I pastori sardi sono sul piede di guerra: in segno di protesta svuotano cisterne e contenitori di #latte e vino in strada. "Meglio buttarlo che venderlo ai trasformatori solo a 55/60 centesimi al litro, al di sotto dei costi di produzione" ?? pic.twitter.com/7fOubbkGLa
— Sky tg24 (@SkyTG24) 10 febbraio 2019
Nel frattempo, nel paese di #Olzai, la protesta dei pastori sardi continua. Fate girare! #SARDEGNA #FuturoalLavoro #10Feb #iostoconipastori #pastorisardi #latte #protesta #battagliabianca pic.twitter.com/7ptwfbDgOa
— perla_miseria ? (@perlamiseria7) 10 febbraio 2019
Ettore Livini per “la Repubblica”
«Ha presente il pecorino che trova al super? Il latte con cui è prodotto lo mungo io. E sa quanti soldi mi entrano i tasca? Sedici centesimi ogni euro di prezzo. Una miseria! » . Battista Cualbu, come gli altri 14mila pastori sardi, non ne può più. È sopravvissuto alla crisi della lingua blu che nell' isola ha ucciso 103mila pecore, ha dribblato un paio di drammatiche siccità. Ora però è troppo. I prezzi del pecorino sono crollati del 37% in tre anni. Le industrie di trasformazione pagano il latte 60 centesimi al litro.
«Meno di quello che spendo io tra mangime, trattori e veterinario per produrlo » spiega il presidente di Coldiretti Sardegna. Che ha lasciato i suoi 850 capi nell' ovile della Nurra di Sassari ed è sceso in piazza contro un sistema che - ipse dixit - «privatizza i profitti e scarica i costi della crisi sull' anello più debole della catena». I pastori come lui, stritolati in una morsa che - calcola il Centro studi agricoli regionale - «rischia di mettere in ginocchio il 90% delle aziende del settore».
Tra bilici assaliti dagli allevatori, quintali di latte versato in strada per protesta e minacce di picchetti ai seggi delle prossime regionali, l' ottovolante del pecorino è la fotografia fedele di un' Italia che - in agricoltura è un classico - non sa far squadra. « È un problema di domanda e offerta - sintetizza Salvatore Palitta, presidente del Consorzio nazionale e voce dell' industria - figlia di un eccesso di produzione» .
Capita ciclicamente da anni, ma nessuno riesce a farci niente. La filiera mette un tetto alla produzione, il prezzo sale e a quel punto «qualcuno - spiega Cualbu - fa subito il furbo » : i caseifici ignorano le quote inondando il mercato di forme extra ( « magari usando latte romeno » , ha buttato là il ministro all' Agricoltura Gian Marco Centinaio) e le quotazioni crollano. «Un giro di giostra dove distribuzione e trasformatori fanno i soldi e il cerino resta in mano a chi lavora in stalla», dice Cualbu.
È successo nel 2015 quando il valore del pecorino all' ingrosso è schizzato a 9,3 euro al chilo ma solo la metà del rialzo è stata girata ai pastori. È capitato di nuovo nel 2018: l' accordo era produrre 280mila quintali di formaggio ma sul mercato ne sono arrivati 341mila. Il prezzo - 7,7 euro al kg. a gennaio - ha iniziato a calare e i tentativi di smaltire le eccedenze (oggi in magazzino ce ne sono 100mila quintali) l' hanno affossato ai 5,6 euro attuali. Chi paga il conto? In teoria ci sono multe per chi va oltre i limiti produttivi. Ma è poca roba. 16 centesimi al chilo. Briciole per l' industria.
Che oltretutto - quando le cose vanno male - può rifarsi su chi sta a monte della filiera. La prova? Un litro di latte di pecora vale oggi 56 centesimi, il 23% in meno di luglio. Cifra che da sola basta a spiegare la rabbia esplosa negli ovili sardi ( « per orgoglio prima di morire scalci » , scherza - ma non troppo - Cualbu), vittime del corto circuito di una filiera i cui protagonisti non si parlano - anzi si fanno la guerra - penalizzando uno dei re dei Dop nazionali.
Capace di macinare ancora, malgrado tutto, 200 milioni di ricavi l' anno ed esportare quasi il 50% della produzione in Usa. Che succederà ora? Ieri sono arrivati il premier Conte e il ministro Centinaio. « Spero non per far passerella», dice Cualbu. Coldiretti spinge per una mediazione che garantisca entrate certe a chi sta in ovile. Ma in attesa di compromessi si rischia il caos perché a inizio marzo salterà il paracadute delle quote.
«Spero il governo le rinnovi - dice Palitta - e metta a bando i fondi per gli indigenti con cui comprare le eccedenze di formaggio e distribuirlo » . Il Consorzio - forse con un po' di coda di paglia - sta mettendo a punto interventi straordinari: « Abbiamo preparato con le banche un sistema di pegno rotativo per stabilizzare la situazione finanziaria degli allevamenti - spiega il presidente - e siamo pronti a ritirare 20mila quintali di scorte per fare un pecorino "riserva" più raffinato».
Toppe, più che soluzioni definitive. « Tanti miei amici hanno chiuso l' attività, molti rischiano di perdere terreno, bestie e lavoro perché non hanno i soldi per comprare il mangime - conclude Cualbu - e dietro di loro c' è un indotto importante». Migliaia di persone per cui senza interventi rapidi della politica l' avventura sull' ottovolante del pecorino rischia di essere arrivata a fine corsa.
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