Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
«Bisagno è per me storia, gioia, dolore, resistenza», scriveva don Andrea Gallo in una email a Renzo Rosso, docente del Politecnico di Milano che gli chiedeva la prefazione al nuovo libro. Don Gallo è morto pochi mesi dopo, il 22 maggio 2013. Non ce l’ha fatta a scrivere la prefazione né a leggere «Bisagno. Il fiume nascosto» edito da Marsilio. E non ha visto l’ennesima alluvione. Oggi sarebbe in strada come tre anni fa, quando coi piedi nel fango disse: «Ora si deve spalare, dopo bisognerà riflettere. Nessuno può dire di avere la coscienza a posto».
TUTTI INCOLPEVOLI
Anche oggi sembrano tutti immacolati. Il sindaco dà la colpa alla Protezione civile per la mancata allerta, dimenticando che il suo Comune non ha un serio piano idrogeologico. Il governatore Burlando al «modello previsionale che non ha funzionato», dimenticando che la Regione ha dato un semplice avviso sul maltempo (non l’allerta) alle 10 di giovedì, rimandando a un aggiornamento delle 11 pubblicato con quattordici ore di ritardo, quando Antonio Campanella era già morto. Ed entrambi, con il premier Renzi e il ministro dell’Ambiente Galletti, a burocrazia e giudici che hanno impedito i salvifici lavori sul Bisagno, dimenticando che è anche loro la responsabilità del blocco dei lavori e che in ogni caso le opere di cui parlano non saranno risolutive.
I PRIMI PROGETTI
Il Bisagno è sempre stato pericoloso: nell’800 il ponte che congiungeva il centro storico con il Levante era definito Ponte Rotto e un’esondazione danneggiò le merci nei magazzini del porto. C’erano meno case e molti orti lungo il fiume: le contadine che andavano a vendere al mercato di via XX Settembre, allagato giovedì, erano le «besagnine». Le chiamano ancora così, anche se gli orti sono scomparsi e i pomodori arrivano dal Marocco.
Nel 1906 il Comune incaricò Gaudenzio Fantoli, docente del Politecnico di Milano, di tombare il Bisagno per consentire lo sviluppo urbano a Est. Rimasto nel cassetto per mancanza di soldi, il progetto fu ripescato nel 1928: il fascismo voleva una piazza monumentale. In quattro anni l’ultimo chilometro del fiume fu coperto da piazza della Vittoria. E così oggi appare nelle mappe: una linea blu che scompare all’altezza della stazione Brignole, infilandosi in un tubo di cemento largo 60 metri e alto 4 che lo conduce in mare.
L’emergenza
MARCO DORIA INSIEME A DON ANDREA GALLO
In quel punto, il Bisagno è esondato nel 1948, 1954, 1970, 1992, 2011, 2014. Il progetto di Fantoli stimava una portata massima di 500 metri cubi al secondo; oggi è quasi tre volte tanto. Quando piove molto, l’acqua che entra nel tubo è più di quella che esce: a un certo punto, inevitabilmente, un’onda di riflusso esplode e allaga la città.
Nel 1970 si contarono 44 morti, il Bisagno era una «tonnara di passanti», immagine scolpita da De Andrè nella struggente canzone «Dolcenera». Un anno dopo, un altro insigne docente di idraulica, Enrico Marchi, progettò il canale scolmatore (8 chilometri interrati, portata 1250 metri cubi al secondo), per dare sfogo al torrente. Costava 125 miliardi di lire (oggi otto volte di più).
Non se ne fece nulla allora e non se ne fa nulla oggi, ripiegando su un’opera più economica: il rifacimento della copertura del fiume, assottigliando la soletta (calcestruzzo compresso anziché cemento armato). Secondo Franco Siccardi, allievo di Marchi e docente a Genova, «una volta completati i lavori, la portata salirebbe a 900 metri cubi e le inondazioni diventerebbero più rare. Quella del ’92 sarebbe stata evitata, quelle del 2011 e dell’altra sera no».
Questi sono i lavori di cui parlano Doria, Burlando, Galletti, Renzi. Sono stati divisi in tre lotti. Il progetto è del 2003. Il primo lotto viene finito nel 2009 e il secondo nel 2011, aumentando la portata a 600 metri cubi. Il terzo lotto da 35 milioni di euro viene bandito dopo l’alluvione del 2011 con procedure semplificate. Sedici imprese partecipano alla gara, cinque fanno ricorso. Appalto aggiudicato nel marzo 2012; nel febbraio 2013 il Tar Liguria giudica la gara illegittima; nel gennaio 2014 il Consiglio di Stato annulla la sentenza perché il tribunale ligure è incompetente; infine nel luglio 2014 il Tar Lazio conferma la validità dell’appalto.
Tempo perso
Doria, Burlando, Galletti e Renzi imputano a questo valzer giudiziario il blocco dei lavori. Ma né Tar né Consiglio di Stato hanno mai concesso ai ricorrenti la famigerata sospensione cautelare dell’appalto, che rallenta i lavori. Dunque il blocco del cantiere è dovuto ai ricorsi giudiziari solo tra la sentenza del Tar Liguria e quella del Consiglio di Stato: 11 mesi. Ma prima e dopo, 20 mesi, si poteva lavorare. Tanto che la ditta vincitrice inviava lettere e diffide (almeno sette) a tutte le autorità, romane e genovesi, chiedendo le chiavi del cantiere. Nessuna risposta ufficiale. Anche dopo l’ultima sentenza favorevole, tre mesi fa, all’azienda è stato detto, in via informale, che era necessario attendere le motivazioni.
Due settimane fa, il professor Siccardi ha partecipato a Madrid a un convegno sul rischio idrogeologico. Tema della sua relazione: il caso Bisagno. Ieri ha pubblicato sul web una lettera aperta alle autorità: «Sono indignato da questo ignobile scaricabarile». Negli ultimi concerti, De Andrè spiegava che «Dolcenera», melodia di un uomo travolto dall’amore idealizzato e dal Bisagno infuriato, celava in realtà la metafora di un potere accecato.