Orazio La Rocca per “La Repubblica – Edizione Roma”
JORGE MARIO BERGOGLIO A BUENOS AIRES
Papa Francesco nuovo “paladino” dei diritti dei rom. Una popolazione «troppo spesso costretta a rimanere ai margini della società, e troppe volte vista solo con ostilità e sospetto ». Il richiamo papale arriva nell’udienza ai partecipanti al simposio internazionale svolto in Vaticano su sinti e rom dal Pontificio consiglio dei migranti ed itineranti guidato dal cardinale- presidente Antonio Maria Vegliò, tra i primi a «condividere e a ringraziare il Santo Padre per quanto detto in difesa dei nomadi».
BERGOGLIO TRA I FEDELI A BUENOS AIRES
Nella sua denuncia, il Papa parla espressamente di atteggiamenti razzistici che troppe volte colpiscono i rom, anche tra i romani. E a questo proposito cita anche una sua esperienza quando negli anni passati veniva nella Capitale. «Mi ricordo tante volte qui a Roma — ha raccontato Bergoglio parlando a braccio — sul bus quando salivano alcuni zingari, l’autista diceva “guardate i portafogli”: questo è disprezzo per un’intera popolazione che è da sempre scarsamente coinvolta nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del territorio».
copertina IL MIO PAPA rivista mondadori su bergoglio
Pur precisando che «anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune, ma con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno. Senza integrazione gli zingari sono vittime di nuove schiavitù. E la mancanza di lavoro, di alloggi, e di scolarizzazione, oltre ad essere tra le prime voci disattese nella difesa dei diritti umani dei nomadi», secondo il pontefice possono solo creare nuove forme di ghettizzazione.
«Ringraziamo il Papa», commenta Djana Pavlovic, vice presidente della Federazione Roma e Sinti insieme, tra i primi ad elogiare il richiamo papale, ma con una precisazione: «Non per polemizzare, chiediamo al Pontefice di non utilizzare il termine zingari. Nessun dubbio, è ovvio, sulla volontà di usare questa parola con un’accezione positiva, ma noi preferiamo essere chiamati rom».
Per Pavlovic comunque «il Papa è da ringraziare perché ha sottolineato una situazione drammatica, riportata in tutti i rapporti sulle condizioni di vita del popolo rom e sinti, con una disoccupazione al 95%, un tasso di mortalità infantile elevatissimo e con il solo il 3% della popolazione rom che supera il 60esimo anno di vita».
Parole condivise da tutte quelle istituzioni, ecclesiali e laiche, che a Roma da anni sono impegnate in difesa dei nomadi, una presenza di circa 8 mila persone nei campi e di circa 3 mila nelle case. «Una sana politica di integrazione di rom e sinti passa inevitabilmente attraverso un radicale cambiamento della politica», sostiene monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana.
REGINA ELISABETTA PAPA FRANCESCO
«Non si può parlare di integrazione se, ad esempio, il Comune costringe 1200 nomadi ad andare oltre il Raccordo anulare in campi improvvisati senza servizi e collegamento — accusa monsignor Feroci — non ci può essere integrazione se si parla dei nomadi solo in termini di paure e di sicurezza, e si fa cadere la colpa di chi tra loro delinque su tutta una popolazione. Dimenticando che ladri e delinquenti purtroppo esistono ovunque, anche tra i politici. Occorre quindi cambiare approccio e politica pensando a dare loro lavoro, istruzione, case».
«Il Pontefice richiama giustamente sia istituzioni ecclesiastiche che civili ad essere più attente ai diritti dei Rom. Ma è un problema che riguarda anche altre categorie — ricorda Giulio Russo, presidente di Focus-Casa dei diritti sociali — come i senza casa e gli sfrattati».
«Il Papa ha difeso una popolazione disprezzata, poco amata, guardata con sospetto, vessata. Una popolazione nomade da sempre tra noi, ma costretta a nascondersi», ragiona Paolo Giani, da 25 anni responsabile degli aiuti a rom e sinti della Comunità di S. Egidio. «Tanti giurano di non essere razzisti, ma sui rom avvertono che esistono problemi e diffidenze. È un atteggiamento — sottolinea Giani — che nasce solo dalla mancanza di conoscenza del popolo nomade».