UN OSCAR TRA LE STELLE – MC CONAUGHEY: “INTERSTELLAR? UN TRIP MENTALE PAZZESCO. NON AMO LA FANTASCIENZA IN SÉ MA QUESTO FILM MI HA COSTRETTO A STUDIARE TEORIE MOLTE COMPLESSE” – IL FINALE DI “TRUE DETECTIVE”
Silvia Bizio per “la Repubblica”
MATTHEW McConaughey entra con discrezione nella suite dell’hotel Four Seasons di Beverly Hills per parlare del kolossal fanta-futurista Interstellar di Christopher Nolan. Saluta tutti con la tipica bonomia texana. Ripete tre volte “allright”, lo slogan che si porta dietro da La vita è un sogno di Linklater. È di nuovo in gran forma, l’attore, 45 anni il 4 novembre, dopo la celebre cura dimagrante per Dallas buyer club (che l’ha premiato con un Oscar) e la miniserie True detective.
In Interstellar è un astronauta che si avventura nello spazio — insieme a tre colleghi, tra cui Anne Hathaway — alla ricerca di un pianeta abitabile in altre galassie. L’ambiente sulla terra è sconvolto: qualcuno deve compiere il sacrificio di un viaggio forse senza ritorno. Ma l’astronauta lascia due figli amatissimi: riuscirà a rivederli?
Il film, complesso anche sotto il profilo degli effetti speciali, riprende il discorso di 2-001 Odissea nello spazio ( la possibilità di muoversi a velocità superiore a quella della luce, i buchi neri e soprattutto la possibilità teorica dei «wormhole», i tunnel spaziali mito dell’astrofisica) e coinvolge lo spettatore a livello emotivo. Un impatto visivo e drammatico di grande spessore. Con varie svolte e sorprese per lo spettatore, fra cui l’inattesa — e non annunciata — apparizione di Matt Damon in un piccolo ma significativo ruolo.
McConaughey è sposato da sette anni con la bellissima ex modella brasialiana Camila Alves, da cui ha avuto tre figli in rapida sequenza. Vivono ad Austin, in Texas. Ha da poco finito di girare Sea of trees per la regia di Gus Van Sant accanto a Ken Watanabe, un’esplorazione del tema del suicidio.
Matthew, nel ’97 ha recitato in Contact un film che può essere paragonato a Interstellar. Era tratto da un libro dell’astrofisico Carl Sagan come questo s’ispira alle teorie di Kip Thorne. Le interessa questo genere di fiction?
«Non la fantascienza in sé. Ma di certo Contact, come Interstellar, mi ha aperto la mente. E comunque questa è la prima volta che “vado nello spazio”: in Contact ero solo il consulente spirituale dell’astronauta Jodie Foster. Non sono mai stato un lettore di fantascienza, Asimov, Philip K.Dick o che so io.
Sto coi piedi per terra, la mia mente ha sempre bisogno di qualcosa di tangibile. Eppure questi due film mi hanno costretto a studiare e a cercare di comprendere teorie di grande complessità. Pensi a galassie distanti, a come raggiungerle, pensi a come potrebbe essere un condotto spazio-temporale e inizi a esaminare queste cose come possibilità pratiche. Un trip mentale pazzesco. Anche se io, quando penso all’esplorazione di mondi a noi ancora sconosciuti, tendo a pensare alle profondità oceaniche, più che a lassù».
Il padre del film sa che mentre lui viaggia nello spazio, i suoi laggiù invecchiano...
«Sono state le scene più difficili: quando dall’astronave arrivano i messaggi filmati dei figli, e lui li vede crescere, adulti e con figli, mentre per lui sono passati solo due anni. La parte più delicata del film era quella: la cinepresa di Christopher sul mio volto, sulle emozioni e la commozione irreffrenabile di un padre che non si capacita ancora che forse non rivedrà mai più i suoi figli».
Avrebbe potuto recitare questo ruolo prima di diventare padre?
«Me lo chiedo anch’io. Penso che avrei potuto farlo, ma affidandomi all’immaginazione. Oggi da padre, anche se non ho mai dovuto affrontare dilemmi come quelli che affronta il mio personaggio, capisco cosa vuol dire allontanarsi dai figli: per il primo giorno di scuola, perché parti per lavoro per un mese o per un weekend».
matt damon alle nozze di clooney
Cosa le mancherebbe di più nello spazio?
«I suoni della terra, i rumori, e soprattutto la brezza, il vento sulla faccia. So come muovermi quaggiù, eppure provo ancora un senso di meraviglia ogni volta che intraprendo un nuovo tragitto. C’è ancora tanto da scoprire in questo mondo...».
Pensa mai alla possibilità di una catastrofe ambientale, come ipotizza il film nella sua premessa?
«No, se penso al genere umano sono ottimista. Siamo stati bravi a riconoscere che esistono problemi e che dobbiamo saperli affrontare. Certe cose ancora non sappiamo come ripararle, ma già il fatto di averle riconosciute mi riempie di speranza per il nostro futuro. Il pianeta se la caverà, tranquilli. Magari siamo noi come individui che dovremmo pensare di più alla nostra salute, fisica e mentale».
True detective ha avuto un grande successo. Come lo spiega?
«Non ne avevo dubbio. La qualità della scrittura è straordinaria, nella miglior tradizione del giallo americano. È stato un lavoro intenso e interessante. Un copione da 450 pagine, quattro mesi di lavoro, epoche diverse, avanti e indietro nel tempo, dovevo recitare il giovane pulito e il vecchio imbastardito, cinico, quasi un homeless .
true detective woody harrelson e matthew mcconaughey
Ho rivisto gli otto episodi la domenica sera su HBO, come qualsiasi spettatore. Che bomba! Meglio ancora di quanto mi ricordassi girandolo. Un classico della letteratura “hard-boiled” mescolato a un saggio di filosofia. E poi recitare accanto al mio grande amico Woody Harrelson è stato bellissimo. Cerchiamo sempre cose da fare assieme, tv o cinema non fa differenza. Anzi, questa è l’epoca d’oro della televisione: oggi si realizzano cose originali, uniche e rischiose come faceva il cinema negli anni 70».
true detective matthew mcconaughey
Perché ha deciso di non essere nella seconda stagione?
«Perché True detective 2 racconterà un’altra storia con altri personaggi. Colin Farrell e Vince Vaughn sono una bellissima coppia e un’ottima scelta di casting».
Cosa succede a Rustin Cohle alla fine della prima stagione, quando scappa dall’ospedale?
(Ride) «Ne abbiamo parlato a lungo con Nic (Pizzolatto, il creatore/sceneggiatore, ndr). Rust vive un’esperienza catartica: guarda in faccia la morte, e grazie a questo riesce finalmente a vedere la luce alla fine del suo personale tunnel. Non volevamo scadere nel sentimentalismo, però diamo un indizio: forse Rust riuscirà a mettere da parte il suo tremendo nichilismo. Voglio pensare che si rappacifichi, almeno un po’, col genere umano. In fondo se l’è meritato».