UNA LUCE PER GIOVANNA - A UN ANNO DALLA SUA MORTE, FIACCOLATA A ROMA PER RICORDARE GIOVANNA FATELLO, BIMBA DI 10 ANNI CHE SI È SPENTA DURANTE UNA BANALE OPERAZIONE AL TIMPANO
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
UNA LUCE PER GIOVANNA
i genitori di giovannina, matteo e valentina fatello 1
Ieri a Roma più di 1500 luci si sono accese alla fiaccolata per Giovanna Fatello, la bimba morta esattamente un anno fa, il 29 marzo 2014, durante una banale operazione di timpanoplastica alla Clinica Mafalda.
Da allora si è in attesa di un processo che porti alla luce l'accaduto e che attribuisca le giuste responsabilità legate a questa triste storia.
Ieri, 29 marzo 2015, a un anno di distanza, Valentina e Matteo, i genitori di Giovanna, hanno guidato la fiaccolata su un percorso a forma di G per ricordare Giovannina, ma soprattutto per cercare di accendere una luce che possa dipanare il buio dove questa famiglia è precipitata.
La diretta streaming organizzata per permettere la partecipazione di chi non poteva essere presente ha visto oltre 230 collegamenti che si sono uniti all’emozione creata in strada dalle luci per Giovanna.
LA BAMBINA DI 10 ANNI ERA SUL LETTINO, GIÀ ANESTETIZZATA, IL CHIRURGO AVEVA IL BISTURI IN MANO. MA NON SAPEVA QUALE ORECCHIO DOVESSE OPERARE: COSÌ É MORTA GIOVANNA FATELLO, IN UNA CLINICA ROMANA DURANTE UN BANALE INTERVENTO AL TIMPANO
Fabio Tonacci per “la Repubblica” del 6 febbraio 2015
Giovanna era sul lettino, già anestetizzata, il chirurgo aveva il bisturi in mano. Ma non sapeva quale orecchio dovesse operare. «Il professor Magliulo era incerto, mi chiese di andare a chiedere informazioni ai genitori della paziente, che però non trovai», mette a verbale l’anestesista Pierfrancesco Dauri, uno degli indagati per il caso di Giovanna Fatello, la bambina di 10 anni morta nella clinica romana “Villa Mafalda” il 29 marzo scorso durante un banale intervento al timpano. Dauri uscì dalla sala durante l’operazione e oggi è accusato, insieme al suo aiuto Federico Santilli, di «non aver prestato sufficiente e costante attenzione» ai parametri vitali segnalati sul monitor.
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Dalle carte dell’inchiesta emergono molte “stranezze” e “contraddizioni”. Come quella del chirurgo che all’inizio non era sicuro se operare l’orecchio destro oppure il sinistro, tanto da essere costretto a individuare quello giusto usando l’otoscopio. Cosa è accaduto davvero in quelle quattro ore e dieci minuti, dalle 9.30 alle 13.40, quando fu dichiarato il decesso di Giovanna Fatello?
Da dieci mesi il pm Mario Ardigò ha un fascicolo aperto per omicidio colposo. Ha disposto perizie e interrogato tutti quelli presenti all’intervento. Testimonianze che a volte hanno chiarito, altre volte hanno aggiunto dubbi. «Il saturimetro di tanto in tanto non captava bene il segnale », si difende Santilli, anestesista dell’ospedale “San Camillo” di Rieti che si è ritrovato in sala operatoria quasi per caso.
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«Quel sabato era il mio giorno libero — dichiara nell’interrogatorio del 15 dicembre scorso — ci eravamo sentiti con Dauri e lui mi aveva chiesto se volevo coadiuvarlo. Prima di allora la casa di cura “Villa Mafalda” era una struttura a me sconosciuta».
Una delle poche certezze è il panico che si diffuse in sala quando realizzarono che il cuore di Giovanna si stava fermando. «Dauri urlava “qui comando io” o “qui gli ordini lì do io”», si legge in una testimonianza di un tecnico di radiologia. Durante la rianimazione il chirurgo, Giuseppe Magliulo, si sentì male e si allontanò. «Meglio svenire da un’altra parte che farlo lì», ha spiegato al magistrato. «Mi si sono seccate le labbra, mi sono spogliato e sono dovuto andare a bere perché non riuscivo a emettere parola». Sono pezzi, questi, della cronaca di una morte sotto i ferri. Una cronaca ancora imperfetta, perché le indagini sono nella fase preliminare.
Erano dieci le persone iscritte nel registro degli indagati, ma per 8 Ardigò ha chiesto l’archiviazione. Anche per Magliulo, sul cui operato i periti «non hanno rilevato elementi di responsabilità professionale ». Rimangono le posizioni di Dauri e Santilli, ai quali viene contestato di «non aver prestato sufficiente attenzione ai valori rilevati dal saturimetro installato nel monitor, che segnalavano una progressiva ipossia (mancanza di ossigeno, ndr) », e anche di «non aver eseguito tempestivamente le manovre necessarie» per ripristinare la ventilazione.
A Giovanna, «per due o tre minuti» hanno accertato le perizie, non è arrivata aria sufficiente nei polmoni, perché il tubo “orotracheale” o si era ostruito, o si era spostato. Resta una domanda: perché nessuno si è accorto che Giovanna non respirava più ed era diventata cianotica?
«Quando tornai in sala operatoria — ricorda Dauri davanti al pm — la paziente era già stata intubata. L’emergenza è sopraggiunta quando l’intervento stava volgendo al termine, dopo circa 40 minuti ». Quindi intorno alle 10.10. «Ad un certo punto i dati visualizzati dal saturimetro cominciarono ad essere anormali, non c’era calo dell’ossigeno ma alterazione dell’onda (sul monitor, ndr) con dati alfanumerici non attendibili».
Dauri allora chiese all’infermiere di prendere un saturimetro portatile. «Non ricordo i valori rilevati dal nuovo apparecchio — prosegue — perché nel giro di pochi secondi è scattato l’allarme per bradicardia ». Lasciando così intendere che il primo macchinario non funzionasse bene.
In effetti le condizioni del monitor, prodotto in America dalla Andover e di proprietà della clinica, sono un altro giallo. È stato analizzato da un ingegnere chiamato dalla procura: il 28 marzo, il giorno prima dell’operazione, risulta una perdita nel tubo per la rivelazione della pressione arteriosa. Il 29 marzo non si registrano “ warning”, ma il 31 il database interno — non si capisce bene perché — è stato resettato.
«Si è trattato di momenti drammatici — dice Dauri, ricordando le tre ore di tentativi di rianimazione, il disperato massaggio cardiaco, i medicinali iniettati — ero sconvolto, non riuscivo a spiegarmi perché il cuore non ripartisse. Escludo di aver disattivato gli allarmi delle varie apparecchiature alle quali la paziente era collegata ».
Secondo due periti medico-legali, però, la ricostruzione degli anestesisti «non appare attendibile ». E l’avvocato della famiglia Fatello, Francesca Florio, ha presentato ricorso contro la richiesta di archiviazione degli altri presenti in sala. «Allo stato delle indagini — spiega — non può escludersi una responsabilità dell’intera équipe ». Unica certezza: alle 13.40 del 29 marzo scorso, Giovanna Fatello ha smesso di vivere.