Maurizio Molinari per “la Stampa”
LA DECAPITAZIONE DI TRE MONACI FRANCESCANI DA PARTE DEI RIBELLI SIRIANI DI AL NUSRA
Sessantacinque milioni di dollari: è l’ammontare delle entrate registrate dallo Stato Islamico nell’anno appena trascorso grazie a sequestri in Siria ed Iraq. A documentare il business dei rapimenti da parte del Califfato è il recente rapporto «The Islamic State» confezionato dal Soufan Group di New York grazie a una task force guidata da Richard Barrett, l’ex analista dell’MI5 britannico che per nove anni ha condotto la task force dell’Onu sul contro-terrorismo.
LA DECAPITAZIONE DI TRE MONACI FRANCESCANI DA PARTE DEI RIBELLI SIRIANI DI AL NUSRA
Le informazioni raccolte descrivono come Abu Bakr al Baghdadi gestisca un business capillare sui circa 250 mila chilometri quadrati di territorio controllato dai propri miliziani. L’intento è di sequestrare, stranieri o locali, al fine di ottenere denaro liquido e ciò avviene spesso attraverso gruppi jihadisti alleati o apparentati allo Stato Islamico, come nel caso di Jubhat al Nusra in Siria. Se è Isis a gestire i sequestri con maggiori risvolti politici o di propaganda spetta infatti a questi gruppi jihadisti condurre trattative di ostaggi tese a ottenere riscatti necessari ad alimentare le casse dell’organizzazione.
I migliori pagatori
Fra gli stranieri più «ambiti» vi sono quelli di Paesi noti per pagare i riscatti, come per esempio la Francia dalla quale i gruppi jihadisti hanno ottenuto una cifra stimata attorno ai 18 milioni di dollari. Si tratta del Paese considerato il «migliore pagatore», non solo in Medio Oriente ma anche in Nordafrica, seguito dai sequestri di facoltosi leader locali - in Siria o in Iraq - perché clan, tribù e famiglie non esitano a versare le cifre richieste.
Al Baghdadi era convinto che anche l’amministrazione Obama avrebbe accettato di pagare per ottenere la liberazione dei connazionali catturati - da James Foley a Steven Sotloff - fino al punto da aver comunicato alle rispettive famiglie l’entità dei riscatti che, secondo fonti arabe non confermate, si aggiravano sui 15 milioni di dollari a testa.
Solo dopo la formale presa di posizione del Segretario di Stato, John Kerry, contro ogni tipo di trattative, lo Stato Islamico ha dato luce verde alle esecuzioni affidando poi all’ostaggio britannico John Cantile il compito di ricostruire in un video la dinamica dell’impossibilità di raggiungere un’intesa sul riscatto tanto con il governo di Washington che con quello di Londra. Anche a esecuzione di Foley avvenuta, il Califfo ha tuttavia continuato a tentare di ottenere soldi dagli Stati Uniti, facendo sapere di essere disposto a restituire le salme dei decapitati in cambio di almeno un milione di dollari a persona.
Le trattative con gli Usa
Tale determinazione nell’ottenere liquidi nasce dalla necessità, documentata nel rapporto del Soufan Group, di avere il denaro necessario per pagare gli stipendi ai miliziani jihadisti, ognuno dei quali riceve mensilmente una cifra fra 200 e 600 dollari in base a grado e mansioni svolte. Se le entrate dello Stato Islamico conseguenti alla vendita di greggio servono per mantenere l’organizzazione - a cominciare dagli acquisti di armi - grazie a entrate stimate in 3 milioni di dollari al giorno, sono i proventi di riscatti, vendita di opere d’arte trafugate e imposizione di dazi sulle merci a far affluire nelle casse jihadiste quanto serve per alimentare le forze paramilitari ed anche una struttura amministrativa cresciuta di dimensione grazie alle 18 province (Welayat) che oggi si estendono dalla periferia di Aleppo in Siria a quella di Baghdad in Iraq.
La propaganda in Rete
Quando gli ostaggi hanno un valore politico o appartengono a nazioni che non pagano, la gestione passa nelle mani del «Consiglio della Shura», i sei misteriosi membri che affiancano il Califfo, che prima di dare l’ordine per l’esecuzione affida la comunicazione al «Media Council» del Califfato al fine di ottimizzare la gestione su Internet per promuovere propaganda ideologica e reclutamento di volontari. È questa la genesi della scelta che ha portato il «Media Council»a diffondere una lunga confessione scritta di Muath Safi al-Kaseasbeh, il pilota giordano abbattuto sulla Siria, ricorrendo poi ad un hashtag per chiedere via Twitter suggerimenti su «come ucciderlo» con il risultato di ottenere oltre mille retwitts, a dimostrazione della popolarità dell’iniziativa.