il manifesto prima pagina con gli articoli di giulio regeni dopo la morte
1. AVEVA IL TELEFONO SOTTO CONTROLLO
Secondo fonti della prefettura di sicurezza di Giza, interpellate dal giornale egiziano Al Masry Al Youm, «gli investigatori hanno condotto indagini sugli ultimi movimenti di Regeni prima della sua scomparsa il 25 gennaio e ascoltato le registrazioni delle sue ultime chiamate con il cellulare con l' aiuto delle compagnie di telefonia mobile», arrivando alla conclusione che Regeni «è stato ucciso in un appartamento nel centro del Cairo e il suo corpo in seguito gettato sull' autostrada». Il quotidiano sostiene che ci sarebbero 37 sospetti già arrestati.
2.NEL PALAZZO DOVE VIVEVA GIULIO “LA POLIZIA QUI TRE GIORNI PRIMA”
Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Ripercorrendo gli ultimi cento passi che Giulio ha percorso, prima di annegare nel suo incubo, ci sono una palestra, un edicola, un venditore di peluche a forma di cuore, uno di tuberi arrosto. E un testimone che offre una verità fin qui mai raccontata: «Dicono nel palazzo che qualche giorno prima della scomparsa di Giulio, il 21 o il 22, qualcuno della polizia sia venuto qui a chiedere chi ci abitasse per controllare i documenti». Una perquisizione, dunque, o qualcosa di simile, raccontata da Eddie Saade, uno dei suoi vicini, che trova conferma anche nel primo lavoro istruttorio fatto dagli investigatori italiani.
Il New York Times annuncia che gli Usa solleveranno il caso di Giulio Regeni con l Egitto
La polizia è stata in questo condominio scalcagnato. È molto possibile che cercassero proprio Giulio. Ma chi erano? E perché? «Lo vedevamo poco» racconta Eddie, dall’uscio dell’azienda di sviluppatori del web che gestisce insieme con alcuni amici. Parquet rifinito per terra, grandi Mac, muri colorati, sembra Occidente pieno e non questo strano pezzo di mondo dove ogni cosa si mischia e dunque nulla sembra avere un’identità precisa. I topi che scappano per le scale e la casa pomposa del giudice al pian terreno. I buoni e i cattivi. Gli amici e i nemici.
Potrebbe essere stato per esempio proprio un amico — questa è la convinzione degli investigatori italiani che hanno inviato un’informativa al pm Sergio Colaiocco — a raccontare alle persone sbagliate di quell’incontro dell’11 dicembre: una riunione riservata tra sindacalisti e attivisti che combattono Al Sisi, alla quale era possibile accedere soltanto per inviti.
La presenza di Giulio probabilmente non è passata inosservata: un ricercatore occidentale, che parla arabo, invitato a una riunione semi clandestina può far venire a qualcuno, che poi ha tradito, idee sbagliate (i servizi egiziani giurano però che non avessero il nome di Regeni nei loro database, anche se ieri un quotidiano ha lanciato la notizia che Giulio fosse intercettato, particolare però non confermato da fonti italiane).
Se così fosse, quindi, chi ha preso Giulio lo cercava. Nessuna retata casuale. E soprattutto nessuna rapina, come hanno ribadito gli investigatori italiani.
Per sapere però chi era questo ragazzo che aveva deciso di studiare per conoscere e dunque cambiare il mondo — e quanto assomiglia la sua storia a quella di Valeria Solesin, un’altra che aveva scelto lo studio per dare forma ai sogni — è necessario venire qui a casa sua.
Fuori dalla porta marrone di una casa che conserva ancora i libri di Gramsci e i saggi sulla rivoluzione araba, i file dei Green Day e quelli dei lavori che stava preparando. Quarto piano di un palazzo ultra popolare. Di fronte c’è un fruttivendolo e un chiosco che vende cioccolata. Prendiamo il telefono, mostriamo una foto. «Lo conosce Giulio?». «Mai visto. Mai» scuote la testa il signore dietro il bancone.
Eppure tutti i giorni Giulio percorreva questi 75 metri per raggiungere la stazione della metropolitana di Behooth. Le strade sono strette, le macchine sono parcheggiate in tripla fila e, anche a piedi, si passa a fatica. Si percorre un breve rettilineo, si supera il chiosco ad angolo e si gira a destra. C’è una palestra di body building. «Visto questo ragazzo? ». «Mai». Stessa risposta all’emporio accanto.
Si arriva davanti alla fermata della metro. Si riesce a parlare a fatica perché i clacson delle auto imbottigliate nella strada principale coprono ogni rumore. Sul cartello giallo di un negozio di abbigliamento, attaccata a una pensilina del bus dovrebbero esserci alcune telecamere così come all’ingresso dell’unica entrata aperta della stazione. Le registrazioni si dovrebbero rinnovare ogni 30 giorni e quindi con un po’ di fortuna ci dovrebbero essere ancora le immagini del 25. Ma, per il momento nessuno ha ancora visto niente. Né sa se ci sono immagini.
REGENI GIULIO REGENI E AMICI GIULIO REGENI regeni
Né di che riprese si tratta. Ai nostri investigatori è arrivata nelle ultime ore la testimonianza di una giornalista straniera. Avrebbe raccontato di aver raccolto la testimonianza di un uomo che diceva di aver visto Giulio, qui davanti alla fermata, venire caricato dalla Polizia. Una bugia? Forse. Certo è che a credere ai tabulati è lungo questo tragitto, dalla polvere degli scalini di casa sua a questo sotto passo con le foto strappate di Al Sisi, che Giulio è stato risucchiato. «Probabilmente — dicono infatti le indagini — non è mai salito sul treno della metro». “Venga, lo guardi, è ancora bello” ha detto alla mamma di Giulio il medico legale, a Roma, prima che cominciasse l’autopsia. Soprattutto per lei, i mostri di questi cento passi devono avere un nome e un cognome.