Piero Melati per “il Venerdì di Repubblica”
Ad Attilio Bolzoni, inviato di Repubblica e cronista di lungo corso del giornalismo italiano sulla mafia, si debbono alcune immagini fulminanti particolarmente riuscite. Per esempio: «Il cratere di Capaci è troppo grande per qualsiasi aula giudiziaria», a significare che nessun processo penale riuscirà mai a prosciugare definitivamente misteri e implicazioni della strage del 1992 in cui cadde, con Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, il giudice Falcone. Ma dopo le stragi di quell' anno, che segnarono una svolta nella coscienza civile del Paese e una reazione da parte dello Stato, cosa mai è accaduto nel pianeta di Cosa Nostra e dintorni? Per anni è rimasto un enigma.
La regista Manuela Ruggiero e Attilio Bolzoni
Gli esperti giravano a vuoto, formulando mille ipotesi. Oggi dice Bolzoni: «È accaduto che un uomo, sin da piccolo rampollo di un capomafia, che a sua volta era il consigliori del numero due di Cosa Nostra, è diventato il faro dell' Antimafia nazionale».
Sconcertante. Ma come è stato possibile? Davvero si può essere, nello stesso tempo, sia in odor di mafia che il guru dell' Antimafia? Una sfida alle leggi della gravità, condotta con brillante successo a Serradifalco, un comune siciliano di seimila anime in provincia di Caltanissetta, dove un uomo chiamato Calogero Antonio Montante, in arte Antonello, presidente di Sicindustria, è diventato il Giano bifronte della storia italiana.
È accaduto che la Confindustria gli abbia dato in mano, dopo il 1992 delle stragi, le chiavi della "rivoluzione della legalità" in Italia, che il presidente della Repubblica Napolitano lo abbia nominato Cavaliere del lavoro, che il governo Renzi (su segnalazione dell' allora ministro degli Interni Angelino Alfano) lo abbia nominato uno dei responsabili dell' agenzia che gestisce i beni sequestrati alla mafia (fatturato: 50 miliardi di euro) e che tutti (governi nazionali e regionali, ministri e assessori, prefetture, questure, comandi dei carabinieri e della Finanza, procuratori, servizi segreti, imprenditori, sindacati, grande distribuzione, sanità, associazioni sociali) siano dovuti passare da lui per carriere, favori, affari, inchieste e iniziative contro l' illegalità.
Sembra un incubo surrealista. Ma è stato lui, per anni, a rilasciare le patenti di onestà, seduto sul trono di un vero e proprio Califfato, come lo definisce Bolzoni. Quest' ultimo documenta oggi tutta la sconcertante vicenda in un libro destinato a spaccare in due la storia di mafia e antimafia (Il padrino dell' Antimafia. Una cronaca italiana sul potere infetto. Zolfo editore, pp. 312, euro 18, in uscita il 18 marzo). La domanda di partenza è sempre quella: cosa era successo a Cosa Nostra siciliana dopo le stragi, gli arresti dei grandi latitanti, la morte dei suoi capi storici, l' avvento della 'Ndrangheta?
Serradifalco, il paese natìo del prodigio Montante, significa montagna del falco. «Un luogo da cui spiccare il volo, e volo rapace» scriveva Leonardo Sciascia nel suo Candido. Qui Cosa Nostra (o qualcosa di molto simile) ha dato vita alla sua ultima metamorfosi. Quando gli inquirenti, dopo una inchiesta durata anni, hanno fatto irruzione nella villa dell' icona dell' Antimafia, hanno trovato un enorme archivio per ricatti e la documentazione dell' esistenza di un servizio segreto che sarebbe improprio definire "parallelo", poiché era quello ufficiale dello Stato.
E poi un elenco di nomi, incontri, circostanze da far impallidire anche la P2 di Licio Gelli, e che documentano il condizionamento diretto e continuato su tre governi regionali (Cuffaro, Lombardo, Crocetta), sempre passando da un asse privilegiato con il pidiessino Beppe Lumia. Un golpe silenzioso. Iniziato con uno storytelling inventato di sana pianta, una sceneggiata infarcita di fake news, nella quale però cadono tutti, anche i più avvertiti. Nel 2008 esce in libreria La volata di Calò.
Nella prima parte un cronista e scrittore siciliano non certo sprovveduto, come Gaetano Savatteri, racconta l' epopea della famiglia Montante, che dagli anni Venti fabbrica mitiche biciclette. Dirà poi Savatteri a Bolzoni: «Montante mi aveva documentato tutto».
Nella seconda parte del volume il più popolare scrittore italiano, Andrea Camilleri, ricorda che a bordo di una di quelle bici, regalatagli dalla zia Concettina, percorse nell' estate del '43 i 55 chilometri da Sferracavallo a Porto Empedocle, per avere notizie del padre dopo i bombardamenti. Ebbene, annota Bolzoni, si scoprirà alla fine dell' inchiesta giudiziaria che l' azienda di famiglia era una semplice officina di riparazioni meccaniche, che la bici dello scrittore allora giovane era probabilmente un singolo prototipo, che la fabbricazione di veicoli a pedale da parte di Montante inizia solo nel 2011, quando quelle bici "griffate" col marchio di famiglia verranno esposte negli aeroporti italiani come "simboli antimafia" e poi regalate a questure, politici, uomini delle istituzioni. La leggenda serviva a coprire la verità.
Il 23 dicembre del 1980 il futuro cavaliere dell' Antimafia aveva sposato Antonella Ristagno. Testimoni sono Vincenzo Arnone, uomo d' onore di Serradifalco, suo padre Paolino, rappresentante di Cosa Nostra nel paese e consigliori del vice di Totò Riina nella cupola degli anni 80 e 90, Giuseppe "Piddu" Madonia. Presto arriveranno cinque pentiti che, sorpresi dalla "svolta antimafia" di Montante, racconteranno con dovizia di particolari la comune infanzia e adolescenza di Montante con gli Arnone, fino al "padrinaggio" di don Paolino sul ragazzo.
Arriva così il primo avviso di garanzia per "concorso esterno". Montante reagisce: scatena una campagna ("Montante come Enzo Tortora"), inventa finti attentati e lauree ad honorem, carica le sue armi per fermare l' inchiesta della procura di Caltanissetta: intimidazioni, telefonate registrate, ricatti, pedinamenti. La sua maschera regge ancora nel 2015, quando è già indagato, nel rapporto annuale della Dia se ne parla come di un eroe. Bolzoni, intanto, conduce la più strana delle inchieste giornalistiche. Perché strana? I suoi primi articoli su Montante, pubblicati da Repubblica, cadono nel silenzio («anche tra i giornalisti c' è una concertazione per beatificare la nuova antimafia») e poi viene pedinato e intercettato sia dagli investigatori che conducono l' inchiesta ufficiale della procura, sia dalle spie di Montante.
Bolzoni, nel frattempo, ha però scoperto anche i legami tra Montante e la famiglia Patti: sono accusati di essere prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro, con il re delle discariche Giuseppe Catanzaro e con quello della grande distribuzione Massimo Romano. Fino ai rapporti con Banca Nuova, che gestisce i fondi dell' intelligence italiana. Un sistema avvolgente, i cui dettagli verranno presto chiariti al cronista da due voci "da dentro": sono due manager che hanno lavorato fianco a fianco con Montante, ne hanno sofferto intimidazioni e ricatti, ne conoscono ogni segreto e adesso vogliono denunciare tutto.
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