“SONO STATO UN FREQUENTATORE DI BORDELLI, FINO A INNAMORARMI DI UNA PROSTITUTA” – PRURITI, ECCESSI ED ERRORI DI GINO PAOLI. LA PALLOTTOLA CHE HA VICINO AL CUORE DAL 1963, QUANDO TENTÒ IL SUICIDIO: “NON FU PER AMORE, IL SUCCESSO CHE AVEVO AVUTO MI STAVA ESPLODENDO TRA LE MANI” – L’AMICIZIA CON TENCO: “ERAVAMO DEI CAZZONI. NE ABBIAMO FATTE DI PUTTANATE. MA MI TORMENTAVA PERCHÉ AVEVO UN RELAZIONE CON STEFANIA SANDRELLI MENTRE ERO SPOSATO. UNA SERA AL TELEFONO MI DISSE: ‘GINO, MI SONO FATTO LA TUA AMANTE’. NON CI PARLAMMO PIÙ” – VIDEO
Estratto dell’articolo di Antonio Gnoli per “Robinson - la Repubblica”
È un pomeriggio di pioggia e di vento qui a Genova Nervi. E la casa che mi accoglie sembra non avere più pareti tanto il mare e il cielo sommandosi invadono la vista. Bello spettacolo verrebbe da dire, che precede l’arrivo di Gino Paoli. Lui si definisce pigro: mai alzarsi troppo presto, meglio troppo tardi. Mi riceve con un’aria lievemente ingrugnita. Caffè, acqua, divano. È piccolo, solido, gradevole nei toni di blu di una mise casalinga. Siede, si stira, mi guarda. Commenta alla sua maniera la giornata: mi sa che mi romperò i coglioni.
[…] «È stata mia moglie Paola a insegnarmi l’uso del denaro. Prima, tanto avevo tanto spendevo». Paola, una modenese molto cordiale, ha anche voluto che Gino si impegnasse nel raccontare la sua vita in un libro, al quale ha contribuito Daniele Bresciani.
Hai chiamato il tuo libro, edito da Bompiani, “Cosa farò da grande”. Hai quasi novant’anni. Cosa ti aspetti dalla vita?
«Che non vengano persone come te a chiedermelo».
Mi giudichi un intruso?
«Ma no, sei come la pallottola vicina al mio cuore».
Non hai pensato mai di estrarla?
«Troppo pericoloso. La tengo buona e lei non dà fastidi».
Le cronache raccontarono che fu un tentativo di suicidio per amore.
«Per amore si fanno tante cazzate. Ma non fu quella la ragione. . Il successo che avevo avuto mi stava esplodendo tra le mani. Ci si ammazza perché si è vuoti, non perché si è stati abbandonati».
Hai scritto «Avevo tutto, ma non sentivo più niente».
«Forse volevo vedere cosa c’era dall’altra parte della vita».
Lo rifaresti?
«Neanche per sogno. Fu una stronzata».
C’è una foto del 1965 di Lisetta Carmi dove ci sei tu con una pistola, credo finta, in mano.
«Che ti devo dire, una bella foto. Ma non la rifarei. Solo i bambini possono giocare con armi finte».
Tu com’eri da bambino?
«Impossibile, la croce dei miei. Scappavo da casa, andavo malissimo a scuola. Mi interessava solo disegnare. Ho disegnato da subito, prima di imparare a parlare».
Avevi talento?
«Sì, ho disegnato e poi dipinto. Dipingere è stata una componente importante della mia vita».
GINO PAOLI CON I FIGLI GIOVANNI E AMANDA
Sei più famoso per le canzoni che hai scritto e cantato.
«Ti confesso che un po’ mi dispiace. Ma alla fine non sei tu che scegli ma è la vita a sceglierti, a dire cosa farai da grande. E non è sempre piacevole».
Perché?
«Per me la vita è stata scuola di precariato. Anche in quello che dico e scrivo c’è provvisorietà».
Non hai certezze?
«Ho soprattutto dubbi».
Il dubbio è un segno di intelligenza.
«In me di paura, reagisco così alla precarietà. Credo che dipenda dagli anni della guerra».
Ma eri un bambino.
«Avevo sei anni quando è cominciata, quasi undici quando ne sono uscito».
Cosa ricordi?
GINO PAOLI CON LA GATTA CIACOLA
«La gente che scappava. Mia madre che correndo mi trascinava. Mio padre che aveva adattato una cantina rifugio contro le bombe. E poi fummo costretti a traslocare nei rifugi comuni. La paura la leggevi negli occhi. E non sapevi se tornando avresti ritrovato la casa intatta. La guerra è stata la mia scuola di precarietà, allora vivevamo a Pegli. Da lì vidi la cosa più incredibile per un bambino».
Cosa?
«Genova in fiamme. Fu il primo bombardamento dal mare da parte degli inglesi. Avevo otto anni. Un vicino di casa mi portò sulla terrazza condominiale e assistetti a un grandioso spettacolo di fuoco e disastri. Non ebbi paura ma solo stupore».
fabrizio de andrè beppe grillo gino paoli
[…]
Non dai l’idea di avere molto faticato nella vita.
«Sono pigro, lo sono al punto da non fare niente per ottenere un risultato o conquistare un obiettivo».
Però hai conseguito entrambi.
«È vero, le cose e le persone mi sono venute incontro. A cominciare dalle donne».
Sono state tante nella tua vita.
«Hanno scandito fasi diverse».
Donne di tutti i tipi.
«Di tutti i tipi».
Anche prostitute, come scrivi.
«Sono stato un frequentatore di bordelli. Fino quasi a innamorarmi di una che conobbi».
Hai scritto che la portavi spesso con te. Perfino al Festival di Sanremo.
«La spacciavo a volte per mia moglie».
Ma è vero che “Il cielo in una stanza” l’hai scritta per una di loro?
«Non si scrivono canzoni per qualcuno o qualcuna, anche se una canzone nasce da una precisa emozione».
In questo caso hai detto per un orgasmo.
«Qualcosa che si racchiude in un attimo e che non richiede una descrizione perché è indescrivibile. Puoi solo dirlo con una poesia, un suono, o forse una canzone».
Il primo tuo successo è stato “La gatta”.
«Abitavo in una modestissima casa con un bel terrazzo, insieme ad Anna, la mia prima moglie. Allora lavoravo come grafico, disegnavo e avevamo messo su un complesso. Un giorno sentii il ragazzo che portava il pane in bicicletta fischiettare qualcosa. Quel motivetto divenne la base della canzone».
Accennavi a un gruppo musicale, chi eravate?
«Gianfranco Reverberi al pianoforte, Luigi Tenco alla chitarra e a volte anche Bruno Lauzi. Anche Piero Ciampi. Eravamo amici, ci conoscevamo da sempre, non pensavamo che saremmo diventati famosi».
La tua amicizia con Tenco fu quella più forte.
«Ma anche la più straziante».
Lo descrivi come goliardico, molto diverso dall’immagine pubblica.
«Eravamo dei cazzoni. Sempre pronti allo scherzo, alla beffa, al dileggio. Ne abbiamo fatte di puttanate, io e Luigi».
Raccontane qualcuna.
«Uscendo da un cinema ci mettemmo in testa di recitare la scena di due che dal cornicione di un palazzo sembra che litighino. Uno vuole buttarsi di sotto e l’altro prova a trattenerlo. Alla base si radunò parecchia gente. Arrivarono la polizia, i pompieri. Avemmo la sensazione di essere andati un tantino oltre. Un’altra volta “rubammo” un tram. E poi Luigi aveva la fissa di tagliare la base delle cravatte. Non c’era verso di farlo smettere. Incontrava uno e zac!».
Gli hai mai invidiato una canzone?
«Quelle di Luigi erano più romantiche, le mie più intimiste».
Non mi hai risposto.
«L’invidia non è un sentimento che mi appartiene».
Dopotutto, “Lontano lontano” avresti potuto scriverla tu.
«Capitava che ci si influenzasse. Avevamo il nostro bar dove tra le tante cose mettevamo a confronto i testi e la musica che scrivevamo. Quella canzone avrei voluto comporla, sì. Ma forse un po’ l’ho anche scritta».
Hai detto un’amicizia straziante.
«A un certo punto si ruppe e non ci parlammo più».
Cosa era accaduto?
«A quel tempo avevo una relazione con Stefania Sandrelli. Luigi mi tormentava».
Ossia?
STEFANIA SANDRELLI E GINO PAOLI
«Voleva bene a mia moglie Anna. Mi telefonava dicendo: quella lì, intendendo Stefania, lasciala stare. Anna invece ti ama e la fai soffrire. Era asfissiante. Finché una sera al telefono mi disse: Gino, mi sono fatto la tua amante. Non ci potevo credere. Era il mio migliore amico! Lo insultai e alla fine troncai con lui e con Stefania».
Fu rottura definitiva?
«Con Stefania no, avevamo una figlia e poi, anche quando per un bel pezzo non ci frequentammo né parlammo, ho continuato a volerle bene».
Mentre con Tenco?
«Non ci fu modo per rimediare. Quel gesto e quelle parole erano nate da un’intenzione precisa: farmi tornare con mia moglie Anna. Senza capire che me l’avrebbe allontanata ancora di più».
E poi ci fu il suicidio.
«Se ne sono dette troppe. Io stesso ho contribuito. Ora basta».
Però non credi alla delusione per via dell’esclusione al Festival di Sanremo.
«Luigi era troppo intelligente, troppo snob, per affliggersi a causa di un’ingiustizia così banale, cioè per il fatto che alla sua canzone la giuria aveva preferito Io tu e le rose».
Ma l’ha scritto, ha lasciato un biglietto.
«Si scrivono tante cose. Ma Luigi era un duro, uno deciso. Ma anche con un fondo di fragilità. Morì strafatto di whisky e di pronox. Sono sicuro che da lucido non l’avrebbe mai fatto».
E non siete riusciti a ricomporre l’amicizia.
gino paoli al festival di sanremo del 1961
«Purtroppo no. Quante volte mi sono detto: chiamalo, è passato troppo tempo. Accorsi all’ospedale dove lo avevano portato. Ricordo di quando fui io a tentare il suicidio e Luigi accanto al letto a dirmi: non si fa, Gino, non si fa. E so che, se fossimo rimasti amici, quell’amicizia fraterna che condividevamo, non l’avrebbe fatto. Questo è il mio grande dolore».
In questi quasi novant’anni hai goduto e sofferto, sei caduto e ti sei rialzato. Ti senti un uomo fortunato?
«Non lo so. Malgrado la mia rissosità sono contento di avere avuto amici meravigliosi e donne straordinarie. Le donne sono state una grande risorsa, mi hanno dato molto. Quindi sì, mi considero un uomo fortunato. Ma alla fortuna ho fatto spesso gli sberleffi».
Conservi sempre un tono tra l’amareggiato e lo strafottente.
«Lo strafottente è un tratto che non mi riconosco.
Essendo pigro attendo, come ti ho detto, che siano le cose a venirmi incontro. Mentre amareggiato mi fa pensare alle burrasche, al tumulto dei sentimenti, all’idea che siamo di passaggio in questo mondo».
Ti atteggi ad esistenzialista.
«Fa parte del mio modo di vedere le cose, non mi atteggio. Mi fai venire in mente il mio amico Léo Ferré che dell’esistenzialismo fu a suo modo un protagonista. Gli piacevano la ragazzine e sua moglie alla fine smise di perdonarlo. Chiese il divorzio, gli portò via tutto e non contenta gli ammazzò con una doppietta anche i suoi due adorati cani maremmani».
E lui?
«Si trasferì a vivere in Italia, prima a Sestri Levante e poi in Toscana, sposò la sua cuoca. Mi dirai che c’entra tutto questo? Fa parte di quella roba che dicevi: si cade e si prova a rialzarsi. Per questo mi dico anche ironicamente: Che cosa farò da grande?».
Che farai?
«Vorrei continuare a divertirmi quando canto, sentire di essere ancora me stesso quando sono sul palco. Non mi importa se davanti ho cento, mille o diecimila persone. Mi importa di parlare all’anima di ognuno di loro. Vorrei continuare a interrogarmi perché è come continuare a interrogare la vita. E poi…».
E poi?
«Fare di tanto in tanto la cena dei sopravvissuti. Della vecchia banda genovese siamo rimasti io e Renzo Piano. Siamo stati insieme boy-scout. Due gentili animelle. Lui è un genio nel suo campo, io ho fatto qualcosa nel mio. Siamo l’essenza di questa scarna terra che ci ha voluto bene».
ornella vanoni e gino paoli 1lucio dalla gino paoliGINO PAOLIGINO PAOLI E BEPPE GRILLOornella vanoni e gino paoli - che tempo che fa 1