Walter Passerini per “La Stampa”
salvatore buzzi con il quarto stato alle spalle
E così, dopo dieci anni di positive esperienze, il servizio di preparazione dei pasti nelle carceri italiane, svolto dalle cooperative sociali, rischia di chiudere e di passare alla gestione interna. In questi anni, non solo la gestione esterna della ristorazione carceraria è stata un esempio virtuoso da un punto di vista economico, ma anche un positivo elemento di inclusione sociale, coinvolgendo direttamente centinaia di detenuti in un lavoro che rappresenta anche un nucleo di competenze da utilizzare dopo la pena.
Non c’è dubbio che a gettare un’ombra di discredito contro il mondo delle cooperative sociali siano stati i comportamenti delinquenziali emersi nell’indagine Mafia capitale nel Lazio, ma ora volendo gettare l’acqua sporca si rischia di buttare stupidamente anche il bambino. Sono dieci anni che l’esperienza realizzata da 10 cooperative sociali che hanno professionalizzato i detenuti ha dimostrato la validità di un progetto sperimentale, che ora, per opportunismo, mala informazione o superficialità, rischia di saltare, riassegnando il servizio all'amministrazione interna.
Oggi i responsabili delle dieci cooperative incontreranno il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per scongiurare la chiusura del servizio prevista dal 15 gennaio e porranno al ministro e ai responsabili del Dipartimento di amministrazione carceraria le proprie valutazioni e richieste. Tra di esse:
- che il Ministero commissioni un'azione di ricerca seria condotta da un soggetto terzo imparziale e competente, circa l'esito delle sperimentazione condotte in questi anni. Chiediamo di poterci confrontare con indicatori di valutazione univoci, espliciti e con riferimenti di spesa effettivi e non situazionali.
- Che il Ministro stenda una nota formale in cui si dia conto in modo serio delle ragioni per cui si decide di concludere queste esperienze di gestione. Ad oggi l'unico fatto dotato di un rilievo amministrativo è l'iter che sta portando all'uscita di scena della Cassa delle Ammende. Iter in cui peraltro le ragioni addotte dalla Cassa delle Ammende non hanno nulla a che vedere con la bontà o meno del lavoro svolto, ma con la legittimità di ricorrere alla Cassa quale strumento di finanziamento ordinario di servizi collegati alla vita degli istituti di pena.
- che il Ministro non chiuda queste esperienze se non al termine di un iter di valutazione compiuto da un soggetto terzo e imparziale. L'interruzione di alcuni di questi progetti porterebbe infatti alla chiusura di alcune delle cooperative coinvolte, generando un danno non sanabile nel breve termine
- che sia concessa una fase transitoria della durata di sei mesi in cui concludere un lavoro serio di monitoraggio, analisi approfondita, e riorganizzazione di queste esperienze.