A FIUMICINO L’ALITALIA ORGANIZZA CORSI PER VINCERE LA PAURA DEL VOLO. PSICOLOGI SPIEGANO DA DOVE HA ORIGINE E COME LA SI COMBATTE. COMANDANTI ESPERTI SVELANO COSA SONO TUTTI QUEI RUMORI DELL’AEREO CHE TI MANDANO PER TRAVERSO IL SUCCO D’ARANCIA – FORSE PER RINCUORARTI, TI DICONO SUBITO CHE IN REALTÀ IL 53% DI CHI VOLA HA PAURA – E ALL'ULTIMO GIORNO SI DECOLLA!
Michele Masneri per “Il Foglio”
Ciao, sono Michele, a me dell’aereo spaventa soprattutto l’idea che non puoi scendere, che qualunque cosa succeda non sono io ad avere il controllo”. Arrivo per ultimo al primo giorno di “Voglia di volare”, il corso per ansiosi organizzato dall’Alitalia una volta al mese presso il centro di addestramento di Fiumicino, ed è come stare agli alcolisti anonimi, ognuno si presenta e dice qual è il suo problema.
Siamo in quindici, siamo seduti intorno a un gran tavolo in un palazzone specchiato nell’area tecnica del Leonardo da Vinci, ognuno ha davanti a sé un cartellino col suo nome, e il logo di questo corso che la compagnia di bandiera organizza da vent’anni con successo, un cuoricino rosso che stringe un aereo pacioccoso con la livrea Alitalia (una volta si chiamava “Paura di volare”, poi è stato cambiato, forse per non confonderlo col libro sporcaccione di Erica Jong).
Gli ansiosi sono tra noi, sono tanti, quelli che in aereo appaiono rilassatissimi o addirittura dormono, fingono, si è sempre pensato, e la responsabile del corso, Ilaria Petrini, conferma: gli ansiosi sull’aereo sono il 53 per cento dei trasvolatori totali. Per una volta siamo in maggioranza.
Insieme a me ci sono: un dentista dell’Eur, che non vola da quattro anni, una ragazza carina di Firenze, che avrà sì e no vent’anni, non vola da quand’era piccola, studia psicologia a Firenze, adesso dovrà andare in Erasmus a Barcellona e non vorrebbe andarci in nave; un trasportatore di Latina, sui trent’anni, che non ha mai volato in vita sua, è proprio terrorizzato e vomita su qualunque mezzo di trasporto, dalla nave al camion (io ci provo, a dirgli che vomitare sui mezzi di trasporto facendo il trasportatore forse è una cosa che meriterebbe un po’ di analisi ma lui mi guarda perplesso, dice che è una cosa solo fisica. Mah).
Poi un mobiliere di Frascati sui sessant’anni, un ragazzo un po’ hipster di Milano sui trenta, che non ha mai volato. Un ristoratore di Napoli, fighetto, che non caga nessuno e si pensa se la tiri molto, invece si scoprirà che è proprio terrorizzato, terrorizzato per tutto il tempo. Un’avvocatessa molto nervosa di Potenza, e poi la Donna tradita; la Donna tradita, diamo questa definizione un po’ freudiana da “Uomo dei lupi”, è rimasta traumatizzata durante un atterraggio sospetto a Napoli, l’equipaggio disse che si trattava di un rifornimento e solo dopo si scoprì che c’era un’avaria. Da allora sta malissimo al solo pensiero di salire su un volo, non si fida più (“mi sono sentita presa in giro”).
Il primo giorno di corso facciamo la teoria: prima compiliamo un modulo che chiede tra le altre cose se abbiamo subìto in tempi recenti un evento traumatico (io barro “trasloco”, ma ci sono anche “matrimonio” e “divorzio”. Io spunto anche la casella “qualcuno della sua famiglia ha sofferto di disturbi emotivi-nervosi?”) e poi ecco la psicologa Simonetta Salvatori che parla dell’ansia come di un retaggio di Dna tribale, di un’evoluzione della paura pur in mancanza di leoni o predatori, però con gli stessi sintomi da giungla (io e il dentista dell’Eur ci guardiamo, sappiamo già che la dissenteria serve per scaricare peso a terra e correre più veloci, le palpitazioni per pompare più sangue nel corpo, abbiamo letto tutti lo stesso libro di un noto psicoanalista romano, è chiaro).
Poi arriva il comandante Mauro Alessandrini, che sarà con noi anche domani, il giorno della pratica. Il comandante, dodicimila ore di volo all’attivo, quattro fasce e la stellina sui polsi dell’uniforme che significano il grado più alto di carriera, è lì per spiegarci come funziona un aereo, cosa sono quei misteriosi rumori che fanno impazzire l’ansioso, cos’è un vuoto d’aria, come funziona una turbina, cosa sono quei dlin-dlon che suonano apparentemente senza motivo e che ci fanno sbroccare tutte le volte (spiega anche le scie chimiche: “Vapore acqueo sparato ad altissima potenza dai motori”, nessuno obietta, no grillini ansiosi here).
Spiega che uno dei terrori dell’avio-ansioso, la depressurizzazione (scena primaria in molta cinematografia, con colpo di pistola che buca carlinga o finestrino, e aereo che si avvita e risucchio di corpi dai finestrini) è tecnicamente impossibile perché in pochi secondi l’aereo scende di quota e recupera la respirabilità, mentre le mascherine d’ossigeno scendono e un doppio impianto d’aerazione garantirebbe comunque. Tutto in aereo è infatti doppio: doppi comandi, doppi impianti frenanti, doppi computer.
Qui però gli ansiosi sono ferratissimi, come su ogni tipo di incidente aereo. L’avvocatessa dice: “Sì però allora nel 1992 come andò che quell’aereo della Neos si schiantò sulla montagna perché l’equipaggio era svenuto per la pressurizzazione?”. L’hipster invece è spaventato molto dai fulmini ma il comandante non ha tempo di rispondere che altri ansiosi dicono “ma c’è la gabbia di Faraday, scusa”, ed è quel fenomeno elettrostatico per cui se un fulmine colpisce l’aereo si sentirà al massimo un “toc” tipo botta di martello, perché l’involucro metallico fa da schermo.
Anche gli uccelli che entrano nei motori sono un caso che l’ansioso non sottovaluta. “E se rompono i vetri della cabina?” (“Sono doppi”, risponde il comandante, specificando che ogni aeroporto ha le sue misure anti-uccello, a Trieste c’è addirittura un falconiere addestrato con falchi anti-piccione).
Poi veniamo portati al simulatore, una specie di cabinona di aereo (di un Airbus 320) identica all’originale dove si addestrano i piloti, con una sofisticata tecnologia che proietta sulla cabina la visuale e le condizioni climatiche di tutti gli aeroporti del mondo grazie alle mappe di Google, in ogni momento si può simulare il tempo esatto e la vista che ci sarà su quella tratta.
Noi veniamo chiusi dunque in questa che sembra una grande scatolona da Tac con chiusura ermetica, e dopo pochi secondo ecco il comandante che simula una partenza da Fco con neve, e tutte le condizioni possibili e le più estreme: ghiaccio sulle ali, avaria lieve, avaria severa, avvitamento aereo (ma i sistemi non permettono scarti di oltre quindici gradi), la “riattaccata”, incubo tra i peggiori dell’ansioso, è quando l’aereo ha già toccato suolo e improvvisamente riparte perché ci sono problemi in pista o di visuale (detta anche “go around”).
E poi naturalmente simuliamo anche lo sbrocco del pilota kamikaze tipo Germanwings: ecco, e il comandante tira giù questo sidestick, che è una manopolona tipo playstation (la cloche non esiste quasi più in circolazione) ed ecco che l’aereo va giù, e si vedono sotto di noi Fregene e Santa Marinella e tanti allarmi suonano impazziti, e però anche i comandi son tutti doppi, tipo auto da scuola-guida, e il pilota di destra può annullare e correggere le manovre di quello sbroccato a sinistra, e viceversa (mentre Alitalia da anni, e prima di avieri teutonici con male di vivere, ha un protocollo per cui anche quando il pilota si alza per andare in bagno, un membro dell’equipaggio entra in cabina).
Non si vorrebbe mai scendere naturalmente da questo giocattolone da milioni di euro, con rumori e scossoni e sibili e fischi identici al vero, tanto che se ne esce scossi e stanchi (“Abbiamo trovato un tempaccio!” riferisce il mobiliere di Frascati, tornando in aula). Il primo giorno prosegue con tecniche di rilassamento e di respirazione, e con “il patto dell’aeroporto”. Nessun partecipante verrà infatti costretto a effettuare il volo vero, l’indomani.
Solo, il patto prevede che ci si impegni a salire sull’aereo, a “cinturarsi”, e a quel punto decidere se si sarà in grado di volare o non ancora. Tra gli incerti c’è l’hipster, dice che non se la sente, viene invitato a rispettare il patto, vedremo domani. Un altro ragazzo, un biondo alto di Palermo, dice che non sa. L’unico che dice subito no è il trasportatore di Latina, “sono stato male anche nel simulatore”. Intanto sono arrivati gli accompagnatori: ognuno può portarsi qualcuno di cui si fida molto, infatti; la Donna tradita ha portato il figlio, avrà dieci anni, il mobiliere ha portato pure il figlio (“io viaggio un sacco per lavoro, figuriamoci”), la ragazza carina di Firenze un’amica psicologa, il ristoratore terrorizzato si è portato la fidanzata, che vorrebbe finalmente poter andare in vacanza non in treno.
Il giorno seguente l’appuntamento è a Fiumicino alle otto, ma essendo ansiosi ci si ritrova già lì tutti alle otto meno un quarto (in un mondo di ansiosi, funzionerebbe tutto meglio, forse). Ci caricano su due pullmini, ci chiediamo a vicenda “com’è andata?”; “hai dormito?”. Nessuno pare essersi impasticcato, perché il patto dell’aeroporto prevedeva il divieto di rincoglionimento, ma forse perquisizioni corporali troverebbero Xanax e Tavor.
La Donna tradita improvvisamente chiede se può portare a bordo un ferro di cavallo, tira fuori questo ferro di cavallo ed è un vero ferro di cavallo di dimensioni reali, peserà un chilo, le viene confiscato e le verrà restituito solo alla fine (la responsabile del corso spiega che una volta un signore, dotato di regolare porto d’armi, tirò fuori una grossa pistola, sinceramente stupito che non si potesse imbarcare). Intanto manca qualcuno all’appello, lo spilungone di Palermo, che viene chiamato al telefono e dice che sì, lui viene, però aveva capito che bisognava presentarsi alle nove e trenta (un tipico atto mancato, ci guardiamo subito con sguardi d’intesa tra psicanalizzati).
Ci prepariamo alla partenza. Noi ansiosi siamo privilegiati: facciamo checkin e colazione nella saletta Freccia Alata, e qui il gruppo degli ansiosi con zainetti e facce da condannati viene guardato con curiosità dai frequentatori-managerini della saletta vip. Siamo col nostro comandante Alessandrini in alta uniforme e con la nostra psicologa (oggi c’è anche una psicologa di sostegno, insieme) e diamo un po’ nell’occhio.
Qualcuno dice “non facciamoci riconoscere” ma uomini con completi attillati e occhiali costosi scrutano noi ansiosi in gita: uno di noi prova la chaise longue, qualcuno prende praticamente tutti i quotidiani-omaggio, qualcuno compulsa la rivista patinata Ulisse, la fidanzata del ristoratore napoletano contempla il fidanzato (“guardalo là, seduto in disparte, è terrorizzato, pensare che ha due ristoranti, è abituato a gestire tutto, dev’essere questa cosa dell’affidarsi totalmente che lo fa stare male”.
Lui è impietrito sulle poltrone di pelle umana della Freccia Alata). Poi i controlli di sicurezza, e qui si capisce davvero che molti non hanno mai preso l’aereo o non lo prendono da anni. (“Ma come l’acqua no a bordo? Ma neanche i profumi? E com’è possibile?”). Il mobiliere, invece che entrare sotto il metal detector, lo dribbla con noncuranza e passa a sinistra. Il personale paziente (è stato preallertato) lo riaccompagna sotto.
Dietro di noi poi all’improvviso compare Riccardo Scamarcio, e poi passa una signorina discinta e sexy, e dunque essendo ansiosi sospettiamo che ci sia anche una sotterranea strategia Alitalia di distrazione ormonale di ansiosi/ansiose verso l’imbarco, ma poi si rivela essere solo paranoia. Arriviamo al gate per il nostro volo delle nove, AZ2030, uscita B11, col nostro comandante-preside che viene tempestato di domande (“ma che aereo è?”; “Un Embraer”. Il nome esotico suscita subito ansia. “Dove è prodotto?”. “Perchè non Boeing?”. “Perché non Airbus?”. “E’ brasiliano? Oddio”).
A bordo ci imbarchiamo per ultimi e siamo tutti nel settore posteriore dell’aereo brasiliano, ci sistemiamo, tutti vogliono subito andare in bagno tipo gita scolastica. Il patto dell’aeroporto è rispettato. Tutti i passeggeri sono seduti, con noi in formazione tipo testuggine, il comandante- preside davanti, la psicologa in mezzo, la psicologa di sostegno dietro. Quando tutti sono seduti, la capa-psicologa chiede a ognuno di noi: “Andiamo?”.
Il protocollo-ansioso prevede che l’aereo attenda infatti la decisione di ogni ansioso. L’ansioso riluttante potrà a quel punto togliersi la cintura e scendere, una hostess dedicata lo attende sottobordo. E l’ansioso hipster fa così, dice che non se la sente. Si slaccia, lo salutiamo, tipo col compagno che ha la dissenteria e non viene in settimana bianca, e poi partiamo. Quando la porta si chiude tutti noi ansiosi tacciamo e le facce sbiancano.
L’aereo comincia a rullare sulla pista, in due cominciano a piangere. La Donna tradita piange sommessamente, discretamente (a destra, al posto finestrino, il figlio) e allora il comandante mentre spiega che “adesso questo rumore che senti è il carrello, adesso vedi, siamo partiti solo con un motore, perché l’aereo ha bisogno di poca potenza in questa fase”) le prende la mano, e gliela terrà per tutto il volo.
HOSTESS ALITALIA ALLA STAZIONE TERMINI
L’ansioso accanto a me, un signore ligure che fa l’immobiliarista e non ha mai volato, è entusiasta del servizio bar e vorrebbe un Negroni, la hostess preallertata sorride. L’immobiliarista pensa che solo io abbia un tavolino pieghevole e dunque appoggia tutte le sue cose sul mio. Saliamo di quota, sentiamo i dlin-dlon (“abbiamo superato i diecimila metri di quota”, spiega il comandante). Anche le formule più misteriche ormai le conosciamo: “Arm slides and crosscheck”, per attivare lo scivolone di emergenza che si gonfia tipo airbag e va controllato doppiamente (crosscheck) perché non si apra tutte le volte.
In men che non si dica siamo sopra Linate, e la tensione cala. Sotto, i campi padani (“che bello, che bello!” dice l’immobiliarista”). “Ecco qua le fabbrichette” dice il mobiliere frascatano, rianimato, diventato goliardico “Chissà ’ndo sta Arcore! me pare ’avè visto n’olgettina!”. Scendiamo per ultimi a Linate, il programma prevede una mezzora libera e poi pranziamo in uno stupendo autogrill dentro l’aeroporto. Brindiamo con una mezza bottiglia di Chianti, qualcuno prende il risotto alla milanese. Tra due ore ripartiremo, volo AZ2049 per Roma.
Il ritorno è più facile. Tutti sono contenti, rimarrà il ricordo di questa gita per ansiosi: il tasso di efficacia di questo corso, spiega Ilaria Petrini, è del 93 per cento. Qualcuno adesso è pronto per fare quel volo a Londra o Istanbul che stava rimandando da anni. E poi c’è il vitalizio per gli ansiosi compreso nei 490 euro del corso: partendo con Alitalia, potremo sempre utilizzare la saletta Freccia Alata, e avere il personale d’aereo allertato, “ansioso a bordo”. Per ansiosi molto liquidi o riservati, c’è anche il corso singolo: viene molto di più, tremila euro, l’ha fatto l’anno scorso Barbara D’Urso, pare fosse entusiasta. Tecniche di rilassamento e di respirazione. Ma a Fiumicino facce da condannati. C’è chi prova a portare un ferro di cavallo Per gli ansiosi riservati c’è anche il corso singolo. L’ha fatto l’anno scorso Barbara D’Urso, pare fosse entusiasta