NON PRENDETELO NEL GOOGLE - GLAUCO BENIGNI: “NON BASTA DIRE, COME FA CASALEGGIO, CHE GOOGLE UCCIDE I GIORNALI. BISOGNA RIVEDERE IL “COST PER THOUSAND” DELLE INSERZIONI PUBBLICITARIE. MA GLI EDITORI NON SANNO DOVE NEGOZIARE”

Glauco Benigni per Dagospia

 

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Nel blog di Beppe Grillo è comparso lunedì un post, a firma Gianroberto Casaleggio, che fa parte di una serie di post sulla "morte dei giornali" e che verrà inserito nello studio "Press Obituary" di prossima pubblicazione. Nel post compaiono alcune affermazioni che, a mio avviso, necessitano di commento e talvolta di precisazioni.

 

"La fine dei giornali - scrive Casaleggio - è una delle cose più prevedibili del nostro futuro" se non si troveranno risorse diverse dalla pubblicità. È vero? È falso? È vero solo in parte e comunque a condizione che si verifichino azioni e reazioni, da parte dei soggetti coinvolti, che al momento non sono ancora completamente scontate.

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Alcuni giornali online e classici (quotidiani, settimanali ma anche mensili) infatti potrebbero sopravvivere alla contrazione delle risorse pubblicitarie alle seguenti condizioni:

 

a) se fossero sostenuti prevalentemente dalle vendite e dagli abbonamenti;

b) se fossero sostenuti da donazioni (anche occulte);

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c) soprattutto se fossero considerati da potentati politici e economici quali veicoli indispensabili per organizzare il consenso su argomenti altamente strategici.

 

L'ipotesi c), per esempio, è attualmente in vigore nel caso di giornali che, barattando la loro visione "politica" ottengono, da parte di inserzionisti pubblicitari particolari, un occhio di riguardo.

 

A tutt'oggi infatti il consenso politico su grandi temi strategici quali la guerra e la pace, il valore flottante delle monete di riserva planetaria, le questioni energetiche e farmaceutiche, gli investimenti nelle borse, etc... viene ancora organizzato da Big Press e Big Tv che stanno sopravvivendo alla crisi della pubblicità e anzi l'hanno usata come alibi per "asciugare costi" ritenuti superflui e dismettere giornalisti.

 

Ciò non toglie che, all'interno del vasto mosaico dei media, il declino di gran parte della stampa classica e dei giornali online sia in corso. È sul suo decesso "inevitabile" però che si possono e devono esprimere dubbi, come quando all'avvento della Rivoluzione Industriale si espressero leciti dubbi sulla morte dell'artigianato.

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Esiste infatti un'ipotesi di sopravvivenza alla crisi della pubblicità che tenterò di formulare in seguito. Casaleggio descrive poi una pratica pubblicitaria molto perversa che si svolge in rete : quella dell'uso dei "cookies". E descrive i suoi effetti nefasti : monitoraggio degli accessi, dei comportamenti e del profilo dell'utente. Non possiamo che essere d'accordo.

 

La questione è molto presente nel dibattito internazionale sulle linee guida che dovrebbero condurre ad una futura governance di internet meno anarco-liberista di quanto non sia ora.

 

Però c'è da dire che: proprio in quelle sedi internazionali, dove la società civile riesce a manifestare un minimo la propria visione, la definizione "utente" è in via di superamento, per diverse ragioni:

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a) perché "utente" si impasta e si intreccia con "prosumer", con "consumatore", con "cliente finale" e con "utente inserzionista" e ciò crea confusione;

 

b) perché "utente" presuppone che la Rete sia "un servizio agli utenti" e ciò contrasta con le più recenti visioni della net neutrality, per le quali la Rete è un'infrastruttura indispensabile alla Cittadinanza Digitale che, al dunque, è costituita da "persone".

 

Casaleggio afferma ancora: "In sostanza il rapporto tra consumatore e pubblicità non risiederà più nei siti editoriali, che ne perdono il controllo, ma negli inserzionisti digitali come Google o Facebook. Di fatto questo rovescia il rapporto economico attuale in quanto la tracciabilità dell'utenza e l'uso dei dati personali sarà alla base di ogni futuro processo pubblicitario. La pubblicità sarà prevalentemente digitale e la proprietà del cliente verrà trasferita ai big del web. Questo comporterà una riattribuzione, già in atto, dei ricavi dai vecchi operatori (gli editori) a nuovi operatori con un restringimento della filiera pubblicitaria."

google news google news

 

Anche qui ci sono da fare alcune considerazioni. Probabilmente Casaleggio allude alla readership che costituisce il parco lettori di una testata giornalistica e che viene "venduta" alle Agenzie, o direttamente agli inserzionisti, dalla concessionaria della testata. La concessionaria dell'editore (e qui crediamo che parli di editori online) ne perde il controllo che finisce nelle mani di soggetti quali Google e Facebook (i quali comunque, precisiamo: tutto sono meno che "inserzionisti digitali").

 

Allora: sì. È vero che le concessionarie e le sezioni marketing degli editori contano sempre meno, ma non è vero che la facoltà di vendita del parco lettori viene loro sottratta.

Ciò che viene sottratto agli editori è la capacità di negoziare il prezzo del loro parco lettori.

google news google news

E quindi, in progress, pagandoli sempre meno, gli inserzionisti costringono gli editori a chiudere.

 

Ma perché? Perché gli editori di giornali (e qui intendiamo tutti) non hanno capito il profondo valore della contrattazione del Costo Contatto e in dettaglio del Cost per Thousand, cioè il valore - negoziabile e non derivato - che l'inserzionista paga per raggiungere con il suo messaggio 1000 persone e che regola la compravendita di spazi in tutti i media (incluso il web).

 

Se gli editori sono l'offerta (di lettori/readership) e gli inserzionisti (non Google e Facebook) rappresentati dalle agenzie di pubblicità che comprano spazi, sono la domanda (di lettori/readership)... in un mercato vero ci dovrebbe essere contrattazione per fare il prezzo. Così invece non è!

 

IL FONDATORE DI GOOGLE SERGEY BRIN CON LA MOGLIE ANNE WOJCICKI IL FONDATORE DI GOOGLE SERGEY BRIN CON LA MOGLIE ANNE WOJCICKI

Il soggetto che genera l'offerta (gli editori) è frantumato, rissoso e ignorante e invece di fare il cartello degli editori off-line e online, tende la mano e si accontenta di un Cost per Thousand che viene deciso dalla domanda, cioè dai compratori di spazi.

 

In questo teatrino da accattoni, in cui si muovono gli editori privi di dignità, identità e capacità di marketing, si sono inseriti alla grande altri soggetti, quali Google e Facebook, che hanno assunto il ruolo di intermediatori e super concessionarie del Web perché "fanno il prezzo", offrendo quantità illimitate di spazi a basso costo agli inserzionisti.

 

Solo in alcuni tribunali nordeuropei la vicenda è stata affrontata (in parte) per ciò che è, ma poi, alla fine, impastata maldestramente insieme alla difesa dei diritti d'autore. È così che il dumping ai danni degli editori e anche dei prosumers e dei bloggers, si è sanato con un'elemosina (vedi caso francese).

 

Allora: in questa vasta e complessa scena, Casaleggio, che è magna pars nella difesa dei diritti dei cittadini digitali e dei (mi auguro) piccoli e medi editori digitali, perché non riflette meglio su come avviene la contrattazione sul Cost per Thousand?

 

HUGO BARRA HUGO BARRA

Ci sembra infatti che dia per scontato che questo sia un valore da misurare "a monte" della compravendita e delle pratiche di inserimento pubblicitario tra soggetti Over the Top.

 

Invece il Cost per Thousand è un valore da fissare "a valle", cioè prima della compravendita, in quanto rappresenta la capacità potenziale di acquisto di 1000 componenti del parco lettori. Al dunque la pubblicità è soprattutto compravendita di "persone", non solo di spazi promozionali. Ricordiamolo.

 

Casaleggio menziona poi la torta pubblicitaria. Bene! La sua consistenza - che attualmente dipende dagli interessi del Consiglio di Amministrazione della IAA - International Advertising Agency di Madison Avenue - NON DEVE ESSERE quella offerta agli editori; ma DEVE ESSERE quella negoziata e richiesta dal cartello degli editori per la loro dignitosa sopravvivenza. Così fa il cartello dei grandi tv broadcasters statunitensi. Se ne frega dei budget offerti e CHIEDE e OTTIENE annualmente ciò che serve a loro per vivere. Cioè sono i media che devono fare e difendere il prezzo della loro audience, non gli intermediari.

 

IL FONDATORE DI GOOGLE SERGEY BRIN CON LA MOGLIE ANNE WOJCICKI IL FONDATORE DI GOOGLE SERGEY BRIN CON LA MOGLIE ANNE WOJCICKI

Per capirci: gli inserzionisti consegnano alle Agenzie di Pubblicità circa 3 trilioni di dollari l'anno. Il 60% di queste risorse viene dato ai media dei BRICS e dei Paesi Emergenti perché sono considerati mercati in crescita. Il rimanente 40% viene dato ai media dei paesi del vecchio Occidente allargato. Ma nel 2009 era il contrario e l'inversione venne decisa in un Cda dell'IAA. Ciò dà un'idea dello strapotere degli Inserzionisti Pubblicitari sui media tutti e dimostra come la crisi dei media sia solo imputabile a decisioni non contrastabili per assenza di facoltà di negoziazione.

 

In difetto di contrattazione però, un soggetto come Casaleggio e per estensione (mi auguro) il Movimento 5 Stelle, dovrebbe lanciare parole d'ordine al morente mondo degli editori per incitarli a negoziare al meglio ciò che hanno (i loro lettori) e per convincerli a non accontentarsi della semplice raccolta di ciò che viene loro offerto, e in continuazione rattrappito, dalle aziende inserzioniste .

 

SERGEY BRIN DI GOOGLE E LA MOGLIE ANNE WOJCICKI SERGEY BRIN DI GOOGLE E LA MOGLIE ANNE WOJCICKI

Casaleggio poi se la prende con Google. Benissimo!

Recentemente abbiamo tentato di spiegare che Google e Facebook e gli altri soggetti simili, non sono alla sommità della piramide, ma lavorano, a loro volta, per qualcun altro. Per CHI?

Ma è ovvio: per gli inserzionisti, per le corporations che poi pagano le campagne politiche dei futuri leader (e anche per i servizi segreti nel caso di cessione di Big Data).

 

Allora? Se i giornali muoiono è perché gli inserzionisti non pagano un equo prezzo per fare la pubblicità delle loro merci e servizi. Ma chi deve contrattare il prezzo? È ovvio: i produttori di contenuti (contents) in grado di ospitare inserzioni, cioè gli editori di giornali on line tutti, i bloggers e i prosumers.

 

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Il Movimento 5 Stelle dovrebbe lanciare un appello a tutti questi soggetti per costruire una syndication - auspicabilmente su scala europea-  che assuma il ruolo di soggetto collettivo in grado di negoziare autorevolmente il prezzo della pubblicità sui territori sia fisici che digitali.

 

Se non piace la definizione "syndication" si può parlare di ConfEditori on line, di Content Providers Association, o altro.

 

Attenti!... Berlusconi, De Benedetti e Rizzoli-Corsera recentemente hanno annunciato la nascita di una superconcessionaria del Web italiano. Ciò vuol dire che il prezzo della pubblicità sul territorio (web) italiano lo faranno loro, solo loro e nient'altro che loro.

 

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Signor Casaleggio, la vicenda è passata nel silenzio dell'opposizione. Come mai? Se il gettito di risorse pubblicitarie nel web, che dovrebbe remunerare il lavoro svolto in Rete dalla cittadinanza digitale, viene deciso senza alcun dibattito, l'opposizione ancorata al mondo digitale  che ci sta a fare?

 

Per concludere : Google, è vero, è un bel puzzone ma approfitta dell'ignoranza e dell'ignavia dei politici e dei content providers e della loro frantumazione. Non è (solo) Google il carnefice dei "giornali". Il mandante è sempre e solo il Cartello delle Corporations/Inserzionisti, gli utenti pubblicitari associati globalizzati, lo stesso del resto con il quale Beppe Grillo mirabilmente se la prendeva tanti anni fa quando accendeva i riflettori su Giulio Malgara, a quel tempo presidente dell'UPA e in quanto tale grande finanziatore di Berlusconi e Dell'Utri. Quell'intuizione era quella giusta, talmente giusta che gli costò il rapporto con la TV.

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Rilanciamo quel dibattito, signor Casaleggio, magari anche a costo di perdere qualche inserzionista, tanto la stragrande maggioranza di loro persegue un modello di sviluppo che non è quello del suo Movimento.

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