QUANDO LA GIUSTIZIA È IMPLACABILE – A MILANO, MISURA DI PREVENZIONE AL MORTO: L’EVASIONE FISCALE DELL’EX RE DELLE BONIFICHE COSTA UN MAXI-SEQUESTRO AI SUOI FIGLI
Luigi Ferrarella per “il Corriere della Sera”
Chi evade sistematicamente le tasse è un soggetto «socialmente pericoloso». E può restarlo anche da morto, nel senso che la sua condotta fiscale, sotto il particolare profilo delle misure di prevenzione, ricade sugli eredi se la sproporzione tra i redditi dei figli e i capitali immessi nelle società familiari fa presumere che i proventi dell’evasione fiscale del defunto abbiano rimpinguato negli anni le aziende ora in mano agli eredi.
È un esperimento-pilota quello con cui ieri il pm milanese Alessandra Dolci ha ottenuto dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano il sequestro da 70 milioni, propedeutico alla confisca, di tre imprese del gruppo del «re delle bonifiche ambientali» Giuseppe Grossi, oggi controllate e amministrate dai suoi figli Andrea, Paola e Simona dopo la morte del padre tre anni fa. Con il sequestro delle Green 4 srl, Alfa Alfa srl e Plurifinance srl, il provvedimento giudiziario mette i lucchetti anche a 136 immobili, 140 terreni, 268 auto d’epoca o supercars, 160 moto, 5 motoscafi e 3 barche a vela.
E stoppa l’impero degli eredi di Grossi proprio mentre, a dispetto già di non poche grane giudiziarie nel passato, con la società Ambienthesis spa si è appena aggiudicato (con un ribasso del 27% tra 11 concorrenti) la gara d’appalto da 3,8 milioni bandita dalla Milano Serravalle – Tangenziale Est per «interventi di capping » (cioè di impermeabilizzazione di una non segnalata discarica di macerie e scorie di acciaieria) «sull’area a sud della S.P. 103 Cassanese in località Lavanderie di Segrate».
Il procedimento di prevenzione può infatti «essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca», e in tal caso la misura va a colpire «i successori a titolo universale» a patto che siano trascorsi meno di 5 anni dal decesso: è il caso di Grossi, morto l’11 ottobre 2011.
Alla base del procedimento — nel quale ora in Tribunale la difesa potrà opporre le proprie ragioni in camera di consiglio davanti alla relatrice Veronica Tallarida, al giudice Guido Zucchetti e al presidente Fabio Roia — non c’è una sentenza penale: Grossi, infatti, è morto prima che iniziasse il processo per il quale nel 2009 era stato arrestato dal gip Fabrizio D’Arcangelo, nell’inchiesta dei pm Laura Pedio e Gaetano Ruta sulla bonifica del quartiere milanese Montecity-Santa Giulia dell’immobiliarista Luigi Zunino, con l’accusa d’aver nel 2003-2009 costituito all’estero 22 milioni di fondi neri fatti poi rientrare in Italia per risparmiare sulle tasse e avere maggior competitività rispetto alle imprese oneste concorrenti, nonché per disporre di somme in nero da spendere sia per godimenti personali sia per «pagamenti a soggetti rimasti “anonimi”, che portano a ipotizzare episodi di corrutela».
Estintosi il fronte penale con la morte di Grossi (e i patteggiamenti dei coindagati), ora la misura di prevenzione è agganciata, sulla scia dei principi di una Cassazione a Sezioni Unite del 29 maggio 2014, all’assunto che i proventi dell’evasione fiscale del deceduto avessero alimentato per anni il patrimonio aziendale ora dei figli, in parte persino legittimamente per la quota sanata tramite un condono tombale.
Il pm Dolci (che a Milano cura le misure di prevenzione tutte centralizzate nel pool dell’aggiunto Ilda Boccassini) rimarca come nel 2002-2009 il Fisco abbia rilevato entrate effettivamente percepite dai componenti la famiglia Grossi per 50 milioni contro redditi dichiarati per 14. E il lavoro del Gico, reparto del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, evidenziando la sproporzione tra gli investimenti nelle aziende e i redditi dichiarati, la mette in aritmetica correlazione temporale con la paterna evasione fiscale che, ad esempio il 14 marzo 2008, avrebbe prodotto il «finanziamento soci» di 3,4 milioni versato da Grossi nella Adami Anstalt di Vaduz e girato alla lussemburghese Adami Sa, che controlla due delle società (Alfa Alfa srl e Plurifinance srl) sequestrate ai figli. Che ieri, per pura coincidenza sfortunata, dai magistrati di Latina hanno ricevuto anche l’arresto-bis (dopo quello del 16 ottobre) per truffa alla Regione Lazio sulla discarica di Borgo Montello.