Dal libro di Pino Corrias, "NOSTRA INCANTEVOLE ITALIA", oggi in libreria, ed. Chiarelettere
Luci a Sanremo, dove si coltivano i sogni, le rose e i cantanti
(...) Tutti ipnotizzati dal palcoscenico dell’Ariston che fa tremare le gambe anche ai veterani, ma che dona la più vertiginosa delle celebrità, quella perpetua della Storia. O almeno delle teche. Generando una febbre che si propaga come uno stordimento.
E colpisce persone impensabili, come una volta mi raccontò Piero Celli, ex direttore generale della Rai, che per tre anni maneggiò Sanremo: “Era dicembre. Una sera mi chiama Franco Tatò, mio amico dai tempi della Olivetti, manager di alto profilo, serissimo, talvolta gelido, all’epoca capo dell’Enel, e mi dice che deve vedermi al più presto possibile, ma non in ufficio da lui e nemmeno da me, ma riservatamente a casa sua.
“Vado da lui arrovellandomi. Tatò è una delle figure chiave del capitalismo italiano e delle privatizzazioni. Ha diretto grandi aziende in Germania. E’ stato chiamato dalle banche a salvare i conti della Fininvest quando Berlusconi era sommerso di debiti. È un tizio che parla tutti i giorni con i ministri e che quando passa nei corridoi i dipendenti tremano. E insomma se mi chiama così all’improvviso, deve essere successo qualcosa di grave a me, alla Rai, all’Italia. Così mi avvio preparandomi al peggio.
“Quando arrivo mi viene incontro sua moglie, Sonia Raule, bellissima come sempre, ex modella quarantenne, amica di artisti e poeti, curatrice di mostre, una carriera in crescendo. Baci sorrisi, la tavola preparata per tre, ci accomodiamo. E quando il maggiordomo versa la minestra, il padrone di casa lo allontana con un gesto: ci lasci soli, grazie.
“Eccoci al punto, mi dice Tatò nel silenzio della sala. Aspetto. Lui sospira: caro Piero, ecco io vorrei, cioè lei vorrebbe, insomma noi due vorremo che Sonia presentasse il Festival. Silenzio. Deglutisco. Chiedo: quale Festival? Oh bella, dice lui, il Festival di Sanremo. Chiedo: ma chi? Lei! Mi dice Tatò. Io! Mi dice Sonia.
Espiro e tossisco. Cerco di trattenermi, ma mi viene da ridere: tutto questo mistero, la cena, i silenzi, io che pensavo a chissà quale catastrofe. Mi riprendo, le chiedo: vuoi fare la valletta, non ci credo.
“Sì, cioè no, non la valletta, la conduttrice con un presentatore di fianco. Oh, santo cielo, ma le conduttrici accanto al presentatore sono delle ragazzette, provo a dirle. Cioè sono molto giovani, magari attrici, soubrette dello spettacolo, a te cosa importa? Lei gelida: sarei capace, sono brava.
Pino corrias- nostra incantevole italia copertina
“Tatò mi guarda, forse è più imbarazzato di me, ma non può tirarsi indietro, la spalleggia: Sonia ha ragione, sarebbe brava. Silenzio. Sto pensando a come uscirne. Ma so che il modo migliore è tagliare corto. E siccome mi sembra ridicolo spiegarne le ragioni, dico che non si può e basta. Poi, tra me, maledico Sanremo che sta mandando a monte un’amicizia”.
In realtà: benedetto Sanremo. E la sua beata inconsistenza.
Cerimonia unica in Italia, in Europa, nel mondo. Celebrata nella sola cattedrale comune, quella televisiva, dove in quei cinque giorni si fa proprio il contrario della raccolta differenziata nazionale. Perché lì dentro ci finisce di tutto: musica, parole, vanità.
E quel tutto, a ripensarlo, è anno dopo anno lo spirito del tempo. Che fuggevolmente, si deposita. Diventa uno strato di memoria. Un campionario di oggetti smarriti, non solo canzonette, che ci aiuteranno a regolare gli orologi. A dirci che è l’ora del sortilegio, quando tutto il presente di un anno intero torna sul palco, si inchina, canta. Poi passa.
FRANCO TATO E SONIA RAULE SONIA RAULE E FRANCO TATO - Copyright Pizzi FRANCO TATO E SONIA RAULE - Copyright Pizzi