REALITY SOAP - SCANDALI, GAFFE E TANTO SESSO: ARRIVA LA MONARCHIA INGLESE IN VERSIONE SMANDRAPPATA - UN RE IN CRISI DI MEZZA ETÀ, UNA REGINA CATTIVISSIMA, "THE ROYALS" SBARCA IN ITALIA IL 21 APRILE (VIDEO)
1. VIDEO - "THE ROYALS", IL PROMO
2. I PIU’ BRUTTI DEL REAME
Michele Masneri per "Il Foglio"
Non bastavano “The Queen”, poi “Il discorso del Re”, e “Diana” e “Grace di Monaco”. Dopo regine cacciatrici e re balbuzienti e principesse tristi e principesse americane, mancava la serie che puntualmente è arrivata. Già considerato come “il peggior spettacolo televisivo di sempre”, arriva adesso questo “The Royals”, soap su una famiglia reale inglese disfunzionale e smandrappata come non mai, con un re in piena crisi di mezza età che pensa bene di indire un referendum per abolire la monarchia, cioè in definitiva se stesso.
Progettata negli Stati Uniti, arriverà in Italia il 21 aprile su Fox Life (canale 114 di Sky) e vede una regina d’Inghilterra che è Liz Hurley, cattivissima e vestita quasi sempre da sera, mentre il re in maglioncino e crisi di mezza età sembra un po’ un tranviere buono e un po’ il conte di “Downton Abbey”. Lontano da ogni mimetismo e dalle ricostruzioni filologiche, è il trionfo del trash, col principe che si mette le mani in tasca, tutti che scopano con tutti, e il re spazientito che a un certo punto dice a tavola “adesso mettete via i vostri telefonini e le mie droghe e statemi a sentire”, mentre arrivano degli ospiti inaspettati e si siedono. In maniche di camicia.
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Nella prima puntata la regina è seccata per una visita di sir Elton John, che certamente non in abiti Dolce & Gabbana ha annunciato una sua visita informale, e lei giustamente rimarca che “questi qua, appena gli dai un titolo, prendono questo posto per uno Starbucks”. La principessa reale Eleanor viene invece fotografata senza mutande in una discoteca parigina, mentre il fratello palestrato Liam, che sarebbe il secondo in linea di successione al trono, in una notte che deciderà della sua intera vita e forse del Regno, si tromba la figlia del capo-sicurezza di palazzo, con un plot un po’ alla “Sabrina”.
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Poi apprende di aver fatto un balzo in avanti nella linea dinastica, perché l’erede designato, Robert, è caduto da qualche parte in combattimento; di qui lo sbrocco del re, che diventa tutto-sentimentalismo e incita la famiglia a “seguire il cuore, e l’amore”, come un cinquantenne qualunque che medita di lasciare la città e aprirsi il chiringuito in Sudamerica.
Non manca lo sberleffo genealogico, con la guardia del corpo che dice al principe Liam “in fondo potresti essere illegittimo”, con chiaro riferimento al tormentone sulla somiglianza del secondogenito principe Harry con il rosso capitano dei dragoni James Hewitt, che dopo anni di cavallereschi silenzi (un gentiluomo muore ma non parla) adesso si è confidato molto col drammaturgo John Conway per realizzare lo spettacolo “Truth, Lies, Diana” in scena a Londra, tutto basato sul Dna dell’erede al trono diversamente fulvo.
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Ci sono poi due sorelle cesse, riferimento a Eugenia e Beatrice di York, figlie del principe Andrea recentemente finito nel calderone olgettistico di Strauss-Kahn. Le sorelle, drogatissime, brutte come Genoveffa e Anastasia, assistono all’annuncio dello zio re sul referendum, e si chiedono “ma come, il popolo vota? Perché?”. E poi, ragguagliate sugli istituti democratici, che sono come in America, si disperano perché “saremo costrette a diventare come le americane, e ad andare in giro in scarpe da ginnastica come Justin Bieber”.
Il loro papà, che ha lo sguardo torvo e il capello gelatinato e assedia tutte le cameriere, ha dei bei dialoghi (“mi hanno messo in guardia su di lei, altezza!”, gli dice una nuova camerierina a una chiamata notturna; e lui: “per il sesso?”; “Sì”; e Sua Altezza: “Ma tecnicamente questo non è sesso, lo ha detto anche un presidente americano”, e le fa segno di mettersi comodamente in ginocchio).
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La cugina principessa Eleanor invece è un po’ princess Margaret (la sorella di Elisabetta che viveva un po’ a Roma, col male di vivere e la bottiglia, e a cui non fu mai permesso di sposarsi per amore, di qui per nemesi araldica tutte le sfighe matrimoniali dei Windsor) e un po’ Fallon di “Dynasty”, si fa naturalmente tutte le guardie del corpo portandosele in cantina a scegliere degli Château Pétrus del 1942 che poi beve a canna, mentre nella realtà morrebbe per i tannini, come le spiegherebbero a qualunque Vinitaly.
E da “Dynasty” proviene poi il definitivo tocco “camp” a questa serie che fa già sognare gli amanti del genere, come un’“Elisa di Rivombrosa” però globale. La regina-madre è infatti Joan Collins, che però arriverà solo alla terza puntata, si spera molto male intenzionata. Chissà che avrebbe a dire Winston Churchill, che nacque nel palazzo in cui è girata la serie, questo Blenheim Palace che da tre secoli è residenza degli Spencer-Churchill duchi di Marlborough.
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Il palazzo più imponente del Regno, 187 stanze, 5.000 ettari di parco, costruito nel Settecento a Woodstock, nell’Oxfordshire, da pochi mesi passato di mano a un erede scombinatissimo e molto tossico, Charles-James Spencer Churchill, detto Jamie, cinquantotto anni, fricchettone, una vaga somiglianza col sindaco di Londra Boris Johnson. “Era da anni che non si presentava un esemplare così perfetto: alta aristocrazia, droga, alcol, eccessi di velocità”, scrive il Sunday Times, entusiasta per questo rampollo alcolico che in presenza di una famiglia reale ultimamente sobria potrebbe risollevare fatturati della carta stampata in crisi.
E in “The Royals”, il re repubblicano vorrebbe abolire la Ditta senza rendersi conto delle conseguenti cadute di indotti, occupazioni, filiere, e pil. E dei tanti product placement, come quello delle tante Range Rover (ancorché indiane, proprietà Tata), qui come in ogni saga britannica che si rispetti; mentre uno dei momenti più shakespeariani avviene inopinatamente in una Mercedes, subito dopo il funerale dell’erede, coi fratelli che insolentiscono la regina la quale risponde giustamente: “Aveva ragione Riccardo III, tutti rinchiusi nella torre di Londra, e via”, e il figlio perfido, “aveva ragione piuttosto Enrico VIII, che le mogli le assassinava”.
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Tanta cultura anche nazionale e naturalmente pop condivisa, e una sceneggiatura non vidimata da royal watcher come il Julian Fellowes di “Downton”, e però funziona sempre e fa sempre vendere (con lancio pubblicitario a base di finte foto di un uomo nudo che si cala da Buckingham Palace, come da noi le lettere di Renzo e Lucia per trasmissioni su tradimenti non regali). E ci si chiede ancora come mai qui da noi anche in primarie fiction con Anna Valli o Vittoria Puccini i nostri poveri ex reali siano sempre marginalizzati.
Anche non volendo andare sui vituperati Savoia, non sembra davvero possibile che non siano ancora stati opzionati soggetti e trattamenti sulla regina ormai madre Paola del Belgio, che nasce romana, figlia del principe e asso dell’aviazione Fulco Ruffo di Calabria, e molto scapestrata, con contaminazioni pop (la canzone “Dolce Paola”, di Adamo, hit tra minatori italiani in Belgio, dunque anche con rimandi sociali importanti); col suo principe si conobbero in occasione dell’incoronazione del Papa buono, nel 1958, dunque ecco plot anche palatabili per masse e capostruttura.
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Con un po’ di sveltezza, potrebbero andare in onda in concomitanza col prossimo Giubileo, ancorché low cost. Oppure, rimanendo sull’estero, ecco un ottimo biopic-musicarello sulla regina Silvia di Svezia, già hostess alle Olimpiadi di Monaco del 1972, dove incontrò il principe Carlo Gustavo, e a cui fu dedicata la canzone “Dancing Queen” degli Abba. Ma per scendere un po’ di casato, ecco anche la granduchessa del Lussemburgo, cubana, parente di Batista, dunque perfetta per le prossime fini di embarghi, e per inaugurare magari un filone “paradiso fiscale”, con nostalgia per holding e conti correnti esotici che non torneranno più, causa leaks e accordi internazionali virtuosi.
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Del resto il recente “Grace di Monaco” era poi uno straordinario spot per il piccolo Principato offshore, minacciato dalla cattiva Francia, con una principessa triste e inopinatamente insicura che si faceva insegnare come si sta a tavola da un cerimoniale rigidissimo, manco fosse Sissi alle prese con la suocera cattivissima Asburgo, e non invece la figlia star di John “re del pomodoro” Kelly, che il Principato (allora in mano ai creditori) se lo sarebbe potuto comprare cash; e i protocolli li sapeva a memoria anche avendo recitato nel “Cigno”, 1956, in cui fa l’erede al trono di un piccolo regno europeo.
Ma proprio a Monte Carlo intanto si annuncia già ora il matrimonio dell’anno, quello tra Pierre Casiraghi e la contessa televisiva Beatrice Borromeo, e qui anche tanti gossip tra Roma e Milano, dei più esotici. Si dice che per farsi sposare dal suo principe biondo avrebbe minacciato di rimanere per sempre in California dopo essersi ivi recata per un impegnato documentario.
E però i più esperti sostengono che forse, al netto del soldo e dell’esposizione mediatica, in fondo i Borromeo discendono da un santo anche di primissima categoria, mentre si sa che se si facesse un esame del Dna i Grimaldi non ne verrebbero fuori tanto bene, e tra ex cantanti (la principessa Stephanie, già autrice di “Ouragan”), ex nuotatrici forse recluse, figli dei più sintetici concepiti misteriosamente e comunque sempre e solo su primarie compagnie aeree, il livello di regalità lascia molto a desiderare.
E i più esperti genealogisti invece a segnalare come la politica recente dei Borromeo non abbia nulla da invidiare a quella della regina Vittoria, che infiltrò coi suoi figli tutte le case regnanti d’Europa esportando il nome dei Saxe-Coburg-Gotha ma anche la sifilide (mentre il fratello di Pierre, Andrea, ha fatto una scelta forse di campo sposando l’erede dell’impero della birra SabMiller, dote personale di 2,2 miliardi di dollari).
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E i poveri smandrappati Savoia, in tutto questo? La villa che vide l’esilio di Umberto, re galantuomo, a Cascais, è oggi un hotel a cinque stelle, e anche lì, forse, un plot già bell’e pronto, anche molto attuale e moderno, col re che nei giorni dell’esilio portoghese, ai molti italiani che andavano a trovarlo, generosi di dettagli di politiche romane e riconteggi dei voti del referendum, pare chiedesse “ditemi piuttosto, la Kiki come ha deciso per quelle tende?”; e “Consuelo ha poi cambiato quei puntiluce?”.
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Un sovrano interior decorator, già sottoposto a macchine del fango, noto negli archivi dell’Ovra con nome in codice “Stellassa”, e disegnatore di gioielli, come la parure reale della sua sposa Maria José del Belgio, e in contemporanea dispensatore di spille e gemelli a primari toy boy come il pugile Primo Carnera.
E però, al netto di tanto materiale e di tanta narrazione, il solito gap: per quanto smandrappata e forse impresentabile nelle ultime generazioni, la nostra monarchia che in fondo ha fatto l’Italia avrebbe meritato un posticino nelle patrie lettere o fiction, eppure a parte la settimana bianca d’Umberto (ma Primo, il nonno) in “Divertimento 1889” di Guido Morselli, pochissimi riferimenti, nonostante gli spunti anche non necessariamente tragici ma “pop”: con la principessa Titti a inaugurare accoppiamenti poco giudiziosi con calciatori e attori in canotta, molto vituperata all’epoca, anticipando invece inconsapevolmente filoni divenuti poi mainstream tra reali moderni sposatori di personal trainer, hostess e circensi: cioè poi “monarchy in anarchy”, come da claim della fondamentale soap opera in arrivo.