1 - «ECCO PERCHÉ L'ITALIA È IN BALÌA DEGLI HACKER»
si puo entrare in casa altrui con un clic
Nino Materi per “il Giornale”
La parabola professionale dell' ex colonnello della Guardia di Finanza, Umberto Rapetto, 57 anni, è lo specchio di un' Italia «specializzata» nel liberarsi delle persone giuste al posto giusto. Rapetto era - ed è ancora - tra i massimi esperti internazionali di informatica. Forte di questa competenza aveva strutturato all' interno delle Fiamme Gialle un nucleo d' élite che il mondo ci invidiava: il GAT (Gruppo Anticrimine Tecnologico).
Per circa 30 anni Rapetto è stato lo «sceriffo del web» che ha «bucato» per primo la rete dei web-pedofili oltre a snidare gli hacker autori dello storico attacco ai computer della Casa Bianca. Tutti i giornali del mondo si occupavano di lui. Ma un giorno Rapetto ha pestato i piedi a chi non doveva: i signori del gioco d' azzardo.
Una cyber-truffa che, scoperta dal GAT comandato da Rapetto, ha fatto infliggere una mega multa da 98 miliardi (miliardi, non milioni!) di euro a 10 società concessionarie del gioco d' azzardo di Stato; la multa fu poi ridotta dalla Corte dei conti a 2,5 miliardi ma l' indagine del GAT fu confermata punto per punto.
Ma l' operato di Rapetto non piacque ai piani alti della politica (che hanno sempre ignorato uno scandalo dalle proporzioni senza precedenti per il nostro Paese) e non piacque soprattutto ai vertici della Guardia di Finanza che costrinse al pensionamento Rapetto. Da 2013 Rapetto si è dato all' insegnamento universitario, alla tv (ha condotto la trasmissione su Rai2, Il Verificatore) ed è al momento CEO di HKAO, startup operante nello scenario della sicurezza dei sistemi e delle reti.
Generale Rapetto, alla luce dell' arresto dei fratelli Occhionero possiamo dire che l' Italia è in balìa degli hacker?
«Non solo l' Italia, purtroppo. E spesso non c'è bisogno di veri hacker, ma possono avere la meglio anche personaggi di minor calibro che si attrezzano facilmente con software di facile reperimento online».
Ma è possibile controllare la «porta di accesso» dei nostri pc?
«I computer sono facile bersaglio e, spesso sprovvisti anche di banali antivirus, aprono la strada ai malintenzionati. I malware più sofisticati non lasciano traccia, rubano dati, trasformano la webcam del pc in microspie. Difficile difendersi, specie se non si ha coscienza del rischio».
E allora dobbiamo rassegnarci ad essere hackerati?
«Il pericolo è elevato e purtroppo chi attacca sovente è più in gamba di chi dovrebbe, in teoria, smascherarlo».
Ma voi del GAT ci eravate riusciti.
«Eravamo molto bravi. Purtroppo parliamo al passato. Il mio GAT abituato alle sfide più impegnative appartiene ad una stagione ormai trascorsa».
Tutta colpa di quella maledetta inchiesta sui «signori dell'azzardo di Stato»?
«Beh, diciamo che quell'indagine non mi ha certo procurato amici o riconoscimenti. Ma non è stata l'unica occasione per andare controcorrente».
Lei spesso tiene lezioni all'università. Qual è l'atteggiamento dei giovani in tema di hackeraggio?
«La strada da percorrere è lunga e irta di ostacoli. I giovani sembrano manifestare interesse e sensibilità, ma mancano ovviamente di esperienza».
Lei invece già nel 1990 scriveva il libro «Il tuo computer è nel mirino».
«Attuale più che mai, no?»
2 - SE UN IPHONE PUÒ METTERE IN PERICOLO LO STATO
Marco Lombardo per “il Giornale”
Sulla stampa russa sono perfino arrivati a parlare di Renzi Crush Saga, parafrasando il titolo di un famoso giochino quando Matteo Renzi s'è fatto beccare a chattare in continuazione col suo iPhone da un avvelenato Putin durante un meeting ufficiale a San Pietroburgo.
Da noi, più semplicemente, Dagospia lo ha ribattezzato Pittibimbo per il suo essere costantemente tendente al cool, ma non c'è dubbio che il rapporto tra il nostro ex premier e il suo smartphone vada ben oltre quello che i suoi detrattori malignano ci sia con la Boschi. Il telefono, almeno, parla solo a comando.
Renzi, insomma, voleva essere rottamatore in tutto, anche delle buone maniere istituzionali. Il problema però è che essere fighi e anche primi ministri nello stesso tempo, è un ossimoro dagli effetti collaterali devastanti.
«Ogni volta che vedevo Renzi con quell' iPhone in mano mi veniva lo sconforto», ha detto ieri all' Huffington Post Gioacchino Genchi, uno che per anni è stato superconsulente delle Procure nelle operazioni di voyeurismo tecnologico: «Mi auguro gli avessero dato un altro telefono per le conversazioni più importanti».
Vedendo Renzi sempre col Melafonino in mano la cosa sembra improbabile, anche perché di solito i cellulari criptati e a prova di hacker sono degli scatoloncini neri senza troppi fronzoli che mal si abbinano con i cappottini di cashmere. Se non fosse poi però che in certi casi è in ballo la sicurezza nazionale, ovvero quella di tutti noi.
In pratica: anche se entrare in un account iCloud è tecnicamente impossibile se non grazie all'ingenuità del proprietario, Renzi chattava allegramente con il pianeta e cliccava compulsivamente sulle mail (anche quelle degli hacker) mentre nel resto del mondo si è sempre fatta un po' di attenzione sul traffico dati dei propri governanti.
Per dire: in nordamerica Blackberry, azienda che dal punto di vista delle scelte di mercato è arrivata quasi al fallimento, è rimasta in piedi perché il suo sistema di sicurezza è quello utilizzato da eserciti e agenzie di sicurezza nazionale. E di sicuro presidenti e primi ministri si affidano a cellulari, vecchi e nuovi che siano, dove è possibile fare le operazioni base per garantirsi più privacy possibile: staccare la batteria, per esempio; o non accedere a internet. Altro che iPhone o Galaxy: un vecchio Nokia Gsm con i suoi pochi tastini è insomma quello che ci vuole, e in giro c' è anche qualche finto tonto tecnologico che l' ha capito benissimo.
Marco Travaglio per esempio è uno che dice di essere fermo all' età della pietra, ed in effetti nessuno ha mai pensato di mettere il naso nel suo smartphone, visto che lui non c'è l' ha. Gli piacciono i cellulari inintelligenti, quelli senza internet e senza app, che consentono di mantenere i messaggi privati appunto privati, si sa mai che si scopra qualche amicizia imbarazzante.
Anche se la cosa non lo salva dalle brutte figure, visto che qualche mesi fa pubblicò un'intervista alla persona sbagliata per un caso di omonimia: «Ho digitato male sulla lista dei contatti - si giustificò - e ho chiamato quello sbagliato». Fu una figuraccia con tante scuse, e alla fine viene in mente che certe cose con lo smartphone non succedono. Una soluzione insomma si trova sempre e aveva ragione chi titolò Togliete l'iPhone a Renzi. Ecco: poi però datelo a Travaglio.