Elisa Sola per il “Corriere della Sera”
Per fermarlo, mentre lui la toccava, gli avrebbe detto «soltanto» le parole: «No, basta».
Più volte. Ma siccome non ha gridato, non ha chiesto aiuto e non ha «tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona», il tribunale di Torino ha assolto l' uomo accusato di violenza sessuale perché «il fatto non sussiste».
Adesso la donna, una torinese che lavorava con contratto interinale alla Croce rossa di Torino e che aveva querelato il collega per una serie di presunti abusi subiti sul luogo di lavoro - in vari ospedali - non solo dovrà accettare il fallimento della sua causa. Ma dovrà rispondere di calunnia, perché la prima sezione penale ha trasmesso gli atti in procura non ritenendo «verosimile» la sua versione dei fatti.
Laura (il nome è di fantasia), avrebbe un' infanzia segnata dagli abusi da parte del padre, che si sarebbero protratti per sette anni a partire da quando ne aveva cinque. Il pm Marco Sanini, che ha svolto l' indagine e che aveva chiesto dieci anni per l' imputato, ha prodotto durante il processo un profilo psicologico che denota una «esperienza traumatica di abuso infantile reiterato intrafamiliare». E la stessa Laura, tra le lacrime, quando era stata sentita durante il dibattimento, aveva spiegato che quel collega, più anziano e più stabile di lei - precaria, assunta a tempo determinato - le ricordava il padre, «persona fredda, cruda e dura».
Seduta davanti alla corte, incalzata dalle domande di chi le chiedeva perché, sul lettino della stanzetta del pronto soccorso dell' ospedale Mauriziano, non aveva reagito spingendo via lui, o gridando «aiuto», la donna aveva risposto: «Uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non... io mi blocco».
Le crisi di pianto avevano interrotto più volte una testimonianza sofferta, a tratti confusa, vaga nei dettagli, sia perché si tratta di fatti risalenti nel tempo - l' imputato era stato arrestato dalla polizia nel novembre 2011 - sia perché l'emozione l'aveva probabilmente resa meno lucida. La teste «rimane sul vago», scrivono i giudici.
Non solo. «Non urla» quando l'uomo, un 46enne difeso dagli avvocati Cosimo Maggiore e Vittorio Rossini, tenta di spogliarla. E ancora, la donna «non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori».
Infine, rimarca il collegio, quando le viene chiesto cosa ha provato su quelle barelle, risponde: «Disgusto». «Ma non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere», scrivono. «Pare abbia continuato il turno dopo gli abusi», precisa la corte, che sentenzia: «Il racconto è inverosimile».
L'imputato non ha mai negato palpeggiamenti ed effusioni, ma ha sempre sostenuto che la collega fosse consenziente e si è dichiarato vittima di un procedimento che gli avrebbe rovinato la vita familiare e lavorativa. Secondo il suo legale, Cosimo Maggiore, «la credibilità di lei era gravemente compromessa da una quantità di contraddizioni e illogicità». Per il pm Sanini, che valuterà il ricorso in Appello, l' uomo avrebbe «approfittato della fragilità della vittima».