Alberto Stabile per “la Repubblica”
La battaglia di Aleppo sembra avvicinarsi all' epilogo, dopo che l' esercito siriano e i suoi alleati, le milizie sciite libanesi e irachene, con il sostegno dei pasdaran iraniani e dell' aviazione russa, hanno conquistato un terzo della zona orientale della città da anni in mano ai ribelli.
Mentre gli insorti, costretti ad abbandonare alcuni quartieri-chiave, cercano di riposizionarsi nell' estremo tentativo di reggere l' urto del nemico, migliaia di civili fuggono dalle incursioni di terra e dai bombardamenti aerei, cercando rifugio chi nelle borgate sotto il controllo governativo, chi nei rioni ancora dominati dai ribelli ma lontani dal fronte, chi nell' enclave curda di Sheik Maqsud.
L'improvvisa accelerazione si è avuta al culmine di un ciclo di pesanti bombardamenti scatenati da metà novembre che hanno indebolito le resistenze degli insorti, cui venerdì sera e per l' intero fine-settimana si sono aggiunte alcune efficaci incursioni da parte delle truppe di terra siriane e di quelle a loro alleate. Già sabato, uno dopo l' altro, sono caduti i quartieri residenziali di Hanano e Masaken Hanano. L' offensiva è proseguita poi in direzione di Sakhour, Haydaryeh, Sheikh Khodr e Bustan al Basta.
militari russi posano con foto di putin e assad
Qui, le forze fedeli ad Assad, hanno potuto completare l' accerchiamento dei ribelli, ricongiungendosi con le milizie curde del Ypg, le Unità di Protezione del popolo curdo, che hanno combattuto vittoriosamente contro l' Isis a Kobane e che ad Aleppo Est controllano la zona chiamata Sheikh Maqsud. Appoggiati dagli americani, i curdi del Ypg, pur non dichiarando nessuna alleanza formale con il regime di Damasco, ad Aleppo Est si sono opposti ai ribelli. A questo punto le milizie in guerra contro il regime hanno dovuto ritirarsi.
Una sorta di ritirata strategica secondo il portavoce di Jabah Sharmya, «per poter difendere e rafforzare la linea del fronte».
Ma per un commentatore non certo imputabile di simpatie verso il regime, come Rami Abdulrahman, fondatore dell' Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (Ondus) con sede a Londra, quel che è successo tra sabato e domenica nella battaglia per Aleppo è «la più grossa sconfitta patita dall' opposizione dal 2012», da quando, cioè, una coalizione di insorti in gran parte provenienti dalle campagne e di foreign fighters conquistò mezza città.
Naturalmente è presto per dire se le sorti della battaglia si sono chiuse e sigillate in questi ultimi tre giorni.
Le notizie trapelate oltre l' assedio parlano di duri bombardamenti che continuano, facendo ulteriormente lievitare un bilancio che è già assai grave (225 morti fra i civili fra cui 27 bambini negli ultimi 13 giorni). Sono stati questi bombardamenti, secondo il gruppo ribelle "Nuralddin al Zinki", a dare alle forze di Damasco un vantaggio tattico decisivo: «La pressione su di noi non è mai stata così forte. É una lotta squilibrata.
Noi combattiamo contro la Russia e l' Iran che hanno armamenti spaventosi e loro distruggono tutto, metodicamente, zona per zona...».
In queste condizioni pensare ad una tregua non sembra realistico, anche per mancanza di sponsor internazionali: gli Stati Uniti sono concentrati sulla transizione; gli europei hanno le loro grandi e piccole beghe politiche; tutto congiura perché Putin continui indisturbato nella sua avventura siriana. Cosa che a Trump non dovrebbe dispiacere.
Le foto che giungono dalle zone "liberate" mostrano ufficiali in tuta mimetica che ispezionano strade dissestate dalle esplosioni e scheletri di palazzi. Tra i successi vantati, dai momentanei vincitori, la presa del viale Hollok e del quartiere di Bustan al Basta, vicinissimo alla zona occidentale. Ma forse, il colpo migliore messo a segno dalle forze governative è la riconquista della centrale idrica di Suleiman al Alabi. Per anni, la mancanza d' acqua, è stata tra le durezze imposte dalla guerra ai quartieri occidentali sotto controllo del regime.
Ma dall' altra non solo l' acqua, ma anche il cibo, i medicinali, la benzina sono diventati introvabili. E l' esodo è diventato inevitabile. In tre giorni, diecimila civili hanno lasciato le loro case nel tentativo di trovare rifugio altrove. Oltre 200 mila, secondo le stime dell' Onu, rimangono tuttavia prigionieri.
Ma cosa vuol dire quel che sta succedendo ad Aleppo per il regime di Damasco? Se Assad dovesse riprendere sotto il suo controllo tutta la città, la più grande e ricca della Siria, sarebbe una svolta nel conflitto non solo sul piano militare, spiega Fabrice Balanche del Washington Insitute, «perché il regime ne uscirebbe rafforzato anche nei confronti dei Paesi che hanno sostenuto i ribelli: Arabia Saudita, Turchia e Qatar», innanzitutto.