Valeria Di Corrado per www.iltempo.it
«Quando abbiamo chiesto alla madre di Cucchi di mettere un avvocato di fiducia, ci ha risposto che non avrebbero speso altri soldi per quel delinquente del figlio, che poteva andare a fare il barbone per strada». A rivelarlo in una intercettazione agli atti dell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi (il 31enne deceduto all’ospedale Pertini di Roma il 22 ottobre 2009, una settimana dopo il suo arresto per spaccio di droga) è il maresciallo Roberto Mandolini, indagato per falsa testimonianza insieme a Vincenzo Nicolardi.
I carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, all’epoca in servizio presso la stazione Appia, sono invece indagati per lesioni personali aggravate e abuso d’autorità «per il violentissimo pestaggio» che avrebbe subito Cucchi.
È il 17 luglio 2015, Mandolini ha ricevuto da un giorno l’invito a comparire davanti al pm Giovanni Musarò il 23 luglio (in quell’occasione si è avvalso della facoltà di non rispondere). L'ex vice comandante della stazione Appia chiama Rosalia Staropoli, consulente legale del Sap a Vibo Valentia e attivista in varie associazioni antimafia. Le confida che quando il procuratore gli domanderà se ha omesso qualcosa, gli risponderà: «Certo che ho omesso qualcosa, ho omesso di dire quello che mi ha riferito Cucchi della famiglia. Questo, questo e quell’altro».
A quel punto la donna si incuriosisce e gli chiede cosa abbia detto il ragazzo. Mandolini si sfoga spiegando che «quando hanno chiesto alla madre di mettere un avvocato di fiducia, la donna ha risposto che non avrebbero speso altri soldi per quel delinquente del figlio, che poteva andare a fare il barbone per strada». Il maresciallo spiega inoltre che «quel giorno hanno pure scherzato, dicendo a Cucchi di pensare ai nipotini e lui gli ha risposto che la sorella erano due anni che non glieli faceva vedere».
Vero? Falso? Queste intercettazioni fanno parte dello stesso «blocco» che ha inguaiato di recente questo carabiniere. L’interlocutrice del militare consiglia di riferire tutto nell’interrogatorio. Mandolini, evidentemente scottato dalla battaglia della sorella di Stefano Cucchi per l’accertamento della verità, conclude così: «La sorella (Ilaria, ndr) pseudo-giornalista, si era candidata con Ingroia e la Bonino. Dopo aver preso i soldi, 1.342.000 euro, ha venduto casa e ha cambiato vita. Del fratello, quando era in vita, non ne voleva sapere nulla».
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Dalle stesse intercettazioni raccolte dalla Squadra Mobile nel corso dell’attività investigativa emerge però che il maresciallo si rapporta con un pregiudicato che chiama «fratello» e con il quale si incontra per scambiarsi oggetti d’oro. La svolta investigativa arriva quando Anna Carino, ex moglie di D’Alessandro, gli ricorda al telefono: «Hai raccontato a tutti di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda (...) che te ne vantavi pure... che te davi le arie». La frase intercettata viene confermata dalla donna quando il 19 ottobre scorso è stata sentita dal pm.
La sua deposizione è finita nell’informativa finale della Mobile: «Raffaele è sempre stato un tipo molto aggressivo. Quando indossava la divisa, poi, si sentiva Rambo. Mi raccontava anche di pestaggi ai danni di altri soggetti, che avevano portato in caserma in altre circostanze. Ricordo che mi parlò di pestaggi ai danni di extracomunitari, anche se non si trattava di pestaggi di questo livello. Per quello che ho percepito io, soprattutto quando lo sentivo mentre ne parlava con altri, il pestaggio di Cucchi fu molto più violento».
Per appurare se il pestaggio abbia causato la morte di Cucchi la Procura ha chiesto un nuovo accertamento medico-legale. Il gip ha nominato 4 periti che dovranno accertare la natura, l’entità e l’effettiva portata delle lesioni patite da Cucchi. Il giudice ha respinto, ritenendola infondata, un’istanza di ricusazione di Francesco Introna presentata dal legale della famiglia Cucchi per i rapporti di inimicizia con il suo consulente Vittorio Fineschi.