Andrea Galli per il “Corriere della Sera”
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Nella lettura degli investigatori, e più d' uno, per semplificare l' immagine, suggerisce una «Narcos europea» sulla base della serie televisiva ambientata in Sudamerica, lo scenario dietro il sequestro vale più delle stesse due tonnellate e cento chili di cocaina, trovate dalla Finanza in un container transitato nel porto di Genova.
Una quantità rara di droga, la maggiore scoperta dalle forze dell' ordine dall' inizio degli anni Novanta, e di estrema qualità nelle analisi di laboratorio. Non poteva che essere così, in considerazione del provvisorio punto previsto d' arrivo di quel container, Barcellona, il luogo dove sarebbe stata trattata e divisa la cocaina, acquistata da cinque organizzazioni che poi avrebbero gestito il ritorno in Italia, per la vendita all' ingrosso e al dettaglio.
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In Europa, la base per gli incontri con gli emissari colombiani per le trattative è proprio la Spagna. Lo è per una ragione che potrebbe apparire banale, la frequenza dei voli diretti con il Sudamerica.
Arrivava dalla Spagna «El Ruso», soprannome di Miro Rizvanovic Niemeier, doppia cittadinanza bosniaca e tedesca, e a lungo, prima dell' arresto a Civitavecchia (aprile 2017), l' estradizione e l' uccisione (lo scorso ottobre in Colombia), «collante» tra gli acquirenti europei, soprattutto la 'ndrangheta e gruppi di albanesi, e il «clan del golfo», l' organizzazione paramilitare colombiana attiva nel narcotraffico e venditrice delle tonnellate di Genova.
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«El Ruso» si oppose a quell' estradizione, consapevole che gli avrebbero fatto pagare il sequestro di cocaina, cento chili destinati a Milano. L' omicidio aveva innescato un vortice di vendette, sia interne alla criminalità, sia contro lo Stato, mai esente da trattative con gli stessi narcos: la strage alla scuola militare di Bogotà il 17 gennaio (20 vittime), è il secondo evidente segnale di un «equilibrio» disintegrato e che ha provocato, in Europa, un calo di «disponibilità» della cocaina sudamericana.
Del sequestro nel porto, consigliano gli stessi investigatori, bisogna rilevare due dati. Il primo: il sequestro è «merito» di una soffiata di rivali del «clan del golfo». Il secondo dato: non praticando le mafie un assolutismo logistico, è indubbio, come osservato dal procuratore di Genova Francesco Cozzi, un ricorso, in alternativa all'«inflazionato» porto di Gioia Tauro, di quello di Genova, e insieme di Livorno con perno sull' isola d' Elba.
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Qualcuno osserva che sarebbe stato più tattico non arrestare quel 59enne spagnolo che a Barcellona aspettava il carico, in quanto probabile ultima pedina della filiera, e ugualmente, ripete al Corriere una fonte della polizia, quest' operazione farà capire l' importanza di ripristinare la piena efficienza dei reparti anti-droga delle forze dell' ordine, ferme nell' allestimento di grandi strategie per intercettare a monte le organizzazioni criminali. Analisi che non inficiano l' inchiesta di Genova, utile per ulteriori riflessioni.
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Abbiamo parlato della qualità della cocaina: dalla Spagna transitano i migliori carichi, con prezzi superiori rispetto ad Anversa. Se è storico l' attivismo della 'ndrangheta nella droga, che qui e non altrove costruisce il suo impero, c' è una tendenza in crescita, e ha per protagonisti quei gruppi albanesi dei quali le cosche si fidano sempre più: il baratto. Ingenti scambi di droga con il passaggio di merce e non di denaro, eroina dalla Turchia per la cocaina dalla Colombia. Ogni mese, per sua ammissione, «El Ruso» muoveva in Italia 10 tonnellate di cocaina, delle quali sei rimanevano nella nostra nazione.
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La droga genovese avrebbe generato un incasso finale di 560 milioni di euro. Moltiplicato per tre arrivando al totale delle sei tonnellate di «El Ruso», oltre un miliardo e mezzo di euro ogni trenta giorni. Ovvero 33 milioni di sniffate. Il sequestro genererà una scia di morte in Sudamerica con ricadute in Europa: più d' uno aveva garantito che il carico sarebbe approdato, più d' uno ne aveva garantito l' acquisto.