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UN BOSS ALLO SPECCHIO – TOTÒ RIINA SI RACCONTA AL COMPAGNO DI PRIGIONE: “SONO ANCORA RICCHISSIMO” (AMMINISTRATORE MESSINA DENARO) – E DI WOJTYLA DICE: “ERA CATTIVO, ERA UN CARABINIERE, VOLEVA FARCI PENTIRE TUTTI. MA NOI SIAMO GENTE EDUCATA”
Salvo Palazzolo per “la Repubblica”
Solo per un momento, mentre pedala sulla cyclette, dice di pensare alla vecchiaia e alla morte. Ma è solo un momento. Poi, torna baldanzoso, commentando l’ultimo programma visto in Tv: «Quel papa polacco era proprio cattivo, era un carabiniere, voleva farci pentire tutti. Ma noi siamo gente educata». All’epoca, nel settembre dell’anno scorso, Papa Francesco non aveva ancora rilanciato l’anatema contro le cosche pronunciato da Giovanni Paolo II ad Agrigento.
E dunque Riina diceva: «Invece questo papa è buono, è troppo bravo ». E il suo compagno di ora d’aria, il pugliese Alberto Lorusso, annuiva. In attesa di un altro racconto sui misteri della mafia siciliana. L’ultimo che è finito nelle intercettazioni disposte dai pm di Palermo non riguarda però il passato, è storia attualissima: «Se recupero pure un terzo di quello che ho, sono sempre ricco», sussurra il padrino di Corleone, che non sembra affatto fiaccato da vent’anni al carcere duro. Anzi, sembra avere ancora contatti con l’esterno, tramite i familiari.
«Io ho delle proprietà — dice a Lorusso il 4 settembre 2013 — queste proprietà metà sono divise ogni mese, ogni mese ci vanno... perché? Perché sanno che è mio nipote... queste proprietà sono mie e di mio nipote, metà mia e metà di mio nipote ». Dove sono le proprietà che lo Stato non è ancora riuscito a sequestrare al capo dei capi? Riina si vanta di poter contare su un manager d’eccezione per gestire i suoi beni: «Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro». Ovvero, il superlatitante condannato all’ergastolo per le stragi del 1993, imprendibile da vent’anni. Riina loda le capacità del suo fidato, ma si lamenta perché da tempo non ha sue notizie: «Però che cosa fa per ora questo Messina Denaro che non so più niente?».
Così, negli ultimi mesi, le intercettazioni di Riina disposte dal pool “trattativa” si sono intrecciate con le indagini sulla primula rossa di Castelvetrano, coordinate dal procuratore
aggiunto Teresa Principato. Riina parla di un patrimonio ingente ancora a disposizione dei suoi familiari: «Io investivo da far tremare i muri. La città tremava... picciotti io prendevo, prendevo ed investivo magazzini a questo, magazzini a quello ». E ora è nuovamente caccia al tesoro di Riina, fra Palermo e Corleone. Caccia agli insospettabili prestanome che non sono stati mai smascherati. Per Totò Riina è l’ennesimo vanto: «La svegliatezza mia è un fenomeno. Sono troppo sveglio, è una materia che tutti non la possono avere».
Naturalmente, Riina resta comunque preoccupato per l’evolversi delle indagini. È per questo motivo che invoca una riforma della giustizia, a modo suo. «Contro la dittatura assoluta di questa magistratura», spiega a Lorusso.
Dice che le sue speranze erano tutte riposte in Berlusconi. «Aveva il 66 per cento, doveva mandare alla fucilazione i magistrati». Il padrino di Corleone non riesce a darsi pace: «Però in qualche modo mi cercava, si mise a cercarmi. Poi mi ha mandato a questo, per incontrarmi. E mi cercava». Il riferimento, ancora una volta, è all’ex senatore Marcello Dell’Utri.
Nei dialoghi intercettati, dall’agosto al novembre 2013, Riina si attribuisce omicidi, le stragi Falcone e Borsellino, trame e complicità. Solo per un delitto si tira indietro, chiamando piuttosto in causa il suo complice di sempre, Bernardo Provenzano: il delitto del giornalista Beppe Alfano, il corrispondente del quotidiano “La Sicilia” ucciso a Barcellona Pozzo di Gozzo l’8 gennaio 1993.
«Arrivò u scimunitu — dice Riina riferendosi a Provenzano — questo è veramente scimunito. E l’hanno fatto ammazzare… non mi piace questa canzone». Riina parla di «latitanti nella zona di Messina», Alfano aveva scoperto che nella sua città si nascondeva Leoluca Bagarella. Le parole di Riina restano misteriose.
Ora, il padrino pensa alla successione. «Mio padre era una persona perbene, non era un delinquente. Io già a vent’anni parlavo con persone… li pesavo tutti. Questa personalità mi venne da solo… potrebbe succedere che un altro… io spero in questi giovani. Ma al presente non ce n’è… i giovani hanno bisogno di pezzi grossi».
Le parole di Riina sono materia preziosa per entrare nella mente dei mafiosi, vecchi e nuovi. «Intanto, io ho fatto il mio dovere. Ma continuate, continuate. Non dico magari tutti, ma divertitevi». Ed elogia tutti i criminali: «Oggi la capitale del crimine è Milano». A Riina piacciono anche gli scafisti del Canale di Sicilia: «Si guadagnano il pane». ( s. p.)