Marco Dolcetta per ‘Il Fatto Quotidiano’
In questo momento difficile della Rai, in cui si prospetta l’imminente sciopero, conseguenza anche della richiesta del primo ministro di devolvere 150 milioni di euro alle casse dello Stato, stornandole da viale Mazzini sentiamo le opinioni di un grande conoscitore del sistema televisivo italiano, Angelo Gugliemi, tra l’altro, ex direttore di Rai3:
“È irrilevante la cifra di 150 milioni richiesta credo a fondo perduto, dato che non c’è nessun piano ragionevole di razionalizzazione del mezzo televisivo, soprattutto di questi tempi in cui si ragiona in attesa di quella che è una scadenza certa: il 2016, anno in cui si rinnoverà il canone di concessione delle frequenze da parte della pubblica amministrazione dello Stato.
Considero Rai e Mediaset alla stessa stregua, ormai sono due enti pubblici, visto che Mediaset ha usufruito negli ultimi anni di una serie di leggi e decreti legge che ne hanno sancito la sopravvivenza anche nei momenti difficili di mercato e di raccolta pubblicitaria.
Lei, quindi, non considera Mediaset un imprenditore privato?
Ha incominciato da privato poi la mostruosità del cosiddetto conflitto d’interessi, ha portato Mediaset in una sorta di stato limbico parastatale; considero l’unico imprenditore privato in Italia oggi Sky, ma si tratta di una multinazionale. Imprenditori privati di un certo livello nazionale non esistono.
Questa è la grande anomalia del nostro sistema televisivo. All’estero, in Francia, in Inghilterra, in Germania e in Spagna veri imprenditori privati detengono da anni la proprietà di primarie reti televisive.
Come spiega questa anomalia?
Ricordo che agli inizi delle trasmissioni da parte dei privati molti editori puri si sono lanciati nell’avventura, Mondadori, Rizzoli, Rusconi, tutti hanno affrontato con entusiasmo quello che loro avevano considerato come naturale estensione nel nuovo sistema mediatico della loro produzione editoriale classica, i libri.
Berlusconi aveva capito tutto, e con la sua proposta televisiva decisamente più popolare, era riuscito sin dall’inizio così ad appropriarsi della stragrande maggioranza del budget pubblicitario sottraendolo poi anche all’editoria cartacea, mettendo in ginocchio così anche quelli che un tempo erano i grandi editori.
Ma, ragionando in tempi lunghi e non in tempi brevi, cioè, il sistema televisivo dopo il 2016, qual è la sua ipotesi?
Normalmente la Rai potrebbe attestarsi sulla gestione di due reti: una, privilegiata dall’utilizzo del canone che le permetterebbe così nei contenuti di non inseguire il fantasma dell’audience che la porterebbe a inseguire cifre di telespettatori al fine di avere maggiore pubblicità, spesso a discapito della qualità del prodotto.
Così facendo, questa rete sarebbe la vera fautrice del servizio pubblico con il suo apporto culturale di qualità, mentre un altro canale, che convenzionalmente considereremo ancora pubblico, in realtà si muoverà in concorrenza con i nuovi soggetti privati che ci si augura siano più numerosi del consueto monopolio berlusconiano, che alterna vantaggi pubblici alle ricche entrate pubblicitarie indivise anche per aver fatto piazza pulita del mercato privato che ci si augura in futuro sia pluralista.
LUIGI GUBITOSI OSSERVATORIO GIOVANI EDITORI
Per finire, giustifica lo sciopero indetto, e quali sono secondo lei le intenzioni di Matteo Renzi nei confronti della Rai?
Trovo ingiustificato lo sciopero per l’entità minima della richiesta del governo rispetto al budget televisivo annuale della Rai, e anche trovo che per anni si è invocato da parte della Rai stessa l’indipendenza e l’autonomia rispetto al potere politico; questo sciopero invece ribadisce il desiderio inconscio, ovvero conscio, della Rai tutta al desiderio del riconoscimento di non autonomia politica e di oggettiva capacità di realtà di mercato.