BRIVIDO FELINO – PERCHE’ IL GATTO NON SARÀ MAI UN ANIMALE DOMESTICO: ANCHE SE VIVE NELLE NOSTRE CASE È RIMASTO UN GRANDE CACCIATORE COME I SUOI ANTENATI SELVATICI
Razih Khan* per “The New York Times” pubblicato da “la Repubblica” (traduzione di Anna Bissanti)
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È un luogo comune chiamare i nostri gatti “animali domestici”, da compagnia. Chiunque condivida la propria vita con un gatto, però, potrà dirvi che, a prescindere da quanto noi si possa voler decidere il momento in cui dar loro da mangiare al mattino o farli rientrare in casa la sera, i gatti sono addomesticati soltanto in parte.
I probabili antenati del cane domestico risalgono a oltre trentamila anni fa. Nel caso degli antenati del gatto, invece, si reperiscono tracce fossili risalenti a soli 9.500 anni fa. Un primo sequenziamento del patrimonio genetico del gatto domestico è stato completato nel 2007, ma un recente studio al quale ho preso parte ha messo a confronto il genoma del gatto domestico e del gatto selvatico (Felis silvestris), e ha gettato nuova luce sugli ultimi diecimila anni di adattamento dei felini.
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I gatti domestici non sono soltanto gatti selvatici che tollerano gli esseri umani in cambio di pasti regolari: rispetto a quelli selvatici e ai loro stessi corpi hanno crani di dimensioni minori, ed è risaputo che si riuniscono in colonie. Rispetto ai cani, però, i gatti hanno una gamma molto ristretta di variazioni in termini di dimensioni e forme.
Wesley C. Warren, uno degli autori dello studio, fa notare che i gatti domestici hanno eccellenti doti di cacciatori come i loro antenati selvatici. Anche questo avalla il concetto che i gatti sono addomesticati soltanto in parte. Il confronto tra i genomi del gatto selvatico e del gatto domestico ha portato molte conferme a ciò che già sapevamo.
Micheal J. Montague, autore principale della ricerca, mi ha detto di aver avvertito subito che i due genomi sarebbero stati assai simili, ma il nostro studio in realtà ha evidenziato una serie specifica di differenze nei geni coinvolti nello sviluppo neuronale. Questo adattamento cerebrale potrebbe spiegare perché i gatti domestici sono docili.
Gli studiosi da tempo avevano osservato che le specie domestiche sfoggiano una serie di tratti somatici simili in modo strabiliante, dalle orecchie flosce a cervelli più piccoli rispetto ai loro antenati selvatici. Il processo di addomesticamento può aver selezionato alcuni tratti simili codificati da cambiamenti genetici (quali i cervelli di minori dimensioni), ma questi possono produrre quelli che noi consideriamo effetti secondari (per esempio le orecchie flosce).
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Una volta che hanno iniziato a vivere tra di noi, i gatti non hanno più avuto bisogno di pensare a come restare in vita, né hanno più avuto bisogno di grandi mascelle dopo che abbiamo iniziato a nutrirli con gli avanzi delle nostre cucine. Da qui i loro crani più piccoli.
La stessa dinamica è comprovata nei cani: nei test di intelligenza i lupi superano i cani.
Il zoologo Konrad Z. Lorenz, premio Nobel, una volta avanzò l’idea che gli uomini sono stati sottoposti alle medesime dinamiche di addomesticamento. I nostri cervelli e le dimensioni dei nostri corpi raggiunsero il massimo della grandezza verso la fine dell’ultima epoca glaciale, per poi diminuire con il diffondersi dell’agricoltura.
Invece di analizzare attentamente i pochi resti fossili, possiamo studiare gli schemi delle variazioni intervenute in decine di migliaia di individui viventi. La genomica ormai ci fornisce le prove che gli esseri umani sono stati sottoposti a un’enorme selezione naturale nel corso degli ultimi diecimila anni.
Uno splendido esempio è quello dei tibetani, i cui antenati evidentemente assorbirono piccole porzioni del genoma di antichi parenti dell’uomo che si erano adattati a vivere ad altitudini elevate. In realtà, l’idea che siamo qualcosa di separato rispetto alla natura, che possiamo domare e sfruttare, è un approccio ormai superato.
Un’interpretazione più utile è quella secondo la quale negli ultimi diecimila anni gli esseri umani hanno plasmato il loro stesso ecosistema. Noi siamo parte a tutti gli effetti di un processo naturale che ha trasformato il paesaggio stesso. In quest’ottica, possiamo pensare al gatto domestico come a una risposta ecologica all’improvvisa diffusione di parassiti (i roditori attirati dalle prime scorte di cereali dei primi uomini del Neolitico). Le stesse forze che hanno riconfigurato i genomi dei nostri animali domestici hanno riconfigurato il nostro.
Non più nomadi, riuniti in piccole bande che si sostentavano di selvaggina e piante crude, ci stabilimmo in piccoli villaggi e di anno in anno abbiamo mietuto i medesimi raccolti. Per millenni, gli agricoltori si sono nutriti di quello che oggi chiameremmo porridge, di ogni tipo. I nostri denti sono diventati più piccoli, e in verità sia i cani sia gli esseri umani portano tracce evidenti del loro adattamento a regimi alimentari a base di amidacei.
Molti di noi considerano il rapporto con i propri animali domestici analogo a quella che si instaura tra genitore e figlio. La storia naturale, invece, ci racconta una storia più pragmatica. I gatti sono apparsi nell’ambito di profondi cambiamenti ecologici nel paesaggio postglaciale plasmato e modificato dagli uomini.
Fummo noi, quindi, gli autori di quei cambiamenti, ma mentre ci raccontavamo questa storia noi stessi ne siamo diventati protagonisti. Una delle fasi fondamentali del processo di autoconoscenza, che ci porta a decidere in quale direzione andare, è guardarci attorno e prendere nota di come abbiamo plasmato coloro che ci erano più vicini. E di come loro hanno plasmato noi.
* L’autore è ricercatore di genomica all’Università della California, Davis