MICHELLE, LA NUOVA MADONNA INCORONATA - IL VIAGGIO DELLA FIRST LADY A MILANO È UNA COLATA DI BAVA SUI GIORNALI: “VERO MODELLO”, “STAR GLOBALE”, “ICONA”, “FEMMINA ALFA” - MARIO GIORDANO: “PRENDIAMO LEZIONI DA UN’AMERICANA CHE METTE IN TAVOLA LENTICCHIE E QUINOA?”
Mario Giordano per “Libero Quotidiano”
michelle obama sul duomo di milano
A lei le lenticchie, a noi il brodo di giuggiole. È bastato che Michelle Obama mettesse mano all’insalata d’orzo, con menta, zucchine, e cous cous di semola sarda, per mandare in estasi la provincialissima platea italiana: ma com’è bella, ma com’è brava, ma com’è elegante, ma com’è saggia. «Un vero modello». «Star globale». «Diplomazia alimentare». «Icona di stile difficilmente imitabile». «Leggiadra». «Femmina alfa».
Abbiamo seguito la sua discesa in Italia come se fosse l’apparizione della Madonna Incoronata. E abbiamo accolto come verbo rivelato le sue memorabili affermazioni, fra cui si segnalano in particolare: «Non abboffatevi». E anche: «Mangiate le verdure». Roba che mia zia Pina potrebbe citarla per violazione del copyright. Ma volete mettere come le ha dette Michelle? Lei, in effetti, è una “role model”, ci raccontano le cronache estasiate dei giornali. Anzi è una “role model” che punta sul “dress to impress” e vuole trasmettere un messaggio di “empowerment”.
michelle obama e agnese landini
E per trasmetterlo meglio, evidentemente, usa lenticchie e quinoa. Del resto lei è così: «transgenerazionale e interclassista», «palesemente sportiva», «elegante, affascinante, chic». Di più: dimostra che essere «eleganti, affascinanti e chic non è un problema di pigmentazione». In una parola è «ganzissima», a tal punto che fa anche l’insalata di pollo. Non vi pare roba da «star globale»?
michelle obama e agnese landini
Anche perché l’insalata di pollo non la fa come tutte voi, macché: lei la fa con le sue «braccia bellissime, frutto di duro lavoro». Il duro lavoro della Casa Bianca, si capisce. La differenza è tutta qui: il duro lavoro della Casa Bianca. Michelle si alza e fa palestra, ovvio che poi è «bella, colorata, fisicamente perfetta». Voi invece vi alzate e lavate i pavimenti. Perciò siete brutte, un po’ grigie e fisicamente da buttare. Soprattutto avete delle braccia che fanno schifo.
E l’unico difetto della first lady è proprio questo. I cantori della Michellemania de noantri faticano un po’ a trovarne uno ma poi ci riescono, grazie all’inarrivabile Maria Laura Rodotà del Corriere della Sera: il difetto è che Michelle è troppo bella, perfetta, eccezionale, meravigliosa, a tal punto «da rischiare di scoraggiare le donne e fanciulle» che si vorrebbero ispirare a lei. Proprio così, come avete fatto a non pensarci anche voi? «Messe di fronte a standard così alti (le altre donne, ndr) potrebbero arrendersi e consolarsi con pizza e patatine».
michelle obama sul duomo di milano
In effetti, immaginiamo l’impennata di consumi di junk food negli ultimi due giorni in Italia: «Quant’è bella Michelle, quasi quasi mi faccio un doppio hot dog con senape». «Com’è in forma Michelle, quasi quasi mi scofano due torte di panna». Pare che qualcuna, per l’invidia, sia arrivata a chiedere di iniettarsi direttamente grassi saturi in vena. Lei, la «star globale», ovviamente, «leggiadra» e «icona» com’è, non avrebbe voluto occuparsi di queste misere cose.
michelle obama con le figlie sasha e malia sul duomo di milano 4
«Avrebbe voluto fare altro», sicuro. Ma siccome è stata chiamata alla divina missione dell’anti-obesità non si può sottrarre. C’è chi viene fulminato sulla via di Damasco, chi sulla via dell’hamburger. Lei lo fa per missione, dovere, spirito di sacrificio. Perciò «combatte», come scrivono i giornali. Eroica, come solo lei sa essere, cerca di respingere i nemici lipidi, trigliceridi, fosfopolidi, cercando forse anche un po’ di confonderli con i suoi vestiti improbabili, a geometrie variabili, tinte stravaganti, strisce rosa su ghirigori intrecciati di grigio e nero, intarsi di colori degni di un sarto daltonico, che se fossero indossati da qualsiasi altra persona sarebbero giudicati per quello che sono: un orrore. Invece addosso a lei diventano l’esempio dell’eleganza, un surrogato delle passerelle di moda, la sublimazione dello chic. Che ci volete fare?
A Michelle noi perdoniamo tutto. Esibisce shopping sfrenato in corso Como a Milano, e il popolo affamato applaude. Si muove con 14 auto blu e volo di Stato, e i giornali anti-casta s’inchinano. Prepara insalata con pollo e limone e diventa per tutti un esempio di cucina. Ma vi pare? Può la patria del buon cibo prendere lezioni da un’americana che mette in tavola lenticchie e quinoa?
michelle obama a milano con agnese landini
«Quando si è accorta che nell’insalata non c’era parmigiano si è affrettata a versarcene sopra un paio di cucchiaioni», racconta adorante La Stampa. Perdinci, che gesto meraviglioso: ma non è lo stesso che fanno milioni di italiani ogni volta che viene portata in tavola una pastasciutta? Dal che devo dedurre che se dico «passami il parmigiano» divento “role model” anch’io?
Probabilmente no, perché nessuno di noi sa pronunciare frasi memorabili come quelle di Michelle durante la sua visita. Le due principali sono riportate da tutti i giornali: «I’m excited to be in Milan» e «Lombardia is a wonderful region». Trattasi verosimilmente di frasi standard scritte da un pigro ufficio stampa per qualsiasi occasione: «I’m excited to be in London». «I’m excited to be in Paris» , «Baviera is a wonderful region», etc. ma tanto basta per eccitare il nostro provincialismo.
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E allora avanti con Michelle che «non sbaglia un colpo», bravissima nel parlare con i ragazzi e nel fare le «listarelle di pollo», capace di cucinare cose «evidentemente sanissime», magari «un po’ insipide» ma solo perché «il sale fa male». È così brava, bella, elegante, che il collega della Stampa in piena estasi-Michelle, non trova di meglio che paragonarla a Re Sole. Ma sì: un Re Sole nella grigia Milano. Ma lei è un po’ meglio perché Re Sole banchettava solo davanti alla folla, lei invece banchetta ma dà anche lezioni di lenticchia e zucchine. E se la quinoa fa schifo, pazienza. Tanto si sa, quello che conta è l’”empowerment”.
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