NON SONO SOLO CANZONETTE – A OTTOBRE NUOVO ALBUM PER EDOARDO BENNATO, CHE A 69 ANNI HA LA GRINTA DI SEMPRE – LAVORA ANCORA CON GLI STESSI AMICI DEL CONDOMINIO DI BAGNOLI DOV’È CRESCIUTO ED È SEMPRE RIBELLE UGUALE – “MI STA A CUORE IL QUI E ORA. È UN MONDO AVARIATO E SCHIZOFRENICO”
Guido Andruetto per “la Repubblica”
francesco mondadori,milly moratti ed edoardo bennato
Lo guardi mentre cammina e ti viene in mente pinocchio tra i due gendarmi. Passo lento da malandrino, fisico snodabile come quello di un burattino di legno, a sessantanove anni compiuti tre giorni fa, gli occhi di Edoardo Bennato parlano ancora la lingua dei briganti, il gergo dei ragazzi di strada. A più di mille chilometri da casa, ci accoglie con un bel sorriso nel camerino della Volkshaus di Zurigo, dove sta per suonare di fronte a un pubblico calorosissimo di italiani.
Bennato sorseggia un tè caldo al limone che gli ha portato la piccola Gaia, sua figlia. Occhiali scuri, jeans slavati e felpa con la scritta Texas Explorers, il menestrello-rocker poggia il cucchiaino sul tavolo e fa una strana smorfia quando gli domando dei suoi esordi. Non gli fa sempre piacere tornare indietro nel tempo. Si agita sulla seggiola di plastica ma poi inizia a raccontare. «Mi avevano eletto a rappresentante dell’insoddisfazione giovanile in Italia — dice versandosi del succo d’arancia — quando dopo nove anni di gavetta nel ‘73 uscì il mio primo album, Non farti cadere le braccia , il direttore della Ricordi mi chiamò per dirmi che i responsabili Rai giudicavano la mia voce sgradevole, sgraziata, e non volevano mandare in onda le mie canzoni, che poi diventarono successi, come Un giorno credi e Una settimana un giorno.
Senza passaggi sulle radio e in tv, i dischi come potevamo venderli? Mi consigliarono perfino di tornare a fare l’architetto, perché io a Milano ero venuto in principio per studiare all’università. Allora ebbi un’idea: mi piazzai per strada a Roma, davanti alla Rai, con il mio tamburello a pedale che avevo costruito a Londra, e mi misi a suonare brani nuovi come Ma che bella la città e Salviamo il salvabile . Fu così che mi notarono
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA EDOARDO BENNATO
i giornalisti di Ciao 2001 , che allora era la bibbia dei ragazzi. Da quel giorno non ero più un signor nessuno, ma il cantante della rabbia giovanile».
Figlio di Carlo Bennato, impiegato all’Italsider, e di Adele Zito, casalinga, che lo fece avvicinare alla musica, il ragazzino affascinato dai juke-box e dal rock’n’roll, come pure lo furono i suoi fratelli Eugenio e Giorgio (entrambi musicisti), è diventato grande e famoso senza abbandonare Bagnoli e gli amici storici. «Sono cresciuto in un cortile di Bagnoli con altri ragazzi della mia età. Nel palazzo dove abitavo sotto di noi c’era la famiglia Foglia e Aldo è diventato il mio manager. Nella scala E viveva Giorgio Darmarin, che è il mio tecnico del suono. Franco De Lucia, quello con i capelli bianchi che è passato prima in corridoio, stava nella scala F. Mi accompagnavano loro in tour quando suonavo da solo.
Avevamo il nostro impianto, scaricavamo il furgone. Sempre insieme». Neanche la contestazione violenta da parte delle frange più estreme della sinistra extraparlamentare verso i “padroni della musica”, esplosa nel ’76 con l’assalto al Palalido di Milano dove si esibiva De Gregori, riuscì a fermare l’avventura . «Nel ‘77 avevo battuto i record di vendite di dischi in Italia, ma più che un divo mi sentivo un auti-sta, un carpentiere. Guidavo il furgoncino e nel cruscotto tenevo sempre una scatola di chiodi da dieci.
Una sera cantai al Palasport di Pesaro. Dopo quello che era successo a De Gregori, il mixer non lo mettevamo più di fronte al palco, ma dietro, per protezione. Di polizia neanche l’ombra. Io ero sul palco con tamburo a pedale, armonica, chitarra, kazoo, occhiali neri. Faccio i primi pezzi, e a un certo punto vedo che sfondano. Penso fossero di Avanguardia Operaia, non mi ricordo, ma erano figli di papà, un gruppo di Bologna, con il volto travisato da un fazzoletto. Urlano “Bennato, Bennato, il sistema ti ha comprato”. Eh? A me? Allora ribatto a tempo e tutto il Palasport canta con me Ma chi è? . Li tenevo a bada».
Invece la situazione degenera. «Dovemmo spegnere le luci del palazzetto, poi scoppiò una rissa. Vedo mio fratello Giorgio, Massimo, quello che stasera si occupa dei video, Aldo Foglia, che vanno verso di loro e parte una scazzottata. Saltai anch’io giù dal palco, spiazzando tutti. Più tardi in camerino venne a salutarmi il sassofonista Bob Fix, parlava mezzo americano e mezzo italiano. Mi dice “Eduardo, bellissimo, pareva un match di pugilato”. Il rock e la boxe insieme, il massimo secondo lui. Noi comunque non potevamo accettare quelle provocazioni da parte di pochi estremisti esagitati, io facevo musica con coerenza e in totale buona fede».
Primo artista italiano a riempire lo stadio di San Siro — proprio 35 anni fa, nel luglio del 1980 (con più di sessantamila spettatori) — Bennato non si è mai sentito allineato al sistema. «Anche adesso, sono uno che dà fastidio, creo problemi, sono antipatico, eversivo. Quando nel ‘77 supero il record di vendite di Battisti con Burattino senza fili , non mi danno la copertina di Tv Sorrisi e Canzoni , nemmeno quando faccio quattordici stadi di seguito. Me l’hanno data dopo, con Gianna Nannini, ma lì era inevitabile. Voglio dire che io faccio solo musica, il mio obiettivo è fare canzoni. Adesso ne ho venti nuove per un album che si intitolerà Pronti a salpare . Di tutta la mia discografia, è quello verso cui nutro più affetto, lo giuro».
CHE TRIO LITTLE TONY PUPO EDOARDO BENNATO
Uscirà a ottobre per la Universal, anticipato da un singolo ai primi di settembre. E segnerà il ritorno cinque anni dopo Le vie del rock sono infinite . «Il passato mi interessa relativamente, mi sta a cuore il qui ed ora. È quello che mi commuove, che mi esalta, che mi ispira. Solo che oggi non è bello quel che è bello, ma è bello quello che viene fatto ascoltare e promosso dai media ». Bennato si fa serio. Appoggia la giacca col cappuccio che teneva sulle ginocchia.
Poi sospira: «Fino a tre anni fa era difficile che le radio trasmettessero un pezzo di Dalla. Si trovava proprio qui in Svizzera quando è mancato. Allora si è saputo che Lucio stava facendo una tournée e qualche radio ha ricominciato a mandare in onda le sue canzoni. La verità è che da vivo non vali niente, mentre da morto vali di più. Stessa cosa dicasi per Pino Daniele, per Mango e per tanti altri».
A Daniele, Bennato era molto legato. «Ci sentivamo spesso. Il suo mondo era in se stesso e nelle canzoni che scriveva, ma il suo disagio era legato al fatto che le radio non le programmavano. Nel 2013 è stato quasi tutta l’estate chiuso in studio con suo figlio, a Roma, per incidere il nuovo album.
La gente era autorizzata a pensare che non avesse più creatività perché non lo sentiva più alla radio. Ci sono alcuni network che sono cupe società per azioni gestite da… però questo non lo posso dire, perché già sono inguaiato, siamo in un clima da inquisizione. Oggi dominano i protagonisti dei talent, che durano magari due anni e avanti altri». Bennato parla di «un mondo avariato e schizofrenico», ma il riferimento non è solo alla musica. «Questo è il mondo di oggi» dice impugnando carta e penna. E lo disegna su un foglio bianco. I poli, l’America, l’Europa, l’equatore, i tropici, il sud della terra, tutti i continenti.
La sua ossessione in questo periodo sono le mappe, le disegna in continuazione, «per capire dove stiamo andando ». Ne ha realizzate alcune in grande formato anche per una specie di lezione di geopolitica e antropologia che ha tenuto alla Fondazione E. di Mirafiore a Fontanafredda. «I parametri geografici sono essenziali per comprendere perché in alcune parti del mondo si vive in maniera diversa rispetto ad altre aree. L’evoluzione degli esseri umani è avvenuta in relazione allo spostamento latitudinale. Il tempo e il percorso latitudinale della civiltà hanno diviso i popoli. Da una parte c’è la famiglia umana adulta o evoluta e dall’altra quella bambina che è rimasta indietro».