Sara Gandolfi per il Corriere della Sera
Il team degli Humboldt Broncos viaggiava sulla Highway 35, il termometro segnava -20°, la strada era ghiacciata, la pianura intorno sepolta dalla neve. Quattordici persone, allenatore e giocatori di una squadra di hockey giovanile, sono morte venerdì in Canada quando il loro pullman è stato investito lateralmente da un camion. Altri quindici sono in ospedale.
Erano quasi arrivati a destinazione, a Nipawin, dove avrebbero giocato il quinto game dei playoff; lo schianto si è portato via le vite di quei ragazzi, fra i sedici e vent' anni, che forse sognavano un futuro di gloria in un college americano o nella National League. «Non riesco a immaginare cosa stiano passando i genitori, il mio cuore è vicino a tutti coloro che sono stati colpiti da questa tremenda tragedia», ha twittato il premier canadese Justin Trudeau.
Humboldt è un placido paesotto agricolo di cinquemila abitanti, adagiato nella grande prateria di Saskatchewan.
E' lontano oltre 7.000 chilometri dall' Italia. Eppure la notizia di quei corpi fra le lamiere di un pullman sventrato è anche nostra. Come ha scritto Heather Persson sul giornale locale, il Saskatoon StarPhoenix , «il dolore dei sopravvissuti, delle famiglie e degli amici è inimmaginabile, ma molti stanno facendo proprio questo: pensare quella sofferenza. Mettersi nei loro panni è questione di un attimo».
Venerdì, nella notte, sono iniziati ad arrivare i dettagli via twitter. La sorella dell' allenatore dei Broncos, Darcy Haugan, ha annunciato: «Mio fratello non ce l' ha fatta ...».
Poi la conferma che 14 dei 29 occupanti del bus erano morti, tra cui il capitano della squadra, il ventenne Logan Schatz. Da Humboldt quella sensazione di perdita insopportabile si è diffusa rapidissima in tutto il Canada, ed oltrefrontiera negli Stati Uniti - perfino il Wall Street Journal ha scritto commosso di quei giovani e Trump ha twittato le condoglianze - e poi più lontano, sino in Europa.
Una squadra sportiva è stata annientata. Ricorda la tragedia di Superga del 1949, quando l' aereo con a bordo i calciatori del Grande Torino si schiantò contro il muraglione della basilica. Morirono in 31.
E due anni fa in Colombia, un jet precipitò con tutta la squadra Chapecoense della serie A brasiliana: 71 vittime. Stavolta, però, è diverso. Torna in mente l' incidente stradale che nel 2016 in Catalogna cancellò il futuro di 13 studentesse del programma Erasmus, fra cui sette italiane. Il peggior incubo per milioni di genitori.
Viaggiavano per conoscere l' Europa, in Canada per sport.
Quante mamme e quanti papà affidano i propri figli ad un «coach», anche in Italia, e li salutano mentre salgono sul pullman che li porta all' ennesima partita. Qui è il calcio e in misura minore basket, pallavolo, atletica. In Canada è soprattutto l' hockey, lo sport che unisce una nazione. La trafila, però, non cambia: in casa si lavano le divise, si prepara la sacca, si fanno le raccomandazioni di rito e via, il figlio è «on the road». Poi si cerca di non pensare a quello che potrebbe capitargli lontano dal nido. In Canada è anche peggio: le distanze sono enormi, le condizioni meteo difficili. Ma il campionato non si ferma per un po' di ghiaccio sulla strada. Lo stesso ghiaccio che quei ragazzi dominano giocando.
Michelle Straschnitzki è riuscita a parlare al telefono con il figlio Ryan, 18 anni: «È in ospedale, non sente più le estremità. Sto impazzendo».
Tanti genitori ieri hanno ricordato le ore trascorse sugli spalti di un palazzetto. A fare il tifo, a tenere il fiato sospeso per quel punto in più che non entra, ad annoiarsi perfino. I Broncos erano ragazzoni forti e in salute. È bastato un attimo di disattenzione.