Gian Guido Vecchi per “Il Corriere della Sera”
È quando Francesco, d’improvviso, s’inchina profondamente davanti a Bartolomeo I, fino a sfiorargli la barba bianca con lo zucchetto, che si capisce come la forza dei gesti possa magari riuscire dove i teologi d’Oriente e d’Occidente si sono incartati per quasi mille anni, dallo scisma del 1054. Il Papa mormora «vi chiedo di benedire me e la Chiesa di Roma» e il Patriarca ortodosso di Costantinopoli posa una mano sulla testa di Bergoglio e gli bacia il capo. Il successore di Pietro e il successore del fratello Andrea, «primo tra pari» delle chiese ortodosse, hanno appena concluso la «preghiera ecumenica» nella chiesa del Patriarcato.
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Sono i gesti, prima delle parole, a segnare la seconda giornata in Turchia del Papa. Al mattino sorvola il Bosforo e atterra ad Istanbul, passa dall’Asia all’Europa e riprende subito il filo di quel «dialogo interreligioso e interculturale» con l’Islam invocato ad Ankara per «bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo». Francesco chiedeva «coraggio e creatività». Così per prima cosa va alla «Moschea blu» — un anticipo sul programma, per rispettare l’ora della preghiera musulmana — si toglie le scarpe, alza lo sguardo ammirato alla meraviglia architettonica e infine sosta davanti al mihrab che indica la direzione della Mecca e riporta un versetto del Corano su Maria: scalzo, il capo chino, gli occhi chiusi, le mani intrecciate sotto la Croce pastorale, il pontefice resta raccolto per tre lunghissimi minuti, come già fece Benedetto XVI nel 2006, accanto al Gran Mufti che prega con i palmi levati.
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Non una preghiera comune, naturalmente. Del resto padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, evita di parlare di «preghiera» del Papa — il gesto di Ratzinger fu seguito da discussioni e polemiche — e la definisce a scanso di «incomprensioni» una «adorazione silenziosa». Ma certo è un segno che «il dialogo va avanti», per due volte Francesco ha detto al Gran Mufti: «Dobbiamo adorare Dio. Non solo bisogna lodarlo e glorificarlo, ma dobbiamo adorarlo». Il religioso musulmano gli parla di un versetto del Corano che definisce Dio «amore e giustizia», sorridendo a Francesco: «Su questo siamo d’accordo». E il Papa, di rimando: «Certamente siamo d’accordo».
Quando visita Santa Sofia — costruita da Giustiniano nel VI secolo, divenuta moschea dopo la caduta di Costantinopoli del 1453 e infine trasformata in museo da Atatürk —, Francesco scrive in greco sul libro d’oro dei visitatori «Santa Sapienza di Dio»: il nome della basilica.
Oggi il Papa assisterà alla «divina liturgia» ortodossa per la festa di sant’Andrea. È significativo che Bartolomeo gli abbia ripetuto la stessa espressione che Bergoglio disse appena eletto: la Chiesa di Roma «presiede nella carità» tutte le chiese. Lo scisma sarà ricomposto solo da un accordo sul modo di intendere il «primato» del vescovo di Roma. «In tempi difficili per l’umanità e il mondo», dice il Patriarca, si tratta di «fare la volontà di Dio». E Francesco, nella messa con i cattolici: «Dobbiamo compiere l’unità tra i credenti, abbandonare uno stile difensivo per lasciarci condurre dallo Spirito».