Federico Genta e Mauro Zola per la Stampa
I tatuaggi e gli orecchini tribali erano come una corazza. Ma era quel suo viso da eterno bambino a riflettere il vero carattere di Stefano Leo. «Un ragazzo incredibilmente sensibile e gentile. Che non sarebbe stato capace di far del male a una mosca».
Lo aveva già detto la madre Mariagrazia, partita già sabato dalla casa di Biella per essere ascoltata dai carabinieri di Torino che indagano sull' omicidio del figlio. Lo ripeteva, ieri, Jane Rapinett dal Krishna Village di Murwillumbah, in Australia, dove Stefano si era inserito nella comunità Krishna.
Una laurea in Legge a Milano, dove vive il padre, quattro anni trascorsi in giro per il mondo, Stefano era approdato sotto la Mole lo scorso novembre. Aveva trovato un impiego come commesso in un negozio del centro e la sua casa era un alloggio sulle rive del Po, condiviso con Sebastiano, l' amico sin dai tempi degli studi.
Quella passeggiata, dal fiume fino allo store della K-Way, per lui era un rito. Quaranta minuti tutti per lui, ad ascoltare la musica che arrivava dalle cuffie del telefonino. Le indossava anche l' altra mattina, quando qualcuno lo ha aggredito. Preso alle spalle e sgozzato con un coltello che difficilmente potrà essere ritrovato. Un unico taglio, profondo, che non poteva dare scampo.
Come un agguato ma senza una ragione apparente, visto che l' assassino non ha nemmeno provato a sfilargli lo zaino che portava sulle spalle. Il giorno dopo il delitto, i carabinieri hanno deciso di ripartire dal sequestro di tutti i filmati disponibili della zona. Perché dal passato del ragazzo, anche quello meno recente, non sarebbe emerso nulla di rilevante: nemmeno uno screzio che possa essere in qualche modo collegato all' omicidio.
Le telecamere, però, sono poche. E nessuna punta su quel viale, lungo Po Machiavelli: uno spicchio di città centrale, ma abbandonato.«Oggi è domenica e nessuno ha paura a passeggiare da queste parti - raccontava ieri una coppia -. Durante la notte, però, il panorama è tutto diverso. Queste passeggiate sono frequentate da tossici e senzatetto. Quasi nessuno, se non in gruppo, ci mette più piede. Soprattutto la sera».
Passate le otto, questo diventa il territorio dei pusher, che aspettano i clienti protetti dal buio e dalle siepi che corrono verso la riva. I pochi locali aperti su questo lato dei Murazzi tirano la notte fino alle sette, e spesso i clienti restano accampati nei paraggi ancora per diverse ore. Fantasmi e disperati affacciati su una città che si è già risvegliata da un pezzo.
E proprio un disperato resta il primo sospettato del delitto. Quell' uomo con i capelli rasta, il giubbotto chiaro con sulla schiena una scritta di colore rosso, notato da un testimone mentre si allontanava svelto dalla zona quando i primi soccorsi stavano già raggiungendo Stefano, che con le ultime energie era riuscito a raggiungere la strada e poi era caduto sull' asfalto, in mezzo all' incrocio a due passi da piazza Vittorio. Un folle che uccide senza motivo, in pieno giorno e nel centro di Torino.
È questo che più spaventa e che preoccupa gli stessi investigatori. Un delitto senza motivo e che proprio per questo si potrebbe ripetere.
Ecco perché le telecamere diventano fondamentali.
Nessuna, questo è già stato confermato, ha ripreso la scena dell' aggressione. Ma una ripresa, anche quella di un impianto di videosorveglianza privato, potrebbe aver immortalato, magari per pochi secondi, la fuga dell' assassino. «Addio nipote mio. Proteggici da lassù, ma porta all' inferno chi ti ha ucciso barbaramente» ha scritto su Facebook Daniele, lo zio di Stefano. Lui è convinto: «Troveranno l' assassino. Vedrai, lo troveranno».