1 - EMANUELE, 20 ANNI, DIFENDE LA FIDANZATA LO CIRCONDANO: UCCISO A CALCI E PUGNI
Rinaldo Frignani per il “Corriere della sera”
Chi gli ha dato il colpo di grazia con la spranga - o più probabilmente con un cric - potrebbe essere italiano. Un giovane forse di Alatri, o di un paese vicino, proprio come il povero Emanuele, già pianto senza speranza ancor prima di morire, quando era attaccato a una macchina per sopravvivere, da tutta Tecchiena, paesino in provincia di Frosinone. E proprio un ragazzo è stato portato in caserma ieri notte per essere ascoltato.
Il presunto killer e altri otto coetanei sono rimasti fino a notte fonda nella caserma dei carabinieri sotto interrogatorio. Erano già stati ascoltati sabato, 24 ore dopo il pestaggio dell' operaio ventenne, preso di mira da un albanese in una discoteca di piazza Regina Margherita per aver difeso la sua fidanzata da avances sempre più spinte. Gli investigatori dell' Arma avevano interrogato i nove e li avevano rilasciati, ma poi ieri - sulla base di altri indizi raccolti nel corso di una frenetica giornata di sopralluoghi e accertamenti tecnici - li hanno riconvocati in ufficio. Adesso rischiano di essere arrestati tutti per concorso in omicidio volontario.
LA DISCOTECA DOVE E STATO UCCISO EMANUELE MORGANTI
Per quasi 48 ore la vita di Emanuele Morganti è rimasta appesa a un filo nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Umberto I di Roma, poi ieri sera la tragica notizia del decesso. Da venerdì notte i medici monitoravano la sua situazione. Lo avevano anche sottoposto a un intervento chirurgico. Ma i risultati non avevano dato gli esiti sperati: i troppi colpi, violentissimi, avevano devastato la testa e il volto del ventenne, provocato fratture craniche e cervicali, al punto da renderlo quasi irriconoscibile. Tanto da far pensare a qualche suo amico intervenuto dopo l' aggressione che in realtà il giovane fosse stato travolto da un'auto. Ma non era così.
La verità è che una furia inimmaginabile si è abbattuta sull' operaio che venerdì sera, con la fidanzata e un gruppetto di amici, aveva deciso di trascorrere qualche ora al Mirò ad ascoltare musica. Un locale - ora sotto sequestro - dove anche i buttafuori erano albanesi e non si esclude che proprio loro abbiano avuto un ruolo nell' orribile fine del ventenne.
Emanuele - che viveva con i genitori e aveva un fratello e una sorella - non è stato coinvolto in una rissa. Ha solo reagito quando uno dei clienti, sotto l'effetto dell' alcol, ha provocato la sua ragazza.
Ma gli addetti alla sicurezza avrebbero preso le difese dell' ubriaco e non della coppietta. Anzi, Emanuele sarebbe stato sbattuto fuori, inseguito sulla piazza, scaraventato a terra dagli amici dell'albanese, ai quali si sarebbero aggiunti altri giovani avventori. Nessuno sarebbe intervenuto in sua difesa. I carabinieri, coordinati dal pm Vittorio Misiti della Procura di Frosinone, stanno cercando di ricostruire cosa sia avvenuto in quei momenti.
Erano le 4 di notte e al pestaggio ha assistito anche la fidanzata e qualche amico del ragazzo sul quale si sono abbattuti calci e pugni. Poi è comparsa la chiave inglese, prima lanciata dall' uscita della discoteca contro il ventenne in fuga, quindi usata contro Emanuele, ormai privo di forze, con il volto sanguinante e gli indumenti strappati. Due, tre colpi per finirlo. Il corpo sarebbe stato anche trascinato sull'asfalto, come fosse un trofeo. Un film dell' orrore, una mattanza, con la gente che si voltava dall' altra parte, nel buio della piazza principale di Alatri. Quindi il fuggi fuggi, prima dell' arrivo dei carabinieri e di un' ambulanza.
2 - LO CHOC DI KETTY CHE L' HA VISTO MORIRE: «ERA LA PRIMA USCITA CON L' AUTO DEL PADRE»
Virginia Piccolillo per il “Corriere della sera”
Ketty, la fidanzata, lo ha visto morire. Ora è sotto choc. A un' amica che era con lei venerdì notte al Mirò ripete: «Era la prima volta che Emanuele prendeva la macchina del padre. Ci teneva così tanto. Era tornato dal lavoro, aveva fatto la doccia ed eravamo andati in discoteca. Volevamo solo passare un venerdì sera con la musica e gli amici. Perché è successo? Cosa è successo? Perché l' hanno ammazzato? Perché non li hanno fermati?».
Tecchiena, il paese di Emanuele, è minuscolo. La piazzetta dove, attoniti, gli amici lo piangono, è poco più di un parcheggio. Ma il dolore è enorme. I suoi amici ce l' hanno ancora davanti agli occhi quel viso «che non si riconosceva dalle botte che gli avevano dato. Forse l' hanno massacrato in 30, e uno solo lo ha difeso», dicono inferociti.
ALATRI - LA MORTE DI EMANUELE MORGANTI
«C'ero. Ho visto tutto. L' ho visto ammazzare e per tutta la vita avrò il rimorso di non essere riuscita a fare niente». È una ragazzina semplice, con le mani nascoste nelle maniche del maglione e i capelli raccolti, la testimone ascoltata per ore dai carabinieri di Alatri. Lei sa bene com' è andata. È rabbiosa contro i tg che hanno parlato di Emanuele «come una testa calda che quasi quasi se l' è cercata: ma come si fa a dire una cosa così? Stava solo passando una serata con gli amici e la sua ragazza. Non aveva fatto niente».
La giovane non sa il nome dell'albanese che si è avvicinato per fare apprezzamenti a Ketty. Ma sia lei, sia il gruppetto di amici, che con gli occhi lucidi e la testa bassa non si danno pace, denunciano: «È stato l' unico a non essere stato nemmeno sentito dai carabinieri. Non sanno nemmeno dove sia, se n'è già andato». E la rissa? «Ma quale rissa? Non c' è stata una rissa, era lui da solo. È stato preso dai buttafuori, ma non lo hanno buttato fuori. L' hanno rincorso».
I bodyguard? «Sì, lo hanno picchiato fuori dalla discoteca». Un ragazzo alto e dinoccolato si avvicina e assicura: «Quelli non dovevano proprio lavorare, hanno precedenti penali. È brutta gente. Loro e gli altri». Gli altri chi? Tutti albanesi? «No, gli italiani. Quello che gli ha sfondato la testa con una spranga, quello che lo ha ammazzato, è un italiano. Emanuele era un ragazzino normale, sempre sorridente, che è stato massacrato di botte e mentre era a terra moribondo ancora gli davano calci. E chi l' ha ammazzato già sta fuori dalla caserma».
«Quello che lo ha ucciso è un italiano - ripete la prima testimone - e non è nemmeno la prima volta che lo fa: io stessa un giorno in una stradina me lo sono trovato davanti con una spranga». Gli altri annuiscono, convinti e indignati. «Sembrava che gli fosse passato sopra un camion». Ma dalla discoteca nessuno ha sentito niente? «Tutti», assicurano le due ragazze. «Tutti hanno visto tutto.
E non sono intervenuti. Tutti sono colpevoli. Emanuele è stato ucciso da Alatri».
3 - "SEMBRAVANO BESTIE" E TRA I RAGAZZI DEL PAESE ORA SI INVOCA LA VENDETTA
Corrado Zunino per “la Repubblica”
La fiaccolata per ricordare l' amico Emanuele, 20 anni, finito con un palo che gli ha sfondato il cranio - era un dissuasore di parcheggio, l' hanno trovato all' esterno del Miro Music Club - è stata rinviata. Troppa rabbia ad Alatri: messaggi di vendetta su Facebook, rancorose minacce da sedare. «Ci vuole una giustizia esemplare».
Si dice, si legge. Non sarà prima della prossima settimana, la fiaccolata in piazza Santa Maria Maggiore, centro di vita e di parole di un altro paese in pietra dell' Italia centrale. A guardare il portone marrone del Miro ora sequestrato, piazza Regina Margherita, una breve discesa verso il Tribunale distaccato di Alatri (il palazzo di giustizia si apre proprio di fronte al luogo del delitto), amici turbati, arrabbiati. Un pellegrinaggio fino a notte. Vive da anni, il ritrovo.
È un riferimento storico per i ragazzi di qui e di questa provincia. Lo scorso autunno il Miro Music Club aveva cambiato gestione, ed erano iniziati i problemi. Cinque buttafuori per un locale neppure grande, quattro albanesi, un italiano (lui di Ceccano). Ora i carabinieri cercano anche da loro la testimonianza che riveli chi ha massacrato un ragazzo di vent'anni.
Ricostruendo la storia del locale iscritto al sistema Arci, apprezzato per l'estetica, la scelta musicale tendente al rock, gli investigatori hanno rintracciato un recente episodio di sopraffazione avvenuto all'interno: un giovane di zona che, diverse settimane fa, invita gli amici a bere per festeggiare l'acquisto di un'auto nuova, i brindisi che si alzano al cielo troppo chiassosi e un buttafuori che decide di placare il clima con una violenza inusitata.
Marco, anche lui 20 anni, era fuori dal Miro la notte tra venerdì e sabato quando Emanuele è stato colpito brutalmente. Ha ancora graffi sul mento, due ferite profonde sul collo. Dice: «Si è accesa una rissa, venticinque persone, poi ho visto Emanuele a terra e qualcuno accanirsi su di lui. Chi? L'ho detto ai carabinieri».
Lavinia, in lacrime: «Voglio sapere la verità, tutta la verità, è stato un pestaggio da bestie».
L'agonia di Emanuele Morganti al Policlinico di Roma, dove è stato trasportato già gravissimo, è durata 36 ore. Il decesso clinico i medici lo hanno dichiarato ieri pomeriggio e i genitori hanno autorizzato l' espianto degli organi.
La famiglia abita in uno stabile a Casette di Tecchiena, paese allungato per due chilometri lungo la provinciale che la separa da Alatri. Emanuele viveva con la madre, in questo periodo sempre in casa. Papà nello stesso palazzo, ma in un altro appartamento. Il fratello e la sorella si erano allontanati da Tecchiena. Emanuele era iscritto all'università, ma aveva trovato da poco un lavoro in un' azienda a Frosinone.
Avrebbe scelto più avanti se continuare gli studi. Al bar di Tecchiena, l'unico, davanti al parco giochi, lo ricordano così: «Un bravo ragazzo, aperto e socievole. Veniva spesso con la fidanzata». Nessuno rammenta un problema, quando ascolta il nome di Emanuele. Le divisioni per gruppi, tra i ragazzi di Alatri? «Ormai è quotidiano vedere giovani italiani con giovani albanesi e romeni. Sono venuti qui a lavorare o sono figli di lavoratori inseriti nella città. L'integrazione è un dato di fatto, da anni».
Il consigliere comunale Roberto Addesse ieri ha rivolto un appello al sindaco e ad Alatri tutta: «Gli umori in queste ore sono pesanti, le parole che si ascoltano fanno paura. La nostra è una città di pace, che non ha mai conosciuto aggressioni di questo genere. Bisogna restare calmi, lasciare lavorare la magistratura, comprendere le verità e poi, più avanti, salutare un membro di questa comunità che non avrebbe mai voluto vendette».