Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
All'inizio sembra uno dei periodici «improrogabili e urgenti interventi sui sistemi informatici» che celano «normali» tilt nei tribunali, ma si intuisce presto che non è il «solito» disservizio tecnico quando i tecnici del ministero della Giustizia, 8 minuti dopo la mezzanotte di ieri 14 novembre, avvisano che «sono stati interrotti i servizi informatici per tutti gli uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell' intero territorio nazionale», e giù la sfilza di sigle che identifica la vita pulsante nei tribunali (Tiap, Pct, Snt, Sigma, ecc.).
E la ragione non è un problema diretto del ministero, ma «una segnalazione del fornitore dei servizi di Posta elettronica certificata» (Pec): espressione che sintetizzerebbe l'accenno a un attacco informatico al fornitore Telecom nel centro dati di Pomezia, dove in tre edifici l' azienda gestisce 4.200 server. I capi degli uffici giudiziari vengono invitati a cambiare prudenzialmente le password di accesso alle utenze Pec utilizzate dai propri dipartimenti, non si sa se cadute in mano agli hackers.
E si bloccano le basi-dati che abbiano qualche connessione con la Pec, a cominciare dal Processo civile telematico (Pct). Meno colpito il penale, dove però soffrono gli uffici giudiziari più avanti nella digitalizzazione, come alcune Procure che (non avendo più la ruota di scorta del tornare alla vecchia carta) non sanno come fare a trasmettere ad altri uffici gli atti di cui stiano per scadere i tassativi termini.
In una seduta del Csm il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, indica che «non si è trattato di un disservizio del ministero», ma «probabilmente del furto delle credenziali» della posta certificata gestita da Telecom, in «un episodio che suscita allarme» e che per molti consiglieri Csm impone un «monitoraggio delle gravi e frequenti» disfunzioni.
Mentre il sindacato Usb discute il tema più generale, già posto da alcuni fatti di cronaca nell' ultimo biennio prima di sembrare accantonato assieme alla legge Orlando sulle intercettazioni: «È inaccettabile che il flusso informativo della giustizia sia controllato da personale esterno, e che i server gestiti da privati siano ubicati in strutture non ministeriali».