LA COSCIENZA PESA – L’EX PM CHE CONDANNO’ ENZO TORTORA SI DIMETTE DA ASSESSORE A POMPEI – “DOPO 30 ANNI C’È ANCORA TROPPA RABBIA E SI DIMENTICANO GLI ALTRI PROCESSI”
Antonio E. Piedimonte per “La Stampa”
Dopo due mesi di querelle Diego Marmo ha lasciato l’incarico di assessore alla Legalità a Pompei. «Quarant’anni di carriera e alla fine tutto si riduce sempre a un solo episodio, a un unico processo, a quella vicenda per quanto grave sia stata, tutto il resto non esiste».
L’amarezza avvolge come un malessere le parole dell’ex procuratore capo di Torre
Annunziata quando si rende conto che anche questa intervista dovrà necessariamente partire da lontano, anno 1985, quando Enzo Tortora fu condannato a dieci anni di galera sulla base delle false dichiarazioni di 11 pentiti di camorra (poi, come è noto, il presentatore sarà scagionato con formula piena). ?Il 77enne magistrato napoletano, oggi in pensione, era il pm di quel processo che segnò la storia della giustizia, una ferita mai rimarginata che si riapre ad ogni occasione. L’ultima è stata il suo ingresso nella giunta vesuviana guidata dal sindaco Ferdinando Uliano, decisione che ha provocato dure reazioni.
«Sì, hanno pesato, ma non mi sono dimesso per quelle - spiega Marmo - ma perché si è deciso che avrebbe avuto più senso affidarmi l’incarico di direttore dell’Osservatorio sulla legalità». Ma le polemiche sono state pesanti, compreso un intervento dell’ex compagna di Tortora, Francesca Scopelliti, la stessa che aveva rimandato al mittente le scuse dell’ex pm (evento senza precedenti) perché considerate tardive.
Marmo sospira: «Io davvero non capisco, sono passati trent’anni e c’è ancora una rabbia che pare inestinguibile. Ho detto che su Tortora mi ero sbagliato, che si è trattato di un errore in buona fede, e dopo anni di sofferto silenzio ho anche chiesto scusa (e per questo è stato violentemente attaccato da altri magistrati, ndr)». ?La popolarità di Tortora e la sua prematura fine (si spense un anno dopo l’assoluzione, segnato dal carcere e dall’infamia delle accuse) hanno fissato quella vicenda nell’immaginario collettivo degli italiani, insieme pure a certi sgradevoli eccessi nella requisitoria finale («provocati dalla foga») e alle immagini delle manette in primo piano.
Enzo Tortora con le figlie Silvia a sinistra e Gaia
«Guardi, io nemmeno avevo partecipato all’istruttoria, dunque con quella cosa delle manette non c’entro, eppure mi considerano corresponsabile di quella “sfilata”. Non scarico la colpa su altri, intendiamoci». Nel processo all’ideatore di «Portobello» (e agli altri) ebbero un ruolo importante anche i due sostituti procuratori Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, il giudice istruttore Giorgio Fontana e il presidente Luigi Sansone, che firmerà la monumentale sentenza in 6 volumi. E va pure detto che all’inizio i «dubbiosi» e i «colpevolisti» furono tanti, compresa qualche grande firma del giornalismo.
Erano anni complicati, segnati dal potere di Raffaele Cutolo e dalle sue mai del tutto chiarite diramazioni politiche. Era la stagione della prima grande mattanza tra clan ed erano pure gli anni di piombo. «Sono stato protagonista - ricorda Marmo - di processi come quello ai Primi fuochi di Guerriglia e quello contro i brigatisti che avevano ucciso l’assessore Amato. Fui minacciato, vivevamo sotto scorta, con i mitra degli uomini della scorta appoggiati in salotto e i bambini che temevano potessi morire, eppure…». Eppure?
«Nessuno ricorda, nemmeno gli altri processi, come quello alle cooperative degli ex detenuti o le iniziative considerati rilevanti». Ce ne dica una. «Gliene dico due. La confisca dei beni alla criminalità, per dire: tolsi io la famosa villa a Schiavone». L’altra? «Feci creare la sezione Tutela delle fasce deboli al tribunale di Napoli, per i bambini e le donne vittime di abusi». ?Potrebbe abbandonare tutto, Marmo, ma non ci sta: «Questa è la mia terra e se qualcuno mi chiede di dare una mano… Con l’Osservatorio saremo al fianco delle vittime della camorra», è l’ultima appassionata replica.