Francesco Caldarola per "Vanity Fair"
VAURO E VINCINO DA VANITY FAIR VAURO SENISE VINCINO VINCENZO GALLOLo vuoi il caffè?». «Solo col dolcificante».«Non ce l'ho il dolcificante». «E allora niente. O hai il dolcificante, o sennò niente».«Vuoi una vodka?».«No, voglio il caffè col dolcificante».
Roma, rione Monti. In un appartamento al quinto piano dove a ogni angolo ti trovi davanti un manichino che indossa divise dell'Armata Rossa (almeno 20, a grandezza naturale) per un quarto d'ora va avanti un dialogo surreale. Poi Vauro Senesi e Vincino Gallo, due delle matite più argute della satira italiana, si armano di pazienza e si siedono: rilasciare interviste non deve essere in cima ai loro desideri, ma il motivo lo impone: dal 5 ottobre tornano in edicola, direttore e condirettore, con una rivista che ha segnato il costume italiano e di cui vogliono rievocare lo spirito: Il Male.
Vincino e VauroTiratura iniziale di 150 mila copie, prezzo entro i 3 euro, periodicità stagionale, «come i pomodori».
Vincino: «Intanto ti dico subito che il nostro Male non è quello di 30 anni fa».
Vauro: «Se è per questo, anche noi non siamo quelli di 30 anni fa».
Ma rifare Il Male è una cosa enorme, come vi è venuto in mente?
Vincino: «C'è un'Italia non raccontata. Penso che la satira sia uno degli strumenti più belli e più veri per raccontare. Il disegno va all'essenza della verità».
Vauro: «È anche un modo per uscire dalla cupezza delle barzellette».
È un riferimento?
Vauro: «Del tutto casuale. Noi comunque non sappiamo raccontare barzellette e vogliamo parlare a quell'Italia cui non piacciono, che non ride quando le sente, anche perché non è pagata per farlo. Ci rivolgiamo all'Italia sveglia che ha voglia di allegria sana; a quella più antica, con capacità di arrangiarsi, fantasiosa ma non furbesca».
Qualche nome, giusto per capire?
Vauro: «Ci saranno persone che disegnano e persone che scrivono».
Vincino: «Ci saranno puttane, preti... Tranne Sparagna, i vivi ci saranno tutti».
Vauro: «Ci saranno anche i morti».
Vincino: «La nostra redazione dell'aldilà».
Vauro: «E glielo diciamo del concorso?».
Vincino: «E diciamoglielo».
Che concorso?
Vauro: «Cerchiamo cinque nuovi disegnatori, cinque nuovi scrittori, cinque nuovi fotografi».
Vincino: «Però devono essere davvero nuovissimi, sconosciuti».
Vauro: «Lo slogan è suo: pochi soldi, tanta gloria».
I nomi, dicevamo.
Vincino: «Ci saranno Perini, Jacopo Fo, Scozzari, Alessio Spataro, Makkox, quelli di Don Zauker...».
Vauro: «Nicolai Lilin, Benni...».
Vincino: «Pasquini, Caviglia...».
Disegni?
Vauro: «Disegni no».
Che libertà di satira avrete?
Vauro: «Il dibattito sulla libertà di satira è un dibattito del cazzo. La satira, la libertà, se la prende e non la chiede».
Vincino: «E non si piange addosso».
Ho capito che non vi piace chi si lamenta troppo.
Vincino: «A me piace solo Guzzanti, ma Corrado. E mi piacciono anche quelli di Boris».
Vauro: «A me piace Crozza...».
Vincino: «Crozza è insopportabile».
Vauro: «E vabbè...Poi mi piace anche Dottor Djembe di Riondino e Bollani alla radio».
Parliamo di Beppe Grillo.
Vincino: «I disastri della satira sono due: il moralismo e il buttarsi in politica. Nel moralismo ci cadono tutti: Grillo, certo, e poi coso, come si chiama... quello di Repubblica, di Cuore...».
Vauro: «Michele Serra».
Vincino: «Eh, lui».
Vauro: «Ma lui non fa più satira».
Vincino: «Non fa più satira, fa solo moralismo».
Ma come, ci avete anche lavorato ai tempi di Cuore! E poi, quella che fa sull'Espresso, è satira pura e di livello.
Vincino: «Sì, gli vogliamo bene, ci mancherebbe altro».
Vauro: «Il suo è più un giornalismo arguto, ecco».
Daniele Luttazzi sarà della squadra?
Vauro: «Come tutti: anche lui se avrà idee collaborerà».
Vincino: «Le firme non fanno vendere una copia in più, hai già Vauro e Vincino, che cazzo vuoi?».
Va bene, allora parliamo dei vostri bersagli. Il presidente del Consiglio?
Vincino: «Eh, ma da qui al 5 ottobre non so se quello che c'è adesso ci sarà ancora. Prima invece c'era l'Italia di Andreotti: anche lui, poveretto, è ancora vivo e non si sa perché». Già, prima: era la fine degli anni Settanta. Sequestri, processi.
Vincino: «Aaah, una festa! Ci sequestravano in cinque edicole e nelle altre vendevamo il doppio. Ci fu qualche problema anche con la Chiesa...».
Beh, chiamavate il Papa «Giampaolo II»...
Vincino: «Uff... All'epoca c'era il Papa Santo e potevamo fare quello che volevamo, con questo invece...».
Il colpo memorabile fu quello con Tognazzi. Tre finte prime pagine che titolavano: «Arrestato Ugo Tognazzi, è lui il capo delle Br».
Vincino: «Andammo a casa sua, in due giorni facemmo tutto. Tognazzi si dimostrò un vero uomo di satira, lo ammirai. La famiglia era contro, Villaggio gli diceva meglio di no. Ma osammo anche di più: una copertina su Moro con un bellissimo disegno di Zac, di cui siamo entrambi debitori, proprio mentre i terroristi lo tenevano sequestrato. In quel momento il Male usciva e diceva che c'era un'altra Italia, proprio come oggi non ci sono solo Berlusconi e quelli contro Berlusconi: questo Paese bipolare e unico è falso».
La conversazione dura un'ora, poi non è più possibile tenerli seduti, contando che ci sono da fare ancora le foto. In casa di Vauro c'è uno degli editori della rivista (ma anche i due disegnatori avranno quote), Francesco Aliberti, che paternamente tiene le fila della situazione.
Deve arrivare ancora Cinzia Monteverdi: è con Michele Santoro a ultimare il suo nuovo programma (di cui Vauro farà parte), ma vuole assolutamente esserci. Vincino però fa avanti e indietro tra cucina e divano: «Sentite, lo sapete quanto voglio bene a Cinzia, ma io devo andare, capito, de-vo-an-da-re!». «Cinque minuti, dai».
La gag va avanti 50 minuti, poi Vauro dice sottovoce: «Speriamo che si addormenti davanti alla Tv, così è fatta. A proposito, vuoi una vodka?».