Ettore Livini per la Repubblica
CINQUE morti di freddo in poche ore. Mille persone (secondo le stime più conservative) costrette a vivere in tenda sotto la neve e senza riscaldamento. Quasi 15mila migranti ammassati sulle isole nell’Egeo dove la ricettività è solo di ottomila persone. La situazione dei rifugiati in Grecia — come prevedibile da mesi — è arrivata «al collasso».
Parola dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), sceso in campo dopo i drammatici rapporti arrivati dai volontari al lavoro nei campi ellenici. «La questione oggi non è rinfacciarsi le responsabilità — ha aggiunto Sarah Crowe, portavoce di un’altra agenzia delle Nazioni Unite, l’Unicef — ma salvare vite umane». Bruxelles ed Atene, è l’appello dell’Onu, devono dare un tetto ai 63mila rifugiati “parcheggiati” in Grecia dopo la chiusura della rotta balcanica.
«Molte persone rischiano di morire congelate in queste ore solo perché l’Europa ha deciso di non aiutarle — accusa Amnesty International — sono ostaggi di politiche Ue crudeli e poco funzionali, abbandonati in un limbo legale e in squallidi campi di detenzione che non possono lasciare». La situazione, tra l’altro, si aggrava invece di migliorare. Ogni giorno decine di migranti (417 da inizio anno) affrontano il freddo e i rischi della traversata dalla Turchia per raggiungere l’Europa. E da mesi il loro destino è quello di venir bloccati in Grecia.
La Ue si era impegnata a ricollocare seimila persone al mese negli altri paesi della comunità per togliere pressione ad Atene, già alle prese con una pesantissima crisi economica. L’impegno però è rimasto solo sulla carta: ad oggi, un anno dopo, ne sono state trasferite solo 7.448 sulle 72mila previste. Austria, Danimarca, Polonia, Gran Bretagna e Liechtenstein sono a quota zero migranti accolti.
Le pratiche di richiesta d’asilo politico procedono a rilento, così come i rimpatri verso la Turchia in base all’accordo (pagato da Bruxelles sei miliardi) con Ankara, fermi a 800 persone. Risultato: l’Unione si è lavata la coscienza chiudendo le frontiere ma ha lasciato il cerino acceso (in cambio di qualche centinaio di milioni di aiuti) ad Atene e Roma. Il governo Tsipras, impegnato in queste ore nel solito estenuante braccio di ferro con i creditori per sbloccare gli aiuti, sta cercando di fare le nozze con i fichi secchi.
Nei giorni scorsi ha spedito a Lesbos — dove ci sono 6.134 migranti a fronte di 3.904 posti — una nave della Marina per ospitare 500 persone e proteggerle dal freddo. Ma è una goccia nell’Oceano. «Evitiamo di nascondere le nostra responsabilità dietro la burocrazia», ha detto l’Unicef. Senza però troppo successo: «Gestire l’emergenza — ha detto gelida come il meteo una portavoce Ue — è responsabilità della Grecia».
Una situazione drammatica alla quale si aggiunge l’ultima minaccia dell’Ungheria che intende ripristinare la detenzione per i richiedenti asilo, sospesa nel 2013 per le pressioni di Ue e Onu. «È contro le norme internazionali, ma lo faremo lo stesso », ha detto il premier Viktor Orbán.