DALLA DOLCE VITA ALLA TRUCE MAFIA - BLITZ CONTRO IL CLAN DEI RINZIVILLO – LE ESTORSIONI E LE MINACCE AL PROPRIETARIO DI UN NOTO LOCALE DI VIA VENETO - “IL MONDO È CORROTTO E RESTERÀ COSÌ”; DICEVA IN UN COLLOQUIO INTERCETTATO RINZIVILLO, LA REPLICA DEL PROCURATORE DI ROMA GIUSEPPE PIGNATONE...
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
La mafia è tornata in via Veneto. Non più la 'ndrangheta che voleva mettere le mani sul Cafè de Paris per riciclare i suoi soldi, ma la mafia siciliana, un pezzo importante di Cosa nostra legato al clan Madonia e ai Corleonesi di Totò Riina. È successo due anni fa, nel giugno 2015, quando un signore si presentò al Caffè Veneto, noto locale della strada che fu il simbolo della «dolce vita» romana, e recapitò un biglietto al proprietario, Aldo Berti: «Siamo giunti ad avere ogni tuo movimento sul tuo conto Chiama chi hai fottuto e fai il piano di rientro, perché possiamo arrivare pima dei calabresi. Credevi di passarla liscia?».
Qualche giorno dopo arrivò una telefonata, dove l' interlocutore dall' accento siciliano ribadì al proprietario: «Fai il rientro con Santino». Entrambi sapevano di chi e di che cosa parlavano: un presunto credito vantato da tale Santo Valenti con le nipoti del proprietario del bar, le sorelle Cinzia e Alessia Berti, eredi di un' attività all' ingrosso nel Centro agroalimentare romano, che s' erano viste recapitare carichi di frutta mai ordinata, o in eccesso, o a prezzi più alti di quelli concordati.
Forniture effettuate dalla ditta di Valenti il quale, scrive il giudice delle indagini preliminari che ieri l' ha fatto arrestare, «per ottenere un ingiusto vantaggio si avvale di un soggetto mafioso dalle fondamenta, in quanto pluricondannato per associazione mafiosa e come tale noto tra gli operatori del Car di Roma».
Il mafioso è Salvatore Rinzivillo, scarcerato nel 2013 e fratello di Antonio e Crocifisso, ergastolani rinchiusi al «carcere duro», entrambi esponenti della cosca che comanda a Gela, in provincia di Caltanissetta, per conto di Cosa nostra. Un clan che da tempo s' è trasferito e fa affari a Roma, e in questo caso aiutava Santino Valenti (anche lui gelese trapiantato nella capitale) a recuperare il presunto credito: in realtà un' estorsione da 180.000 euro nei confronti delle sorelle Berti e dello zio proprietario del Caffè Veneto, secondo la ricostruzione della Procura di Roma, che insieme a quella di Caltanissetta ha coordinato la maxioperazione in cui sono stati arrestati Rinzivillo, Valenti e altre 35 persone. «Una delle più importanti degli ultimi anni», annuncia il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.
Tra gli arresti ci sono l' avvocato romano Giandomenico D' Ambra, accusato di «concorso esterno» perché sospettato di aver ripetutamente collaborato con Rinzivillo nei suoi traffici illeciti, e due carabinieri - uno transitato ai servizi segreti e l' altro in forza al Ros - inquisiti per accesso abusivo alle banche dati delle forze dell' ordine, con l' aggravante di agevolare i mafiosi; prendevano notizie riservate e le passavano agli uomini legati al boss, anche sul conto del titolare del bar di via Veneto.
«Il mondo è così, è nato corrotto e corrotto morirà, nessuno riesce a sistemare il mondo», diceva in un colloquio intercettato Rinzivillo, e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone commenta: «È un principio che noi rigettiamo totalmente. La corruzione, come la mafia, può e deve essere combattuta e sconfitta, oggi ci siamo noi a contrastare l' una e l' altra, domani ci saranno altri».
Uno dei due carabinieri è sospettato di aver partecipato anche ad attività utili a portare a termine l' estorsione al bar di via Veneto, poi sequestrato e chiuso per altre vicende giudiziarie. Dopo la prima minaccia, Berti chiamò un suo cliente, l' ex mafioso palermitano ed ex collaboratore di giustizia Baldassarre Ruvolo, che provò a mediare. Ma l' unico risultato fu un secondo pizzino, ancor più minaccioso: «Senti brutto sbirro, tu e quel palermitano se entro venti giorni non si presenta tu verrai abbattuto, i soldi non contano più nulla». Le trattative proseguirono con altre intimidazioni e un incontro dell' ex pentito con un siciliano armato di pistola che ribadì l' ordine di «togliere i debiti con Santino». Per il giudice, questa e altre vicende dimostrano l' applicazione del «metodo mafioso».
L' espansione del clan Rinzivillo, stando alle indagini condotte da polizia, carabinieri e Guardia di finanza, non s' è fermata alla capitale. È arrivata fino in Lombardia e poi in Germania, dove il boss Salvatore avrebbe stabilito contatti, finalizzati al traffico di droga, con il latitante di 'ndrangheta Antonio Strangio, gestore del ristorante dove dieci anni fa avvenne la strage di Duisburg.
Con i fratelli rinchiusi al «41 bis», Salvatore Rinzivillo riusciva a concordare le «scelte strategiche dell' organizzazione» durante i colloqui in cui utilizzava «un linguaggio criptico e cifrato».