Jaime D'Alessandro per “la Repubblica”
La tecnologia l'ha vista diventare grande e con lei la Silicon Valley. Anzi, Federico Faggin, di quella storia ha scritto alcuni capitoli importanti. "Padre" del primo microprocessore, creato fra il 1971 e il 1974, ha fondato un'azienda, la Synaptics, che fu fra le prime a credere negli schermi tattili dieci anni prima l'arrivo dell' iPhone. Nato a Vicenza nel 1941, dalla fine degli anni 60 in America dove Barack Obama gli ha consegnato la medaglia d'oro per l' innovazione, ha vissuto perennemente nel futuro.
E ora che è tornato in Italia per un ciclo di conferenze, ieri al DigitalMeet a Padova e sabato al Festival della Scienza di Genova, racconta come quel futuro è stato visto nel tempo fra previsioni errate e ricorsi storici. «Molte invenzioni che sono entrate nella nostra vita non erano state predette. E capita altrettanto spesso il contrario: tutti si aspettano che qualcosa prenda piede e magari non succede».
Un esempio?
«La fusione atomica. Avrebbe dovuto liberarci dalla schiavitù del petrolio. Stiamo ancora aspettando. Poi ci sono innovazioni che invece hanno richiesto un tempo diverso per diffondersi. Lo sa che negli anni 70 si pensava che l'avvento dell' intelligenza artificiale (Ai) fosse imminente? C'erano programmi di scacchi che potevano superare un giocatore di media bravura. Quando lavoravo alla Intel, erano tutti convinti che le macchine avrebbero superato la mente umana in due decadi».
Lo dicono anche oggi.
«È una profezia ciclica. Peccato che non basti battere un campione al gioco cinese del Go per dire che abbiamo una vera intelligenza sintetica. E ancora: i robot si sarebbero dovuti diffondere da almeno vent' anni, mentre fin dal 2010 avremmo dovuto avere basi permanenti sulla Luna. Adesso però ho sentito che vogliono riprovarci».
E nei trasporti?
«Mini elicotteri personali con due eliche controrotanti, auto stabili, per andare a lavoro evitando il traffico. Un sogno che ricorda molto i taxi droni di oggi. E poi i voli supersonici di massa».
Cosa non era stato immaginato?
«La rivoluzione del mobile e quella del World Wide Web. Un conto è intuire la diffusione di un sistema di comunicazione fra computer, un altro prevedere un fenomeno come il Web. A quei tempi anche l' idea delle reti neurali artificiali, che erano già state ipotizzate, ai più sembrava un' idea folle. Oggi sono alla base di tutte le Ai».
Perfino gli schermi tattili sembravano una stupidaggine?
«Li presentai a colossi come Nokia e Motorola a metà degli anni 80. Si misero a ridere. Solo Steve Jobs si interessò, ma voleva l' esclusiva e noi, alla Synaptics, non la concedemmo. E così Apple se li costruì da sola, dieci anni dopo. Sono sempre stati dei maestri a prendere le idee degli altri e poi a sintetizzarle in uno splendido ecosistema fatto di servizi e dispositivi».
Si è mai pentito di quel no?
«Scherza? È proprio fagocitandolo che si distrugge un possibile concorrente. Invece, grazie alla popolarità dell' iPhone la Synapsis ha avuto successo».
Il futuro ha sempre avuto lo stesso peso in California?
«Nei periodi di espansione economica sì, come accade oggi. La crisi invece lo allontana. Prima però si ragionava con un orizzonte temporale di cinque anni. Oggi, grazie alla stazza delle compagnie hi-tech e all' enorme ricchezza che hanno accumulato, si guarda a venti anni di distanza cercando di trascinare per i capelli nel presente il futuro».
Anche una tale ricchezza era difficile da prevedere.
«Già. Pensi che ai miei tempi una compagnia come la Fairchild, quando era sulla bocca di tutti, fatturava 300 milioni di dollari. Nulla al confronto dei miliardi di Amazon, Google, Facebook, Apple. Oggi sarebbe una startup e nemmeno fra le più brillanti mentre il valore di mercato dei "big" combinato assieme si avvicina al prodotto interno lordo dell' Italia. Questa sì che è vera fantascienza».