Mariavittoria Zaglio per www.corriere.it
La chiamano la sirena di Milano. Ad incantare gli uomini che la studiano non sono le sue forme avvenenti o la mitologica bellezza che di solito si associa alla creatura anfibia ma le sue origini misteriose.
Più simile a un essere mostruoso piuttosto che alla Sirenetta di Christian Andersen o alla Madison di «Splash, Una sirena a Manhattan». Eppure, nonostante l’oggettiva bruttezza dell’artefatto, la curiosità riguardo alla sua storia si alimenta da decenni.
La sua casa è il Museo di Storia Naturale, non si sa dire da quanto. «Ogni Museo ha i suoi scheletri nell’armadio», racconta Giorgio Bardelli, curatore della sezione di zoologia dei vertebrati. Il ritrovamento della sirenetta mostruosa risale agli inizi degli anni Ottanta, per mano di Giorgio Teruzzi, paleontologo oggi in pensione.
«Si trovava all’interno di uno dei locali seminterrati dove ci sono i depositi di studio del Museo, dietro ad un’ intercapedine, oltre una parete sottile — continua Bardelli —. Nessuno ne conosceva la provenienza, non c’erano documenti o bigliettini allegati. Il sospetto è che potesse appartenere ai fratelli Villa, collezionisti milanesi che regalarono pezzi al Museo prima del conflitto».
Probabilmente la sua permanenza milanese è databile a prima della seconda guerra mondiale e delle fiamme che nel 1943 distrussero molti dei reperti all’interno del Museo in corso Venezia. La scienza ha chiarito che la piccola sirenetta (che misura circa 30 centimetri) è un falso: «Dalle radiografie sappiamo che al suo interno ci sono un’ intelaiatura in legno e inserti di ferro mentre la parte più ampia del corpo è in cartapesta».
I dettagli fanno la differenza: capelli umani, unghie di uccello e pinne di pesce. La ricetta da brivido compone un oggetto strano che rimanda, secondo le ricerche svolte nel Museo (quelle più recenti avviate insieme all’interesse di un ragazzo che ne ha scoperto l’esistenza, ndr), alla seconda metà dell’800 giapponese. Un periodo in cui la fascinazione per questi fantocci appassionava collezionisti e pubblico occidentale.
La sirena delle Fiji che il circense Barnum portò in America (e che poi andò distrutta in un altro incendio) ne è un esempio noto. Nel mondo la sirena di Milano non è sola: ci sono oggetti simili al Museo di Storia Naturale di Venezia, a Modena, a Salisburgo, in Inghilterra e in una fattoria di alligatori in Arkansas (negli Stati Uniti).
L’interesse per queste strane creature (anche da parte del Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), «ritorna ciclicamente. Io ho iniziato a incuriosirmene quando arrivai al Museo ancora studente nel 1990, la sirena era esposta nella sala introduttiva. Poi negli anni ho accumulato indizi e consapevolezza», sottolinea Bardelli.
Oggi le ricerche continuano, come se ci fosse ancora qualcosa da scoprire riguardo all’affascinante mostriciattolo (che non è esposto nelle sale del Museo). «Più sappiamo e più ci rendiamo conto che ci sono tantissime cose che non conosciamo», conclude il curatore.