via ho incrociato gli occhi di un messicano, che se ne stava lì da una parte. L' ho capito dopo, ma era intimidito e affamato. Se solo avessi guardato meglio e alzato la testa me ne sarei accorta e gli avrei offerto una bistecca».