jamal e i figli como

''TEMEVA GLI AVREBBERO TOLTO I FIGLI'' - CHI ERA JAMAL, IL PADRE CHE SI È AMMAZZATO CON I 4 BAMBINI DANDO FUOCO ALLA CASA. ''ERA PREMUROSO, SI OCCUPAVA DI LORO DA QUANDO LA MADRE ERA STATA RICOVERATA PER DEPRESSIONE. PERDEVA I LAVORI PROPRIO PERCHÉ DOVEVA BADARE AI FIGLI. SI STAVANO MUOVENDO I SERVIZI SOCIALI''. LUI SI È MOSSO PRIMA - LA MADRE, QUANDO HA SAPUTO...

 

Francesco Borgonovo per ''La Verità''

 

Rosanna Gallicchio staziona in piedi di fronte alla porta del suo garage, con le braccia incrociate. Lei e la figlia, in tuta e scarpe da ginnastica, osservano i vigili del fuoco che trascinano secchi di calcinacci fuori dal palazzo di fronte, uno stabile di quattro piani in via per San Fermo della Battaglia, a una decina di minuti in auto dal centro di Como.

 

jamal con il figlio

L'incendio è divampato all' ultimo, nell' attico, ma la puzza non si sente quasi più. Si intuisce soltanto, attaccata sui volti lucidi e stravolti dei soccorritori e dei pochi abitanti che sgusciano dentro la porta d' ingresso, per evitare i giornalisti.

 

Rosanna continua a guardare avanti, parla veloce. «Li vedevo spesso i bambini. Stavano sempre fuori, erano gioiosi e sorridenti. Mercoledì stavamo uscendo con la macchina e loro ci facevano gli scherzi. Li vedevo con il papà, sempre per manina ad attraversare la strada. Perché questa è una strada brutta, sa?». Sì, la zona è bella, «signorile» la definisce qualcuno, ma la strada è brutta, pericolosa. In pendenza, piena di curve. Le macchine arrivano forte, talvolta sbucano all' improvviso, nascoste fino all' ultimo dagli alberi sporgenti.

 

Jamal Haitot - nato in Marocco nel 1968, cittadino italiano - era un padre amorevole, dunque stava molto attento quando doveva attraversare con qualcuno dei suoi quattro figli, un maschio di 11 anni e tre femmine di 7, 5 e 3 anni (tutti nati in Italia). «Li teneva per manina».

 

Li ha voluti vicini anche tra le fiamme.

Quando i soccorritori sono entrati nell' appartamento li hanno trovati stretti lì, nella stessa stanza, sdraiati l' uno accanto all' altro sopra un lettone. «Erano sul letto e su altri materassi, uno soltanto, forse, era finito sotto una scrivania», dice Luigi Giudice, il comandante dei vigili del fuoco comaschi. «Non è stato facile individuarli, per via del fumo».

 

Mentre il fuoco mangiava i mobili e una nebbia densa e maligna si appiccicava alle pareti, Jamal - padre amorevole - giaceva sul materasso, con i suoi piccini tutti attorno, ad aspettare il sonno. Pensava, forse, che non se ne sarebbero nemmeno accorti. Che il fumo se li sarebbe portati via leggero, in silenzio.

 

Il fatto è che non succede mai in silenzio. Quando il fumo ti intossica, prima si insinua sotto la pelle, sempre più in profondità fin dentro i muscoli. Le membra, a ogni istante, si caricano di un peso maggiore. Sembra sonno, in effetti. Poi però comincia il dolore. Sulla fronte, attorno alle tempie, preciso come un punteruolo. Respirare è un' impresa, i polmoni cercano aria pulita, la bocca si apre e fa entrare altro veleno. Il volto si arrossa mano a mano che la frequenza cardiaca aumenta, la pesantezza dei muscoli diventa dolore. E, nelle orecchie, romba un rumore costante, che cresce finché il cuore non si ferma.

le figlie di jamal

Non è successo in silenzio.

 

Alcuni dei vicini di casa, la mattina presto, hanno sentito i bimbi gridare, per l' ultima volta: «Papà, papà». Il fumo lo hanno visto dopo. Erano le 8.20 quando la chiamata ha raggiunto il centralino del 112.

 

I soccorsi sono partiti subito, e a quell' ora - in mezzo alle auto di chi si fionda al lavoro - hanno impiegato circa 20 minuti a raggiungere lo stabile in fiamme.

È arrivata prima un' ambulanza, poi i pompieri, che sono entrati da una finestra, tramite un' autoscala. Il comunicato della Questura è glaciale: nell' appartamento sono stati rinvenuti «un uomo e quattro bambini esanimi». Tra le altre parole si legge: «Omicidio-sucidio a opera del padre». È stata aperta un' inchiesta.

 

Quando li hanno trovati, i piccini erano in arresto cardiaco. Hanno cercato di rianimarli subito, ma i vicini di casa hanno visto allontanarsi alcune ambulanze senza la sirena accesa, e hanno capito.

 

Jamal era già morto. Tre dei suoi figli lo hanno seguito poco dopo. Li hanno trasportati negli ospedali vicini, a San Fermo della Battaglia, Como e Cantù. I soccorritori continuavano - disperati - a inseguire un battito, speravano che un respiro flebile uscisse dalle piccole labbra pietrificate, ma niente. Il fumo se li era già portati nella sua terra nebbiosa. Solo il cuore di una delle bimbe, quella di mezzo, dopo circa due ore ha ripreso a battere. I medici le hanno somministrato un farmaco contro l' intossicazione, i polmoni, debolmente, si sono aggrappati alla vita. L' hanno trasferita all' ospedale Buzzi di Milano, in condizioni critiche. Ma non c' era più il papà a tenerla «per manina». Dopo alcune ore anche lei è morta.

 

Uno dei primi a entrare nell' appartamento che andava a fuoco è stato Reza Nasir, un vicino degli Haitot. È iraniano, vive in Italia da molti anni, gestisce un' azienda che si occupa di ascensori. È uscito a fare una passeggiata intorno alle 7.30. Ha respirato il fresco del mattino, il verde degli alberi. Perché la strada è pericolosa, ma è suggestiva: si inoltra in una specie di bosco, un rifugio per i borghesi che non sopportano la confusione del centro storico.

 

INCENDIO SAN FERMO DELLA BATTAGLIA COMO

Reza non si è accorto di niente, fino a che non ha sentito le urla degli altri condomini. Si è precipitato a raggiungerli, con un badile hanno sfasciato la porta dell' appartamento infuocato, sono entrati, e li hanno trovati. «Dentro», dice la voce spezzata di Reza, «ho visto quello che ho visto». Secondo il vicino, Jamal «era un uomo molto dignitoso. Da un po' di tempo, da quando la moglie era stata ricoverata per depressione, stava sempre con i bambini. Era davvero premuroso ma so che ha avuto problemi sul lavoro per via delle sue assenze dovute proprio alla necessità di accudire i quattro figli». Jamal, un padre amorevole, che ai figli voleva dare tutto. Avevano una bella casa. «Circa 100 metri quadri, con il camino», dice il comandante dei vigili del fuoco.

 

Jacopo Augustoni, l' amministratore di condominio, arriva trafelato, con gli occhi rossi, e spiega che l' appartamento «è di un privato che lo ha messo a disposizione della Fondazione Giovan Battista Scalabrini». La famiglia Haitot - «persone tranquille» - lo occupava da tre anni. viveva di beneficenza. Il Comune si occupava di loro, l' affitto era pagato, ogni giorno arrivavano pacchi alimentari. C' è gente di buon cuore, in giro.

Jamal era disoccupato. Da tempo si dibatteva nel pantano dei lavoretti saltuari. Ha fatto il lavapiatti, ha tirato a campare in qualche modo.

 

Poi è rimasto solo. Sua moglie, marocchina anche lei, è stata presa in carico dai servizi sociali: «Precarie condizioni psichiche», sintetizza la Questura. Una grave depressione, che con artigli affilati l' ha strappata ai suoi cari. Da mesi era ricoverata in una struttura di recupero, da cui è uscita ieri per raggiungere i suoi bimbi all' ospedale. Non riusciva a parlare, solo a piangere: le lacrime non hanno sciolto i corpicini di ghiaccio.

Le parole che tutti cercano, quelle che forse spiegano, le pronuncia Agnes Oketayot, ugandese da 13 anni in Italia.

 

Sua figlia andava all' asilo con una delle bambine. Jamal si confidava con Agnes. Le aveva detto che faceva fatica, che non aveva lavoro, e nemmeno cibo a sufficienza per i figli.

 

Tanto che la donna, un giorno, gli ha regalato 12 litri di latte, e lui si è commosso. «Era in attesa di una risposta da parte del Tribunale dei minori perché aveva chiesto un aiuto al giudice», ha raccontato Agnes ai giornali. E forse la risposta è lì. Jamal Haitot, il bravo papà, aveva paura di che gli togliessero i figli. Così ha cominciato ad accumulare i giornali. Li ha impilati uno dopo l' altro, vicino all' ingresso. Reza, il suo vicino, li ha persino intravisti sbirciando dalla porta, un paio di giorni fa. Quel mucchio di carta vecchia l' ha stupito, poi non ci ha pensato più.

INCENDIO SAN FERMO DELLA BATTAGLIA COMO

 

Jamal - mattina dopo mattina, mentre il pensiero cattivo gli metteva radici nel cervello - ha accatastato i quotidiani vicino all' entrata e lungo il corridoio della sua casa grande e «signorile». I suoi bimbi correvano e giocavano. Lui aveva smesso di mandarli a scuola, si era trincerato dietro le sue ossessioni, e teneva prigionieri anche loro. Guardava i piccoli e, nel suo cuore, l' amore già bruciava.

 

Nel mucchio, assieme alla carta, Jamal ha buttato anche stracci e coperte. Poi, ieri mattina presto, all' ora di colazione, ha acceso il fuoco.

Lontano, al centro di recupero, anche sua moglie forse si stava alzando, magari ha dedicato il suo pensiero proprio a lui, così forte nel prendersi cura dei loro piccoli. O magari non ha pensato a niente, solo alla fatica di iniziare un altro giorno grigio, lontano da casa.

 

Ieri mattina, dentro l' appartamento, Jamal ha lasciato che la pira si animasse. I suoi quattro cuccioli, 26 anni in quattro, dai loro materassi nell' altra stanza, lo chiamavano allarmati: «Papà, papà».

 

E il papà è arrivato, per metterli a letto anche se fuori c' era già luce da un po'. Il papà ha chiamato le fiamme a sussurrare una ninna nanna, si è accucciato vicino ai suoi bimbi, e li ha accompagnati verso la morte. «Per manina».

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