Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera”
Tutto è iniziato con un biglietto di terza classe per Roma. Pippo Baudo aveva 22 anni e credeva che il suo sarebbe stato un viaggio “andata e ritorno”. Aveva aspettato tanto prima di sedersi su quel treno: «Facevo teatro da quando avevo 6 anni ma mio padre era contrario a questa attività: essendo avvocato, voleva che continuassi la sua opera. Così avevo stabilito con lui un accordo: io mi laureo con il massimo dei voti in Giurisprudenza, poi però mi consenti di tentare la strada dello spettacolo».
Quel giorno, in stazione, i suoi genitori piangevano «ma io ero convinto che sarei tornato presto: a Roma non conoscevo nessuno. Sono andato davanti ai cancelli della Rai da mendicante». Il primo provino, una settimana dopo. Alla domanda «per quale categoria? Ho risposto: tutte. Presentatore, cantante, pianista e imitatore».
Promosso. «Ma avevano scritto che ero adatto a spettacoli minori. Il primo però è capitato pochi giorni dopo. Quando ho comunicato ai miei che sarei apparso in tv è stata festa nazionale: hanno chiamato tutti i parenti, anche quelli lontanissimi. Avevo toccato il cielo con un dito».
UN PUGILE SUL RING
Ecco perché Pippo Baudo ama così la televisione: «Per me è la vita: la faccio da 54 anni. Quando si accende la telecamera dimentico tutto. Sono un pugile nel suo ring». Andare in video è «una vitamina, un tenermi in vita». E per questo fa male esserci meno di un tempo: «Solo la riconoscenza del pubblico mi allevia dai dispiaceri. Questa quarta parte della mia carriera è stata trascurata dalla Rai. Non me lo spiego.
Se fossi reduce da profondi insuccessi capirei... semplicemente chi è nelle leve di comando non vuole che io ci sia. E’ un’ingiustizia». Ma nonostante lo sconforto, Baudo non vuole «sfogliare l’album dei ricordi. Sono proiettato sul domani. Non c’è cosa più malinconica che pensare alle emozioni passate. Domani è un altro giorno, come dice il film».
Una regola che fa valere anche in amore: «Ho avuto pochi rapporti. Non sono stato uno sciupa femmine ma le donne con cui mi sono accompagnato hanno lasciato segni notevoli. Amo profondamente e quando il rapporto finisce mi lascia sempre una cicatrice. Ma non sono di quelli che restano amici: no, non mi piace, lo trovo sentimentaloide, triste e malinconico».
mariapaola trovajoli e pippo baudo
Come mai allora, nell’immaginario, la storia con Katia Ricciarelli è ancora così “vicina”? «Perché è durata 18 anni. E poi è lei che la rende viva: per me il rapporto è completamente chiuso, lei invece ne parla sempre, mi rivolge appelli, qualche volta per attaccarmi, qualche volta per avvicinarsi. Io ritengo che quando una porta è chiusa - e si è chiusa per motivi seri profondi -, è chiusa».
LA MIA SECONDA MADRE
L’unica concessione al passato c’è «quando penso ai miei genitori. Mi capita sempre più spesso: prima di dormire penso a mio padre, a mia madre e a mia zia Rosa, a cui ho dedicato la canzone. Per me è stata una seconda mamma».
Baudo invece ha avuto due figli: «Tiziana, che adesso ha 45 anni. E poi, dieci anni fa, ho riconosciuto un figlio, Alessandro, nato fuori dal letto ufficiale. Ho dovuto fare un esame del dna. Oggi ci sentiamo, ci vediamo. Ma è stato un trauma per me: incontrare un figlio quando ha già 40 anni e abbracciarlo alla fine del riconoscimento, davanti all’ufficiale dell’anagrafe, è stata una botta dal punto di vista psicologico molto forte. Ora c’è un rapporto sereno, anche tra fratelli, ma al momento è stato traumatizzante».
Ne parla, convinto che «un personaggio pubblico appartenga a tutti». E Baudo, pubblico lo è senza dubbio. Quando cammina per strada non c’è passante che non lo riconosca: «Una fortuna che dipende anche dal mio fisico: i presentatori devono avere alcuni tratti antropologici particolari».
Sanremo? «Non ci penso più. L’ho fatto 13 volte: è giusto che ora tocchi ad altri. La mia maturità mi porta a pensare a spettacoli che sconfinano nel giornalistico, non sono più rivolto al varietà». Questo nonostante il suo amore per i musical: «Una fissazione. Faccio spedizioni in America o a Londra solo per questi spettacoli: ne vedo anche tre al giorno».
Un’altra passione è scoprire talenti: «Ho un forte spirito scoutistico. Però consiglio a chi è come me di non aspettarsi riconoscenza: se c’è è una gradevole sorpresa. Ma nella media non c’è».
Tra i momenti più difficili, ricorda «quando sono passato a Mediaset perché Berlusconi mi aveva proposto di fare il direttore artistico delle sue reti. Ma mi osteggiavano tutti. Così, per andarmene, ho pagato una penale: avevo un palazzo bellissimo, all’Aventino, adesso c’è la Medusa. Era il frutto dei miei risparmi e dopo averlo venduto sono rimasto senza una lira. Per un anno sono stato fermo, in attesa che la Rai mi chiamasse. Un anno di esilio aspettando che il telefono squillasse: non cambiavo stanza senza portarlo con me». In quei mesi aveva pensato «di tornare a casa e mettermi a fare l’avvocato o cercare un ruolo da funzionario».
QUELLO CHE NON RIFAREI
Altre cose che non rifarebbe? «Quando durante “Fantastico” attaccai Manca (allora presidente della Rai) ebbi un momento di esaltazione. Non lo rifarei più, anche perché mi ha creato tanti di quei guai... Poi non rifarei alcune scelte sentimentali e lavorative ma sono incidenti di percorso che in un’esistenza lunga è fatale che accadano. Sarebbe facile se la vita fosse un rettilineo, ma invece ci sono curve, tornanti, montagne da scalare, discese... la vita è come il Giro d’Italia, non si vince in pianura».