Malcom Pagani per GQ Italia
Un po’ Jessica Rabbit e un po’ Solvi Stubing in uno spot dei tempi andati («Chiamami Peroni, sarò la tua birra»), la bionda Diletta Leotta da Catania − 25 anni appena compiuti − vive in un film e non si ubriaca. Da quando Sky le ha affidato la conduzione di un programma sulla Serie B, l’Italia del pallone l’ha eletta a sogno proibito. Apprezzamenti, proposte di matrimonio, gruppi di sostegno in rete. Cori e rime quasi baciate sugli striscioni allo stadio: “Cholo-Messi, serata perfetta? ’Sti cazzi, vogliamo Diletta”. Esortazioni in foggiano stretto: “Dile’ aspitt, mo vnim” (Diletta, aspetta, stiamo arrivando). Aspirazioni collettive: “Sognando Diletta”.
«Sì, li ho letti durante la scorsa stagione», dice lei. «Quando ne ho visto uno perfino in Francia, agli Europei, mi ha fatto un certo effetto. “Meno Thiago Motta, più Diletta Leotta” c’era scritto, e non posso dire che non mi abbia divertita».
Più che la divisa da fenomeno pop del video, lei preferisce indossare quella da pompiere: «È vero, nell’ultimo anno qualcosa è cambiato e mi sono accadute molte cose positive. Avverto un entusiasmo e un riscontro reali. Qualcuno mi ama, altri mi apprezzano, altri ancora mi odiano. Non resto indifferente comunque, arrivo alla gente». Anche se camminare per strada è diventato difficile, Leotta non si ferma: «Sono in marcia e lavoro da quando ho 14 anni».
E cosa faceva a 14 anni?
Ero veramente piccola e facevo interviste in spiaggia. Avevo una domanda del giorno da porre ai bagnanti. Da qualche parte i filmati devono esserci ancora.
Ha sempre voluto fare tv?
È nato tutto per caso, quando ero bambina ad Aci Trezza alla tv sicuramente non pensavo. D’estate vendevo braccialetti sui muretti, facevo lunghe nuotate e festeggiavo compleanni in solitudine. Quando cerchi gli amici per brindare il 16 di agosto sai già cosa devi aspettarti.
Prima di Sky, si è sottoposta a una lunga gavetta.
Ho provato un po’ di tutto. La prima buona opportunità me la diede Salvo La Rosa, un mito catanese che conduceva uno dei programmi più longevi della tv italiana. Si intitolava Insieme e non era molto diverso dal Maurizio Costanzo Show.
Oggi le opportunità non le mancano. I paragoni tra lei e Ilaria D’Amico si fanno insistenti, Sky promette di puntare su di lei: cosa farà da grande?
Non ne ho idea. Per ora sto benissimo così, il calcio e lo sport mi appassionano molto e non mi sento in periferia. La Serie B è una sintesi dell’Italia, del campanile e delle rivalità tra province. Tra Brocchi, Gattuso e Panucci, ci divertiremo anche quest’anno.
I tifosi sembrano divertirsi soltanto quando appare lei. Non teme di essere diventat un’attrazione soprattutto per la sua bellezza?
Non credo si tratti soltanto di quello. Se fosse così, l’effetto sarebbe diverso. Penso che oltre alla bellezza arrivi qualcosa di più.
Lei si sente bella?
Credo di essere una ragazza piacevole.
Non c’è un suo scatto sui social che non sia seguito da migliaia di commenti. Pubblicare una foto in costume è una forma di esibizionismo?
Non mi pare. Più che esibizionismo, mi sembra voglia di comunicare con gli altri. Mostro momenti più intimi e personali, meno ufficiali, creo un rapporto con chi mi segue.
E risponde anche?
Non a tutti, chiaramente, ma qualche volta rispondo, perché interagire mi piace. Se ci sono persone molto carine che ti manifestano affetto, perché chiudersi? È un modo di essere vicini al pubblico.
Non si sente mai un bell’oggetto del desiderio?
Mai. Sono sempre io. Diletta Leotta, la ragazza di Catania che ha iniziato a lavorare presto.
In che famiglia è cresciuta?
In un allegro casino, una famiglia allargata. Mio padre e mia madre erano sposati. Lui aveva una figlia, lei tre figli. Si sono incontrati, innamorati e sono nata io. Che mi ritrovo con quattro fratelli. Una tribù.
Andate d’accordo tra di voi?
Ci amiamo. I miei sono stati intelligenti e hanno favorito un rapporto bellissimo, senza diaspore, litigi o incomprensioni, tentando un’impresa che nella Sicilia di trent’anni fa non era semplicissima. Abbiamo una famiglia enorme e si respira un’armonia totale. Siamo sempre stati molto vicini, a volte anche troppo.
Genitori presenti?
Grandi organizzatori di viaggi. Mi ricordo certe comitive da trenta persone all’assalto della montagna. Trenta siciliani in rotta verso Corvara. Cose apocalittiche.
Suo padre è avvocato.
Se fossi rimasta a Catania, avrei fatto il suo mestiere. Papà voleva che mi laureassi a ogni costo. «Scegli, puoi studiare Medicina, Ingegneria o Giurisprudenza». Io sognavo una facoltà artistica: «Scordatelo», disse. Così scelsi Giurisprudenza.
Studentessa modello?
Credo di aver preso, se l’ho preso, un solo trenta e lode. Per il resto andò meglio di quanto non fosse andata allo Scientifico. L’idea di essere in classe alle 8 e 30 pronta per un’interrogazione di latino mi ha sempre messo un po’ di angoscia.
Tema della sua tesi?
Il contratto del calciatore professionista. Uno stratagemma che si rivelò decisivo. Io non parlai mai, la commissione invece impazzì. Il calcio è trasversale. Accende discussioni in qualunque ambiente.
Prima di raccontare l’epopea del Crotone, lei leggeva le previsioni del tempo.
Agli inizi di Sky, quando con un contratto di tre mesi mi trasferii a Roma. Rispetto al caos di Catania, soprattutto quando cucinavo e mi trovavo in casa da sola sentivo il rumore assordante del silenzio.
Molto letterario.
È stato letterario anche l’esordio. Avevo studiato previsioni e carte sinottiche e alla prima diretta mi cambiarono tutto il copione. Uscii dallo studio che mi tremavano le gambe: «Ma veramente devo fare questa cosa?».
Quel contratto di tre mesi oggi è senza data.
L’inizio è stato un esame continuo. Oggi mi sento più tranquilla. Le occasioni che mi sono capitate e mi sembravano da cogliere al volo le ho sfruttate. Non ho mai detto: «No, questo non lo faccio».
Non cucina più da sola.
Qualcuno in precedenza devo averlo avvelenato, adesso intorno ho un cordone sanitario.
Ha recitato nel film I baci mai dati per Roberta Torre. Avrebbe potuto fare l’attrice?
Ho anche frequentato un corso di recitazione a Roma. Tutto troppo introspettivo per i miei gusti: va bene che conoscersi è necessario, ma io sono concreta e dal teatro fuggii a gambe levate. Non vorrei apparire superficiale, ma andò proprio così.
E ha rimpianti?
Ma scherza? Un’attriciona non sarei mai diventata.
Con gli uomini è più difficile fare amicizia?
Al limite è più facile. Sono le amicizie, soprattutto quelle durature, a essere complicate.
Si arrabbia e litiga?
Ogni tanto. Sono gli unici momenti in cui torno a parlare siciliano. Tutte le ore spese ad affinare la dizione spariscono.
E cosa resta?
Una ragazza di 25 anni molto fortunata.