“EMERGENCY” EBOLA - È ARRIVATO A ROMA IL MEDICO ITALIANO DI EMERGENCY CONTAGIATO DAL VIRUS - MASSIME MISURE DI SICUREZZA ALL’OSPEDALE SPALLANZANI - SI VALUTA L’USO DEL SUPERSIERO SPERIMENTALE - MA È POLEMICA SULLA SCELTA DI CURARLO IN ITALIA
1. EBOLA, IL PRIMO ITALIANO CONTAGIATO È ARRIVATO A ROMA
Da “lastampa.it”
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È atterrato intorno alle sei di questa mattina all’aeroporto militare di Pratica di Mare il velivolo dell’Aeronautica con a bordo il medico di Emergency contagiato dal virus ebola in Sierra Leone. Il paziente, assistito da un team di medici, ha viaggiato in una barella chiusa impiegata per il trasporto via aerea di persone colpite da patologie infettive contagiose.
«OPERAZIONE RIUSCITA NELLA MASSIMA SICUREZZA»
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«Tutta l’operazione si è svolta come pianificato e secondo le procedure per le quali siamo addestrati ad operare», spiega il colonnello Roberto Biselli , capo del team di bio contenimento che ha viaggiato con il medico italiano . «In ogni momento è stato possibile assistere, in condizioni di massima sicurezza, il paziente - assicura Biselli - che è risultato tranquillo lungo la rotta.». È stato Il personale specializzato del team di bio contenimento a completare la delicata fase di trasbordo dalla barella Avio trasportabile ad una più piccola, sistemata sull’ambulanza che ha trasferito il medico allo Spallanzani.
2. IL PRIMO ITALIANO CONTAGIATO è UN MEDICO DI EMERGENCY
Paolo Russo per “la Stampa”
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«Concentrati ed emozionati si, preoccupati no». I venti medici e infermieri, che all’ospedale Spallanzani di Roma assisteranno da oggi il paziente italiano Ebola1, di stress test ne hanno già fatti tanti. Oramai sanno bene come affrontare l’emergenza scattata ieri mattina, quando Farnesina e Ministero della salute hanno comunicato che un Boeing 767 dell’Aeronautica militare avrebbe riportato in patria, dalla Sierra Leone, il primo italiano colpito dal virus. Un medico siciliano cinquantenne di Emergency, uno dei nostri 26 volontari che per l’ong di Gino Strada combatte la bestia che in Africa occidentale ha già falciato 5459 vite.
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«Il nostro medico sta bene, non ha avuto febbre o altri sintomi durante la notte, ha fatto colazione, beve autonomamente e cammina», ha rassicurato il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin.
Ieri l’altro la febbre era a 38 e mezzo. Da lì il primo test, seguito da un secondo di verifica, che in poche ore hanno dato il responso, purtroppo positivo al virus. Che forse ha approfittato di un errore nella fase di svestizione. Quella più delicata, alla quale dovranno prestare massima attenzione ora i sanitari dello Spallanzani.
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In Sierra Leone, sotto tende surriscaldate, con scafandri che fanno perdere litri di sudore, è più difficile. Soprattutto quando dare assistenza prende il cuore e fa prolungare il turno oltre i 45 minuti consigliati. A quel punto non disinfettare bene le tute nel momento di svestirsi, toccarle e magari poi cancellare il sudore dagli occhi, massimo veicolo di contagio, può capitare anche a chi conosce a memoria i protocolli di sicurezza.
Ma se errore c’è stato si è scoperto subito. La malattia è allo stato iniziale e questo fa ben sperare. In ospedale tutti tengono le bocche cucite, ma oltre a trasfusioni, antibiotici ad ampio spettro e sostanze idratanti, contro il virus i sanitari sarebbero pronti ad usare l’arma del «super-siero» sperimentale «ZMapp», un concentrato di anticorpi rilevati dal sangue di persone infettate ma guarite e in fase di convalescenza.
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Intanto ieri si è rodata la macchina che dovrà accogliere il «paziente 1», in arrivo questa mattina a Roma con un aereo militare speciale. Il medico contagiato viaggerà in una barella avvolta da una nuvola di plastica. La chiamano di «biocontenimento» ed impedisce qualsiasi contatto del paziente con l’esterno. Medici e infermieri che lo accompagnano hanno come unico mezzo di contatto quattro maniche gommate ai lati, nelle quali infilare le braccia. Costo del trasporto in solitaria: 250 mila euro, informa l’Aeronautica.
Arrivati all’aeroporto di Ciampino il paziente verrà trasferito in un’analoga barella ad alto isolamento e trasportato con un’ambulanza, anch’essa di biocontenimento, allo Spallanzani.
Qui ad attenderlo c’è la task force capitanata dal dottor Nicola Petrosillo, uno che Ebola l’ha già affrontata in Africa. Medici e infermieri, che sembrano usciti dal film «virus letale», lo accoglieranno in tuta integrale bianca, mascherina, occhiali protettivi e guanti.
Seguendo il paziente a distanza di sicurezza di due metri lo accompagneranno in un’ala deserta di questo rimodernato ospedale dell’era fascista, lungo un percorso che gli uomini della sicurezza bloccheranno a pazienti e sanitari. Poi l’arrivo in una delle quattro stanze pressurizzate, per evitare che fuoriesca alcunché. A distinguerle dalla altre una «striscia di pericolo» a bande giallo-blu. Dentro arredo minimal: un armadietto, un comodino, la tv alla parete, per distrarsi un po’. A riuscirci. Poi il bagno e una porta che apre il magazzino interno che contiene farmaci e quant’altro serve per l’assistenza. Tutto isolato per impedire il contagio con l’esterno.
Un’altra porta conduce alla doccia, dove i due medici e l’infermiere di turno laveranno con candeggina tuta e il resto dell’armamentario. Passaggio chiave per evitare rischi. Se tutto procederà come da protocollo di sicurezza il virus di Ebola resterà confinato in questa stanza.
La scelta di trasportare il nostro medico in Italia non è però piaciuta a tutti. «In un’ottica di contenimento del rischio sarebbe meglio trattare i pazienti in loco e anche Gino Strada mi risulta aver sposato questa linea», butta li Maria Rita Gismondo, responsabile di microbiologia al Sacco di Milano, l’unico altro ospedale attrezzato contro Ebola. «Meglio curarli da noi», replicano al ministero. Polemiche destinate a scomparire con la sperata pronta guarigione.