NON APRITE QUELLA CASA! - IL LIBRONE ADELPHI “HO COLTIVATO IL MIO GIARDINO” DI LADY AGNELLI CELEBRA 60 ANNI DI INTERIOR DESIGN AGNELLESCO – CASE COME SHOW-ROOM, TENDAGGI E TOVAGLIATI COME PIOVESSE E UNA SQUADRA DI ARCHISTAR AD ASSECONDARE OGNI PATURNIA
Michele Masneri per Studio www.rivistastudio.com
Avevamo tollerato tutto, negli anni. La Duna. La Arna. I capitalismi di relazione. I rampolli. I cambi di ragione sociale e fiscale, con la Fiat che diventava un acronimo che non osa pronunciare il suo nome. Tutto nella consapevolezza di aver avuto per un secolo una monarchia fichissima che se non sapeva fare le macchine e i bilanci poteva competere però con le migliori eleganze estere, e se il Fiorino si rompeva, il polsino era sempre a posto col suo orologio sopra.
Però adesso dubbi tormentosi, aprendo questo tomo adelphiano che piace alla gente che piace, come da claim di un famoso marchio di famiglia defunto. "Ho coltivato il mio giardino", si chiama, con titolo voltairiano, e racconta i giardini le case la vita di Marella Agnelli, che della monarchia ufficiosa ha rappresentato l'apice di eleganze araldiche, nascendo principessa, essendo fotografata da Avedon e finendo in "Preghiere esaudite" di Truman Capote come unico cigno da esportazione dell'Italia industriale novecentesca.
Capote peraltro ricorre assai nel libro, lui è sempre molto ansioso di essere ospitato in una stanza blu della casa di Corso Matteotti a Torino, con il suo servizio giornaliero di lavanderia, "i tasti da premere per avere all'istante il personale in livrea", tipo "Downton Abbey" ai Murazzi. In questa casa di Corso Matteotti poi si scatena subito il genio arredatore e accumulatore di Marella: nella stessa stanza, un Bacon un Henry Moore un Nolde; e in un altro salone, un Renoir tra due fagiani di porcellana "epoca Quianlong";
avendo accumulato troppe opere, invece che affittare un magazzino come tutti, la coppia nel 1961 si fa fare una casa molto moderna su sulle colline, con piscina riscaldata che comincia dal giardino e finisce in salotto, un po' "Hollywood Party"; e muri di calce viva come in certe tavernette, e poi il tavolo di Eero Saarinen e le sue sedie e tutto il salotto buono Barcelona di Mies van der Rohe, con divano poltrone e tavolino coordinati: e la differenza con qualche casa di compagni di scuola abbienti nella Brescia anni Novanta è minima, anzi laggiù, snobismi forse di provincia avrebbero suggerito di evitare l'effetto show-room magari mischiando un po' (e però questa Villa Bona è anche dove abitò fino alla fine il povero Edoardo, che nelle foto ha sempre un'aria smarrita da "che ci faccio qui", anche in barca, mentre pesca un polipo, fotografato da Capote).
Poi a Villar Perosa, antico feudo di famiglia: tante dalie rosse in giardino, con il massimo paesaggista Russell Page che a donna Marella insegna il sufi e massime di vita un po' Quelo: ("mi mise in guardia dal lato oscuro di una grande fortuna. Bisogna imparare a essere servitori di qualcosa di superiore per non diventare schiavi di tutto ciò che vi è di più basso"). Nel frattempo però le disbosca sistematicamente ippocastani secolari e abeti storici e boschi centenari perché non in asse o non simmetrici, facendo infuriare molto Gianni.
SANDRO CHIA E MARELLINA CARACCIOLO
Il quale partecipa a questo lavorio incessante: assistiti da architetti consulenti geologi giardinieri gli Agnelli sterrano boschi, incanalano torrenti, deviano fiumi, spostano laghetti, svellono pareti. Consumando energie notevolissime. A Villar Perosa dubbi e ansie e paranoie per una certa piscina che deve assolutamente riflettere "i verdi e i grigi delle montagne attorno"; si consultano i massimi esperti mondiali, alla fine Gae Aulenti decide che l'unico colore possibile per questa rifrazione è l'arancio.
Timori e tremori, poi quando l'opera è in corso di realizzazione ci si accorge, dall'elicottero, che la piscina di quel colore "sembra una grande carota", e l'Avvocato è fuori di sé; salvo poi riconoscere, una volta compiuto il riempimento, che con l'acqua effettivamente il riflesso è verde-grigio, e finalmente si placa (mentre magari nel frattempo altrove si prendevano fondamentali decisioni su scale mobili e inflazioni e politiche economiche).
La Aulenti li asseconda molto in questa ossessione immobiliare, è il loro Rasputin del controsoffitto. Per un appartamento a Milano che deve racchiudere una grande collezione, ecco pareti lucidissime con smalti industriali per far rifrangere la luce, e faretti cromati e luccicanti dall'alto che sembrano le macchinette da tortura dei gemelli in "Inseparabili" di Cronenberg, o bocchettoni d'aerazione da autogrill.
FOTO DI ARTURO GHERGO MARIELLA CARACCIOLO AGNELLIFoto Arturo Ghergo ARCHIVIO GHERGO
Sotto, un gregge ammiccante di agnelli (i "Moutons" di Franxois Xavier Lalanne), Bacon a manetta, Lichtensten fuori scala, bronzi di Magritte nel cesso, con sanitari cilindrici a scomparsa, è un po' la casa di Lino Banfi in "Spaghetti a mezzanotte", con Teo Teocoli interior decorator e Barbara Bouchet committente torinese aspirazionale.
NOVEMBRE GIANNI AGNELLI SPOSA MARELLA CARACCIOLO
Poi l'appartamento romano, nel palazzo Albertini-Carandini opera di Gaetano Koch - secondo la leggenda Mussolini gli fece costruire di fronte una torretta inutile dell'Inail per impallare la vista ai vicini antifascisti; e lì, saloni alti otto metri, travertino come se non ci fosse un domani, e questi quadri giganti di Balthus pieni di giovinette smandrappate e gatti, in un'epopea alla Perrault. E tanto plexiglass, e oggettini d'argento, e un letto tutto di pelle per Gianni.
Loro hanno sempre quartieri separati, lei tipo cottage sorelle Bronte, midollino e vimini e felci e tendaggi e tovagliature, e riviste "Gardenia"; lui invece stanze che sembrano più quelle di un figlio scapestrato e queer che di un marito presidente della Confindustria.
A Saint Moritz, lei vuole tutto "secessionismo viennese" e lancia l'opa su tutti gli Schiele sul mercato tra Vienna e Salisburgo, tormenta una povera crista conosciuta in seggiovia colpevole di possedere un Klimt rarissimo, finché lo avrà, e procede coi tovagliati in tinta. In un'altra casa torinese, villa Frescot, mette su invece una manifattura di stoffe insieme a Renzo Mongiardino perché non trova nulla di bello e pronto, e batte tutte le ville della zona mandando poi il suo tappezziere a prendere le misure e a fare le fotografie.
marina cicogna Marella Agnelli e il fratello Carlo Caracciolo
Contessa Marella Caracciolo Agnelli con un abito da sera di Federico Forquet , 1946 - foto ghergo
Per l'Avvocato, invece, stuoie e modelli delle sue barche e lampade di Isamu Noguchi, e tanti quadri scuri e pelle. A Roma, addirittura questo copriletto di pelle nera, sotto una tela bruciacchiata e lugubre di Jim Dine. Però sul comodino, invece di strumentini per bondage e piccole sofferenze, un blocchetto scritto a macchina con numeri che saranno stati poi quelli fondamentali di ministri, autisti, amministratori delegati: perché tra un restauro e un rendering e luci calde e luci fredde lui doveva anche fare l'industriale più importante d'Italia.
GIOVANNI AGNELLI E MARELLA CARACCIOLO AL BALLO SERRA DI CASSANO