1. RENZI CAMBIA LA LEGGE SULLE TV
Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera”
Matteo Renzi non lo ha mai detto ufficialmente. E nessun governo prima dell’attuale lo ha mai fatto. È questa la speranza alla quale si attaccano i partiti per non perdere il loro potere ultraventennale in Rai.
floris a palazzo chigi da renzi
Già, non è mai accaduto che un esecutivo fosse costretto all’uso del decreto per cambiare la «governance» del servizio pubblico radiotelevisivo e spazzare via le forze politiche dalla tv di Stato a cui sono abbarbicate. «Non ci sono i presupposti di urgenza», spiegano quelli che si oppongono a una simile ipotesi. E aggiungono: «Il presidente Sergio Mattarella, custode inflessibile della Costituzione, non potrà mai controfirmare un simile provvedimento».
Sarà anche così, ma chissà perché Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, in perenne lotta con i partiti e i partitini, è convinto che sarà questa l’arma finale del premier per ottenere la «liberazione» di viale Mazzini. Ed effettivamente altra strada non c’è.
maurizio gasparri maria scicolone e abdan tamiz
Il Consiglio d’amministrazione della tv di Stato scade ad aprile, di prolungamento in prolungamento in prolungamento può arrivare fino a giugno. E per il Parlamento, i cui tempi biblici sono noti, significa che anche il prossimo Cda verrà nominato con la legge Gasparri. Un’ipotesi, questa, che Renzi non vuole assolutamente perché se c’è una cosa che il presidente del Consiglio non vuole assolutamente è protrarre la tirannia dei partiti su Viale Mazzini: «Dobbiamo sottrarre la Rai alle forze politiche», è il suo ritornello. E non è un modo di fare facile propaganda. Il premier è sinceramente convinto che «così non si può andare avanti».
Del resto, c’è un’immagine, plateale, che lo ha colpito e lo ha vieppiù convinto ad andare avanti: il voto unanime della commissione di Vigilanza Rai contro il piano Gubitosi. Giusto o sbagliato che sia quel progetto, era un tentativo di svincolare l’azienda dai partiti, e il fatto che tutte le forze politiche, grillini inclusi, lo abbiano respinto, lo ha fatto riflettere su quali siano i rapporti tra informazione televisiva e partiti e su quali indistricabili intrecci si siano creati negli anni, anzi, nei decenni. Un decreto tra marzo e aprile risolverebbe la questione.
Rai Andrea Vianello Luigi Gubitosi Angelo Teodoli Giancarlo Leone
Certo, il problema dei requisiti richiesti c’è. Perché non sono i cittadini a essere interpellati sul problema, quei cittadini che sentono gravare il peso dei partiti sulla Rai come in altre aziende pubbliche. Ma riaffidare la scelta dei membri del Consiglio d’amministrazione alla Commissione di vigilanza Rai e ridar loro gli stessi poteri che hanno ora significherebbe inchiodare Viale Mazzini al passato.
Gubitosi con il libro su Arbore
Almeno così la pensa Renzi, che vorrebbe una «governance della Rai sottratta non solo ai partiti, ma anche al governo». La sua idea, è nota: è quella di un Cda più snello, composto solo da cinque membri e con poteri limitati (nominati da una Fondazione e non più dalla Commissione di vigilanza Rai), di un amministratore delegato e di un direttore generale operativo.
Il premier ogni volta che può continua a ripetere che «questo è un tema non più rinviabile», che si tratta di una «scommessa importante», ossia quella di «rendere la televisione di Stato un’azienda innovativa, anzi, la più innovativa d’Europa per l’offerta culturale che è in grado di dare».
anna maria tarantola e roberto fico in commissione di vigilanza rai
Il discorso che fa il premier è questo: «L’informazione è un bene comune e come tale va trattato». Il che vuol dire che per arrivare all’obiettivo ci si può spingere anche fin dove nessuno è arrivato, ossia a un decreto. Nel quale ci sarebbe, ovviamente, anche il dimezzamento del canone, che è la tassa più evasa dagli italiani.
«È un tema molto difficile», ammette l’inquilino di Palazzo Chigi quando si lascia andare con i suoi. Ma subito dopo aggiunge, con il piglio che gli è abituale: «Però nessuno deve provare a fermare le riforme, perché questo Paese deve andare avanti, non può restare fermo a vent’anni fa».
I più cauti consigliano al premier maggior prudenza. Gli suggeriscono la strada del disegno di legge. In questo modo si arriverà a settembre, prolungando artificialmente la vita dell’attuale Consiglio d’amministrazione, com’è già successo in passato.
Ma il premier sa bene quali sono i tempi parlamentari. Ormai ha capito che settembre vuol dire dicembre, se non addirittura febbraio. E, soprattutto, ha ben capito che i partiti sono divisi, dentro e tra di loro, su tante cose, dal Jobs act alla riforma costituzionale, dall’Italicum alla riforma della Pubblica amministrazione, ma su un punto sono uniti, senza tentennamenti e divisioni: la Rai.
«Ognuno vuole avere un suo pezzettino di potere là... o ben di più. E non lo vuole mollare», è l’ironico commento di Renzi. Ma il premier lo ha detto tante e tante volte: «La mia sarà una legislatura sotto l’insegna delle riforme e questa spinta non si fermerà mai. Per niente è per nessuno». È chiaro che ufficialmente il governo non dirà ancora nulla finché non avrà il via libera del Quirinale.
Ma il decreto sulla riforma che svincola la Rai dalle forze politiche e cancella per sempre la legge Gasparri sarà la prima vera partita di Sergio Mattarella. Vorrà giocarla, o preferirà lasciare la palla al Parlamento, che potrebbe acconciarsi a un iter lungo e complicato, dall’esito incerto? Renzi è pronto a qualsiasi evenienza, perché è convito che in casi come questi l’ultima parola spetti al presidente, ma qualsiasi sia la strada che Mattarella sceglierà, il premier sembra determinato a «fermare chi prova a frenare le riforme».
2. METODO MATTARELLA PRONTO ANCHE IN RAI IL PREMIER IMPONE LA SUA «DONNA FORTE»
Enrico Paoli per “Libero Quotidiano”
Gubitosi Andreatta foto Olycom
Comunque vada sarà una donna. Magari proprio quell’Eleonora Andreatta, meglio conosciuta come Tinny, vero uomo forte della Rai, che governa la Fiction della tv pubblica. E comunque vada la rivoluzione della Tv pubblica sarà all’insegna del metodo Mattarella. In buona sostanza il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non stilerà una lista di candidati ma si limiterà a proporre al prossimo consiglio di amministrazione il nome del nuovo amministratore delegato.
E il board di viale Mazzini dovrà limitarsi a dire sissignore, aprendo la strada alla figlia dell’ex ministro, nonché fondatore dell’Ulivo, Beniamino. Perché il gran polverone sollevato dal Fatto Quotidiano, oltre che a mettere in croce il consigliere di amministrazione Antonio Verro, mira ad azzerare l’attuale vertice di Viale Mazzini, favorendo l’azione del governo. Che ora ha il pretesto giusto per resettare l’intero settimo piano della Rai.
Del resto è del tutto evidente che questa Rai non piace a Renzi. I numerosi cinguettii di questi mesi (dal famoso «trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retropensieri: basta una sera alla Tv e finalmente capisci la crisi dei talk show in Italia», del gennaio scorso al recente siluro contro «Presa diretta» di Riccardo Iacona) sono lì a dimostrare che gli editti bulgari si possono fare anche con soli 140 caratteri. E fatti in pubblico sono ancora più pervasivi. Insomma a Matteo questa Rai non piace perché si occupa troppo di politica e poco di intrattenimento.
Con l’avvento dell’Andreatta al timone della tv pubblica, magari con il sostegno di Antonio Campo Dall’Orto molto amato dal premier e attualmente parcheggiato alle Poste Italiane, la fiction diventerebbe il vero core business dell’azienda, proponendo mini-film per tutti, destra e sinistra. E le truppe renziane si stanno già muovendo in quella direzione. «Racconto, innovazione e merito.
lucio dubaldo e antonio campo dallorto
È su questi pilastri che va rimontata (è il verbo usato da Renzi l’altra sera a Virus, il programma di Rai Due condotto da Nicola Porro, ndr) la Rai», afferma in una nota l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, «al governo e al Parlamento chiediamo di mettere con urgenza le fondamenta normative». Nel frattempo, anche se la cosa non è affatto casuale, si riaccende il dibattito sul possibile ritorno di Michele Santoro in Rai.
«La migliore risposta a quanto emerso sul caso Verro», sostiene l’esponente dem Michele Anzaldi, «sarebbe proprio quella di concretizzare subito il possibile ritorno di Santoro, un modo per rilanciare l’informazione Rai». In fondo cosa c’è di meglio di un bel ritorno all’antico? Andreatta permettendo, s’intende...