TUTTI CONTRO IL PALAZZO - NERI, ROSSI E INGRIGITI TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE PER LA PROTESTA DEI FORCONI (LA POVERTÀ È POST-IDEOLOGICA)

Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"

Una mattina si son svegliati. E hanno capito che stare insieme è difficile, nonostante il richiamo della rivolta. Quando gli studenti del collettivo universitario autonomo e i metalmeccanici della Fiom intonano le prime strofe di «Bella ciao» la via Alfieri piena zeppa di gente si apre come il Mar Rosso davanti a Mosè. Da una parte loro, con le bandiere rosse e il canto dei partigiani. Dall'altra decine di mani tese nel saluto romano, molte teste rasate e altrettanti cori di «vergogna, vergogna».

I tarallucci e il vino che fanno dissolvere la tensione li porta Federico Bellono, segretario regionale delle tute blu. «Siamo tutti operai» dice, e strappa alla controparte un timido applauso. Rossi e neri possono dirigersi verso la sede del Consiglio regionale. La destinazione finale e la strada sono le stesse, ma l'incidente ha fatto ricordare il disprezzo e le differenze reciproche. A ognuno il suo marciapiede, e poi il suo angolo di piazza, molto vicini e distanti al tempo stesso.

«Sono cresciuto con sette fratelli e si cambiava macchina ogni due anni, invece io ho la stessa da undici, ma vi rendete conto?» «Cota e Fassino si arrendano e diano le chiavi di Regione e città al prefetto». «Tutti a Roma, per mandare a casa Napolitano e cancellare la politica dalla faccia della Terra». «Non dobbiamo andare a Roma ma restare qui, torinesi a Torino, perché i grandi cambiamenti italiani passano sempre per la nostra città».

Il palchetto degli ambulanti in fondo a piazza Castello è diventato l'angolo del flusso di coscienza, di qualunque rivendicazione anche in contrasto con quella appena ascoltata. Il microfono passa di mano in mano, fino a quando il disc jockey ambulante che ha portato gli amplificatori si arrabbia e decide si spegnere tutto. Ma ormai anche le parole non hanno più importanza, quel che doveva essere è stato. Andrea Zunino, il portavoce mistico del movimento dei forconi, riconosce che il meglio sta per passare.

«Abbiamo saputo portare in piazza la gente della quale nessuno parla. Da adesso in poi sarà dura, ma ignorarci diventa molto difficile». L'imprenditore agricolo biellese, esperto di camminata sul fuoco, meditazione e respiro consapevole, dice una cosa giusta.

Anche in una città dove l'occupazione a giorni alterni del centro è quasi fisiologica, sono tanti quelli che hanno preso nota dell'accaduto. La piazza di ieri era diversa da quella del giorno prima, e non solo perché a un movimento eterogeneo nei fini corrisponde una platea poco coesa. Ambulanti e autotrasportatori svolgono funzione di calamita. Non importa più quel che dicono, ma quel che fanno.

La protesta non è la stessa, ma l'interesse è identico, la situazione di caos che i forconi sono stati capaci di creare, non importa con quale metodo. Il pulmino bardato di tricolore in mezzo a piazza Castello rappresenta la coccarda sul trofeo. La manovalanza della destra più radicale, tra Forza Nuova e Casa Pound, si è sempre mossa con discrezione e in ordine sparso, senza ufficialità. Ieri si è mostrata in pubblico con una certa fierezza, con una specie di presidio, quasi a rivendicare il lavoro svolto in precedenza, e per questo pomeriggio è annunciato l'arrivo di Danilo Calvani, uno dei promotori più vicini a Forza Nuova, quasi a mettere un sigillo.

I cromosomi e la base dei forconi appartengono all'area di destra, magari non così virulenta. «Roba nostra. Partite Iva, commercianti, ambulanti, erano il serbatoio della vecchia Alleanza nazionale, quella più ruspante». Maurizio Marrone, trentenne consigliere comunale di Fratelli d'Italia, è considerato il referente, se non il mandante politico della protesta. Nell'estrema destra da quando aveva 14 anni, proprietario di un pastore tedesco che si chiama Scipio. Ha ottenuto una certa notorietà con la proposta di seppellire Erich Priebke a Torino. «Adesso arriveranno i tentativi di imitazione» dice all'uscita dell'esame di Stato da avvocato. «Prima demonizzano, poi vedono la partecipazione popolare e si buttano».

Anche nel settore del conflitto sociale esiste la concorrenza. «Mai con i fascisti» era stata la premessa dei centri sociali autonomi che da molti anni costituiscono la spina dorsale del movimento No Tav. Lunedì mattina, alcuni militanti della sinistra antagonista si aggiravano incuriositi in un panorama umano che non riconoscevano. Dopo gli scontri davanti al palazzo della Regione, sui loro siti sono apparse cronache che elogiavano la spontaneità dei forconi, con parole ammirate per i risultati ottenuti.

«Siamo andati a vedere» ammette Lele Rizzo, portavoce ormai storico del centro sociale Askatasuna, libertà in basco. «Nel salotto buono di Torino c'era il mondo della periferia al quale nessuno guarda mai. Quelli ai margini, senza certezze, colpiti dalla crisi, che solo in Italia vengono lasciati in mano ai fascisti».

Hanno subito dismesso i panni degli osservatori per manifestare davanti al Comune, quasi un debutto nella promiscuità, con gli ambulanti che hanno compreso il dilemma antagonista e si sono ritirati in buon ordine. Ieri c'erano, con i loro universitari e le bandiere. «Abbiamo visto gente che è tornata dopo il primo giorno, con tanta voglia di alzare la voce». La rincorsa degli opposti estremismi ai forconi sta per cominciare. Comunque vada a finire, è stato un successo.

 

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