Ilario Lombardo per “la Stampa”
Fu un distillato velenosissimo che le cronache registrarono appena, quasi un dettaglio marginale nella valanga di dichiarazioni che ora assume altra luce, illuminando l' uomo nei suoi rapporti con il potere politico e con i governi. Erano i giorni del via vai dal Quirinale, colloqui del Presidente con M5S e Lega in cerca di una via d'uscita.
Sergio Marchionne concede una battuta su Luigi Di Maio, ogni volta immortalato a guidare la stessa auto fin dentro il cortile presidenziale: «Ho notato in tv l' altro giorno che andava in giro con una Renault, e mi stavo domandando quale parte dello stabilimento di Pomigliano le produce. Non credo che le facciamo noi. Uno che nasce a Pomigliano, con uno stabilimento di quelle dimensioni là vicino casa, dovrebbe andare in giro con una Panda dalla mattina alla sera».
Era il 1 o giugno. In quelle ore stava nascendo il governo gialloverde. Marchionne festeggiava l'azzeramento del debito di Fca. Ogni sua parola nel breve messaggio di benvenuto rivolto ai grillo-leghisti era intinta in un'ironia disincantata: «Per noi non cambia nulla, siamo sempre stati filogovernativi, loro fanno le regole noi ci adattiamo». Eppure che qualcosa è cambiato lo prova l' avarizia di parole e pensieri di grillini e leghisti rivolti al manager.
Un deserto gelido dove spuntano qua e là frasi di circostanza, adattate alla bassa temperatura emotiva dell' attesa. Di Maio parla solo nel pomeriggio di ieri, 24 ore dopo la notizia delle condizioni disperate del manager ricoverato a Zurigo: «Mi addolora la notizia che Marchionne stia male in un momento così difficile credo ci voglia rispetto».
Alla fine Di Maio non lo ha incontrato come si era ripromesso di fare, dopo aver raccolto con soddisfazione la svolta di Marchionne sull'auto elettrica, una creatura del futuro su cui l' ad ha sempre avuto perplessità. «Mi dispiace non aver avuto il modo di confrontarmi con lui su questo, era mia intenzione farlo. I nostri staff erano in contatto da settimane».
luigi di maio con profumo e de gennaro alla leonardo di pomigliano
Lo scontro di 5 anni fa Cinque anni fa il deputato di Pomigliano del M5S non poteva sapere che un giorno sarebbe diventato ministro dello Sviluppo economico, avrebbe avuto sulla scrivania il dossier dello stabilimento Fiat della sua città. Nel 2013 Di Maio sfidò Marchionne. A luglio gli inviò una lettera aperta, attaccando la Fiat «che è stata imbottita di soldi pubblici (dei cittadini italiani) per delocalizzare all'estero produzione e posti di lavoro».
Poi firmò assieme ad altri venti parlamentari grillini la proposta di istituzione di «una commissione d' inchiesta per verificare l'eventuale uso difforme dei finanziamenti pubblici diretti, indiretti ed indotti percepiti dalla Fiat». Un atto di cui tre giorni fa, durante un incontro al ministero sulla proroga della cassa integrazione a Pomigliano, il sindacato Coba sha chiesto conto a Di Maio. Non è mai stato un modello industriale per questo governo.
Lo ammette il capogruppo alla Camera del M5S Francesco D'Uva pur negli abbracci di vicinanza di rito: «Abbiamo sempre avuto visioni della società e del progresso estremamente differenti, ma è indubbio che Marchionne abbia giocato un ruolo importantissimo nella storia del Paese». Lo ribadisce alla Stampa il sottosegretario leghista al Mise Dario Galli, che pure vorrebbe rinviare «al futuro» riflessioni e critiche personali, «perché ora non è il momento».
È lui a sintetizzare cosa è stato per la Lega: «Un personaggio discusso che ha lasciato il segno. Certo ha fatto scelte industriali che non ci piacciono, come portare le sedi societarie all' estero, ma ha anche salvato una società che era praticamente morta, e mantenuto la produzione di nicchie ad alta gamma in Italia».
Il leader Matteo Salvini si limita a mandare un pensiero di «riconoscenza, rispetto e augurio a Marchionne e alla sua famiglia». E Roberto Calderoli, che due anni fa attaccò Marchionne sempre per le società portate all' estero, lo difende dalla prima pagina allusiva del Manifesto («E così Fiat») che raccoglie la distanza della sinistra a sinistra del Pd.
Per il resto, la freddezza è raccontata dal silenzio, rotto solo da una stringata nota alle dieci di ieri sera, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal comunicato ufficiale della sindaca di Torino Chiara Appendino che ha irritato i vertici del Lingotto perché Marchionne è appena citato in un passaggio, neanche fosse una parentesi come un' altra, chiusa rapidamente dalla politica, dai suoi tempi, dalle sue prudenze.