Marco Giusti per Dagospia
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Se ne va Nick Nostro, il regista di capolavori di cinema B come “Superargo contro Diabolikus” o delizie alla sotto 007 come “Asso di picche Operazione controspionaggio” o due peplum alla volta come “Il trionfo dei dieci gladiatori” e “Gli invicibili dieci gladiatori”. Altri tempi. Nick Nostro, calabresissimo, era nato a Gioia Tauro nel 1931 e lì è morto il 15 giugno scorso. Chiamato “il professore” perché era laureato in legge, era molto piccolo di statura.
Al punto che sul set fiorivano le battute. E una volta quando i macchinisti gli domandarono “dove mettiamo la macchina, professo’?”, alla sua risposta “altezza uomo” questi gli fecero: “allora mettemo il pitbull”, cioè l’altezza terra. Rissoso, celebri i suoi scontri con qualche attore, come Pietro Torrisi, ma buon professionista, era entrato nel cinema come assistente del regista Roberto Bianchi Montero nei tardi anni ’50 e si era legato d’amicizia con la grandiosa comica napoletana Tina Pica, della quale era diventata una specie di consigliori spirituale sul set.
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Nick diceva che molte delle scene dei film di Tina Pica firmati da Roberto Bianchi Montero, come “La zia d’America va a sciare”, “La duchessa di Santa Lucia”, “La Pica sul Pacifico”, erano in realtà dirette da lui e che l’attrice non si muoveva se non c’era lui sul set. Diventa poi assistente di Giorgio C. Simonelli per una serie di fortunati film con Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, da “Noi siamo due evasi” al fondamentale “I baccabali di Tiberio”.
Per Simonelli è assistente, e forse qualcosa di più vista la velocità con cui venivano girati i film allora, per uno dei nostri primi western parodistici girati in Spagna, “Un dollaro di fifa”, ma anche per “I tre nemici” e per un geniali Franco e Ciccio movie, “Due samurai per cento gheisce”, dove Franco capisce latte al posto di blatte e convinto di farsi portare un bel bicchiere di latte gli arriva un bicchiere pieno di orride blatte.
Fa il suo esordio nel cinema da regista con il drammatico “Il sangue e la sfida” con Gérard Landry e José Greci, presto seguito dall’introvabile “La cieca di Sorrento” con Anthony Steffen. Specializzato nelle coproduzioni veloci con la Spagna i fratelli Maggi, proprietari della Filmar, allora potentissima, gli affidano, con l’appoggio dei fratelli Balcazar di Barcellona, ben due peplum coi gladiatori che eredita da Gianfranco Parolini, “Il trionfo dei 10 gladiatori” e “Gli invincibili dieci gladiatori”, più o meno con lo stesso cast di ercoli e maciste, dall’americano Dan Vadis ai fratelli Messina, forzuti catanesi fino al meglio dei nostri stunt, come Aldo Canti, Sal Borgese, Nino Scarciofolo.
Ci recita anche la sua amante di allora, la bellissima Halina Zalewska, che morirà tragicamente nel suo letto a causa di una sigaretta accesa. Si lancia nello 007 con “Asso di picche operazione controspionaggio” con Giorgio Ardisson, sempre prodotto dai Maggi, girato in Turchia, che ebbe un grande successo di pubblico. Infine nello spaghetti western sempre di coproduzione italo-spagnola, come “Un dollaro di fuoco”, dove divide la regia con José Luis Madrid, interpretato da Miguel De La Riva e Dada Gallotti e “Uno dopo l’altro”, dove si firma Nick Howard, interpretato da Richard Harrison, che ricordava il regista come “un tipo complessato, di non grande personalità” .
Nick Nostro sosteneva anche di aver diretto gran parte di “E divenne il più spietato bandito del sud” con Peter Lee Lawrence, un film ideato da Lucio Fulci come una versione western di Salvatore Giuliano e firmato poi dallo spagnolo Julio Buchs. Probabile che Nick abbia diretto qualcosa, ma non certo tutto il film.
Grandioso è invece il suo unico film di luchadores alla simil-messicana, “Superargo contro Diabolikus” con Ken Wood, alias Giovanni Cianfriglia di Anzio come Superargo, e Gérard Landry come Diabolikus. “Era il momento che andavano questi uomini mascherati”, ricordava Nick Nostro.
“Inventai questa storia di un uomo mascherato, che era interpretato da uno dei miei Dieci Gladiatori, che nasceva pescatore e aveva poi aperto un ristorante ad Anzio dove ci portava da mangiare. Gli abbiamo messo questa maschera addosso e ha fatto tutto il film mascherato. Si vedevano solo gli occhi. Al punto che mi disse: Professore, ma se un giorno viene mio fratello al posto mio, non è la stessa cosa?. Gli dissi: fai un po’ come ti pare”. Il film che venne fuori, ammetteva lo stesso regista, era un po’ un polpettone. “Io non ero né Fellini nè De Sica. Solo i grandi potevano scegliere”.
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Il suo ultimo film, del 1971, è lo spionistico comico “Grazie zio, ci provo anch’io” con Riccardo Garrone e una certa Marujita Diaz, notissima in Spagna come Carmen Boom, una specie di sotto Sophia Loren. “Non è un granché”, ricordava Nick Nostro, “mi chiamò un produttore improvvisato, barese, con quattro soldi in tasca. Il soggetto non funzionava, tanto che ricordo che una notte da Madrid lo chiamai. Non sapevo come farlo finire”. A questo punto Nick lascia il cinema per stare vicino a sua mamma, rimasta vedova, e ritorna in Calabria, dove farà tutt’altro, fino a diventare un personaggio importante addirittura di Forza Italia a Gioia Tauro.
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