Natalia Aspesi per Robinson – la Repubblica
Recensione del libro di Irene Brin “Il Mondo” di Atlantide Editore
COPERTINA DEL LIBRO DI IRENE BRIN
Ecco un mestiere del tutto scomparso, come quello dell' arrotino ambulante: aveva una definizione vaga, si chiamava "giornalismo di costume" e capita ancora che qualcuno si fregi di quella nobile etichetta. Un vanto sbagliato, perché non solo nessuno ha più la profonda sapienza del caso.
Ma perché è il costume, nel senso più significativo, a non esistere più, falciato da notizie non notizie di showgirl al terzo calciatore e al secondo figlio di padre incerto fotografate accanto allo chef del momento a un ricevimento pubblicitario per il lancio di una nuova mutanda must have, come impongono le nuove addette al marketing decostumizzato.
Ce ne sono stati in un passato non lontano, quasi fiabesco, di questi insostituibili professionisti, soprattutto donne, di superbo talento e massima cultura borghese (altra cosa in via di annientamento), come Camilla Cederna, la disegnatrice Brunetta, Irene Brin e, per la moda raccontata come intelligenza e classe, un' altra disegnatrice, Maria Pezzi.
Ogni tanto qualcuno si ricorda di loro e ne raccoglie le meraviglie già più volte raccolte o intrufolate in storie della moda, biografie, anche mostre, come quella milanese al Museo del Novecento di Milano, chiusa nel marzo scorso, intitolata "Boom 60! Era arte moderna", in cui era riportato anche un reportage di Irene Brin apparso su una Settimana Incom del 1964, che raccontava "l' esito catastrofico" di una esposizione a New York di Bernard Buffet, detto "il pittore in Rolls-Royce".
"Fummo noi a fare la sua prima mostra italiana. Vendemmo faticosamente due pezzi a un ingegnere di Palermo, il quale poi mi raccontò di averli venduti comprando col ricavato tre appartamenti Seguirono la gloria, lo yacht, il castello, i miliardi, il matrimonio con Annabel e poi la decadenza".
Torna adesso Irene Brin con Il mondo, pubblicato da Atlantide in 999 esemplari numerati: che dovrebbe diventare un libro di testo nelle scuole di giornalismo anche finanziario, anche politico, per rendere appassionanti notizie quasi sempre noiosamente catastrofiche, superare soggezioni e paure, scansare ovvietà e pettegolezzi incontrollabili, scavare oltre, impegnarsi a raccontare quelle apparenti futilità che testimoniano un tempo e un mondo più degli schizofrenici bisticci politici.
Sul web poi potrebbe diventare un indispensabile Monsignor della Casa per tentare di riparare, almeno in parte, alla sua diffusa ineleganza: "Notizie inutili e dannose: Dovrebbero naturalmente servire di giustificazione alle facce sconvolte, alle voci rauche, al lavoro mal eseguito, alla stupidità crescente: ma servono soprattutto a deprimere chi le ascolta, ad aumentare l' afa morale".
Dal suo Galateo, 1953, firmato Contessa Clara, parlando del caldo! D' altra parte, guardando le prime pagine dei settimanali di notizie un tempo definite rosa, adesso puro cafonalismo horror di labbroni, tettone, tatuaggi, teste rapate, baci programmati ma fotografati come finto scoop in arredamenti di broccato o in ristoranti di cui viene dato nome e indirizzo, si immagina dietro pagamento, cosa potrebbe scrivere oggi una disperata Irene Brin, abituata a fulminare in poche righe, senza mai un rimprovero, teste coronate e geni della fotografia di moda?
Eccellenze in ogni campo, soprattutto mondano e artistico, e sconosciute ai più, mai un politico di seconda e terza scelta, solo potenti maharaja ingioiellati o monarchi anche se già privati del trono. Da Usi e Costumi, 1944, in piena guerra: "La regina di Rumenia: si occupò con ambizione assolutamente medioevale di assicurare corone alle sue figliole: una fu regina di Jugoslavia, e grassa, pigra, bisognava ancora molti anni dopo il matrimonio, sospingerla a doveri di apparizioni ufficiali, a digiuni, a ginnastiche.
La seconda, Regina di Grecia, ebbe anche lei il torto di ingrassare e poi di staccarsi negligentemente dal Re. Ileana, la terza, parve voler dedicare la sua vita ai lettori dei giornali illustrati, ai novellieri privi di immaginazione, creandosi infinite, e probabilmente innocue, avventure, sino al suo matrimonio con un arciduca d' Asburgo".
Irene Brin era riuscita a imporsi una bellezza autorevole senza averla, con una pettinatura nera raccolta alla Simone de Beauvoir, lo sguardo colto e miope ma mai profanato dagli occhiali, un gran seno che le ingombrava l' eleganza severa, attenuandola; e precedendo di decenni le antipatiche divine tiranne della moda mercantile, indossando sempre solo sandali e mai le calze, pur in tempeste sotto zero.
Richard Avedon la ritrasse nella stessa posa con cui aveva fotografato Marella Agnelli, confuso forse dall' alterigia di tutte e due e rendendole meravigliosamente angeliche e spettrali. Padre generale, madre austriaca, nata col nome di Maria Vittoria Rossi nel giugno del 1911 (ma lei preferiva accennare al 1917), fu presto giornalista in tempi fascisti, raccontandone il lato apolitico e brillante oltre i "telefoni bianchi" di regime, sul quotidiano ''Il lavoro'', col nome di Oriane o Mariù, poi Leo Longanesi la chiamò al settimanale Omnibus creandole lo pseudonimo definitivo, Irene Brin.
Per non essere retrocessa a disgraziata zitella, si sposò nel 1937 a ventisei anni con Gaspero del Corso, ufficiale dell' esercito: e fu un' unione perfetta, di felicità e condivisione affettiva e culturale, di amore, come capita quasi sempre quando una donna intelligente sposa un omosessuale. In piena guerra raggiunse il marito sul fronte iugoslavo, esperienza che divenne la serie di racconti drammatici da corrispondente di guerra Olga a Belgrado, subito sequestrato nel 1943 e ripubblicato da Elliot nel 2012 (con documentazione di Franco Contorbia e postfazione di Flavia Piccinni).
Gaspero del Corso e Irene Brin
Gli anni nella Roma occupata dai tedeschi, l' eccitante dopoguerra, la fama diffusa come dispensatrice di consigli firmando Contessa Clara Radjanny von Schewitch sulla Settimana Incom, la fortuna della galleria d' arte l' Obelisco fondata dalla coppia del Corso che portò per la prima volta in Italia celebrità straniere e fece conoscere all' estero i nostri giovani artisti, la meravigliosa capacità di raccontare.
E quindi lanciare nel mondo la moda italiana negli anni Cinquanta e Sessanta senza tralasciare quella parigina allora imperante, sono descritti da Claudia Fusani nella sua biografia della Brin, Mille Mariù, 2012 (prefazione di Concita De Gregorio). Flavia Piccinni ha anche curato questa ultima raccolta, Il mondo, ovviamente molto parziale degli scritti di Irene Brin, che sono migliaia, e in gran parte già ripubblicati negli anni Novanta da Sellerio.
Nel nuovo libro ci sono estratti di varie pubblicazioni, da Usi e costumi, 1920- 1940 a Le visite (1945), a Il galateo firmato Contessa Clara nel 1953: che allora aiutò le lettrici, estasiate, a immaginarsi parte di un mondo affascinante, di gran classe. Per esempio, alla voce "Baciamano: In teoria non si bacia una mano guantata, nemmeno se è la Regina Non si bacia la mano in tram, in autobus: si può baciarla sulla banchina della stazione".
Oppure "Ricchi: Non frequentate miliardari, dico sempre ai miei nipotini, ci perdereste anche gli spiccioli". Il 10 aprile del 1969 apparve sul Corriere d' informazione un suo articolo dedicato alle sfilate di moda fiorentine e fu l' ultimo: in maggio, già molto malata, va col marito a Strasburgo per la mostra di Diaghilev cui l' Obelisco ha prestato un quadro di Giacomo Balla. Al ritorno si aggrava, si rifugia nella casa di famiglia a Sasso di Bordighera: dove muore il 29 maggio, portando con sé lo sfavillio di un giornalismo che altre ripresero per qualche anno, ma che ormai è diventato, scriverebbero i giornali di immaginario costume, "vintage".
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