MA VA LÀ, VADALÀ! – IN SLOVACCHIA 7 ITALIANI IN CELLA PER L'ASSASSINIO DEL REPORTER CHE AVEVA SCRITTO DEI LORO RAPPORTI CON LA 'NDRANGHETA – ECCO CHI E’ NINO VADALA’, IL CALABRESE IN LAMBOGHINI CHE FA TREMARE IL PREMIER FICO - I NOMI DEGLI ITALIANI ERANO STATI SEGNALATI DALLA PROCURA DI REGGIO CALABRIA MA BRATISLAVA NON SI ERA MOSSA...

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F.Batt. per il Corriere della Sera

kuciak kuciak

 

Preso in giro sui social («Ma dove li hai trovati quei soldi? In Slovacchia è vietato prelevare più di mille euro!»), il premier Robert Fico può tenersi il milione in banconote che aveva pure fatto fotografare, taglia promessa a chi avesse dato notizie sull' assassinio di Jan Kuciak e della sua fidanzata. La polizia ieri all' alba ha arrestato sette uomini, in sette diverse case di Kosice, Michalowce e Trebisov, a Est del Paese. Tutti italiani. Tutti imprenditori che il comunicato ufficiale indica solo coi nomi di battesimo, ma che il giornalista di Aktuality aveva scritto pure coi cognomi, accusandoli d' essere ugualmente vicini alla 'ndrangheta e al primo ministro: i fratelli Antonino, Sebastiano e Bruno Vadalà, Diego e Antonio Rodà, i due Pietro Catroppa.

 

«La pista italiana», la chiama il capo della polizia. Calabresi in Slovacchia dai primi anni Zero, ricorda la Procura di Reggio, ma che non avevano mai smesso di tenere i contatti coi clan della fascia ionica. «Un' operazione stile Duisburg», commenta un investigatore, citando la strage in Germania d' un decennio fa. La 'ndrangheta che non ha paura di sparare all' estero.

Ovunque le serva. Su chiunque la ostacoli.

 

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Sono arrivati gli esperti dell' Fbi, di Scotland Yard e l' antimafia italiana, ma il primo passo dell' inchiesta era già negli articoli di Jan. Nessun Paese europeo prevede il reato d' associazione mafiosa, una specialità della legge italiana, e c' è voluto il doppio omicidio per muovere gli slovacchi. «Avevamo allertato da tempo Bratislava», rivela la Dda di Reggio Calabria: soldi improvvisi, l' accesso facile ai fondi Ue, le condanne e le parentele sospette, tutto quel che da noi fa scattare le manette, ma non basta in sistemi meno abituati alle mafie. Non è chiaro se sia stata trovata l' arma, mentre pochi dubbi sul movente: zittire il reporter che aveva smascherato questi «tranquilli» imprenditori italiani dell' Est, il loro collegamento col premier Robert Fico, l' ex miss (e loro socia in affari) che s' era infilata negli uffici del governo e faceva piovere finanziamenti Ue sulle 73 aziende dei calabresi.

 

Meglio tardi che mai, l' eco degli spari di Bratislava sveglia i burocrati di Bruxelles.

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Che in una lettera chiedono a Fico che uso venga fatto dei 15 miliardi in sette anni stanziati dall' Ue per l' agricoltura in Slovacchia. Kuciak aveva studiato il sistema Calabria e l' aveva capito: dal fotovoltaico all' allevamento, dai trasporti all' immobiliare, le cinque famiglie più potenti erano emigrate sul confine verso l' Ucraina e la Polonia per inventarsi progetti inesistenti, comunque sempre impeccabili nella presentazione su carta, lontani da occhi indiscreti. Può reggere un premier sfiorato da accuse simili? A Bratislava, è cominciato il countdown. E uno dei partiti alleati s' è già sfilato dalla maggioranza.

 

 

ECCO CHI E' NINO VADALA'

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Francesco Battistini per il Corriere della Sera

 

Vadalà chi? Quale Catroppa? «Sapevamo chi erano, certo. Ma ne stavamo alla larga. Quella era gente che girava in Ferrari Enzo e Lamborghini Diablo da un milione di euro. Non a Bratislava: a Trebisov! Ma sa che è la zona più povera del Paese?

 

Dicevano d' avere 30 mila capi di bestiame, ma chi li ha mai visti! Ottenevano finanziamenti europei che nessuno di noi riusciva mai ad avere. Stavamo alla larga, ma non è bastato. Questa storia adesso è un disastro. Tanti anni di lavoro, e passiamo tutti per pizza, mandolino e Corleone». Ma va là, Vadalà. Intorno alle case perquisite, alle ville setacciate, alle 'ndrine debellate c' è un piccolo popolo d' italiani in Slovacchia, 250 imprese, la nostra terza comunità economica in Europa, che guarda sgomenta agli arresti: dopo trent' anni di delocalizzazioni e d' export con la valigia in mano, la cattiva stampa sui terreni comprati un euro all' ettaro e il lavoro sottopagato, una botta così è dura da assorbire.

 

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Perché Bratislava è sempre stata una vetrina e una cuccagna del made in Italy, i nostri politici ci vengono spesso, Napolitano ci ha fatto più d' una visita.

 

Che disastro, invece: non guasterebbe un bel troncare, sopire, silenziare Ma come si fa? Proprio domani si vota il nuovo consiglio direttivo della Camera di commercio italo-slovacca e, insomma, qualcosa bisognerà pur dire su questi calabresi finiti al gabbio per l' uccisione del giornalista Jan Kuciak. Nessuno li vedeva mai a Bratislava, «erano corpi estranei alla comunità italiana», eppure il malumore serpeggia e c' è chi chiede prese di distanza forti. Piovono email sull' ambasciata.

 

Si propone una manifestazione pubblica, «diciamo che gli italiani non sono la 'ndrangheta, un po' come gli islamici quando spiegano che loro non sono il terrorismo». La questione è delicata: con gli slovacchi è sempre aperto il caso Embraco, la fabbrica delocalizzata da Torino che per combinazione sta a pochi chilometri dagli arrestati. E nelle ultime ore (toh!) sono scattati controlli fiscali alle aziende italiane. Scoprirsi le 'ndrine in casa, è stato uno choc. Ieri, la gente ha sfilato nella capitale con la faccia del premier Robert Fico stampata sul nostro tricolore, una coppola e un esergo: «Fico Al Capone».

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Velocissimi gli slovacchi, ad acchiappare i sette italiani.

Anche se bastava andare sul registro delle imprese e capire che qualcosa non andava, in quelle 73 società che s' occupavano di tutto il finanziabile e ospitavano tutti gli amici del premier. A Bratislava c' è un' agenzia, controllata dal governo, che dà i punteggi ai progetti da presentare a Bruxelles: quelli dei Vadalà, prendevano sempre i più alti. C' entra pure il clamore che ha suscitato il delitto, forse sottovalutato da killer e mandanti: «È la prima volta che qui si dimette un ministro - ha spiegato l' altro giorno quello alla Cultura, dimettendosi -, ma è anche la prima volta che uccidono un giornalista».

 

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Non è vero. Nel 2008 è sparito nel nulla Palo Rypal, che indagava su alcuni uomini di governo, e da tre anni non si sa niente di Miroslav Pejko, che come Jan investigava sul fotovoltaico: uscito di casa senza passaporto, senza telefonini, senza documenti e mai più ritornato.

 

Anche Kuciak non era nuovo a inchieste dure: quando aveva scoperchiato gli affari di Penta, potentissimo gruppo d' investimenti che controlla il Paese, registrando colloqui fra lobbisti e ministri, i suoi articoli avevano portato la gente in piazza a protestare proprio come oggi. E per lui erano arrivate le prime minacce: eliminare un reporter impiccione, chissà, poteva interessare a mafiosi, politici, affaristi tutt' insieme.

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«Ora ci sentiamo nel mirino», dicono ad Aktuality , il giornale di Jan. Un altro cronista, Ivan Brada, stava lavorando in parallelo sui falsi finanziamenti europei, sui legami fra le società calabro-slovacche (condivise con Maria Troskova, la bellissima consigliera personale di Fico) e quelle off-shore a Mauritius. L' altra notte, è andato a fuoco un ufficio delle tasse che conservava documenti utili: un incidente, dicono i pompieri.

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